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La spaccatura tra Fini e Berlusconi: una sola certezza e tanta amaritudine
Domenica 01 Agosto 2010 19:20

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«Se fossi romano voterei Fini» è il 1993 Roma è alle prese con il ballottaggio per l’elezione del sindaco e l’ imprenditore Silvio Berlusconi durante l’inaugurazione di uno dei primi centri commerciali della penisola non usa mezzi termini nel dichiarare la sua stima verso l’allora candidato del “Movimento Sociale Italiano”.La sua dichiarazione sebbene non sortirà alcuno effetto sull’esito del voto: a vincere sarà infatti Francesco Rutelli candidato nelle fila del centrosinistra rimarrà ugualmente nella storia politica del nostro disastrato Paese. Per alcuni quello è il preannuncio della sua discesa in campo avvenuta poi nel 94’, per tutti l’inizio di un idillio che tra alti e bassi porterà Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi dapprima ad allearsi e poi a fondare assieme il Popolo della Libertà. Dopo sedici anni il collante che allora li unì e che li ha portati a governare il Paese più volte e a vincere anche le ultime elezioni politiche nel 2008 sembra essersi dissolto per sempre. A Berlusconi serviva un volto spendibile nell’agone politico con cui suffragare la propria “discesa in campo”, a Fini uno sdoganamento per uscire dall’archetipo del fascista in cerca di identità. Raggiunti i rispettivi obiettivi ecco che riaffiora la loro vera natura: imprenditore di razza il primo, politico di professione il secondo. «Ghe  pensi mi» afferma con fare da spaccone Berlusconi a cui si contrappone il mantra finiano: «Il partito non è un’azienda» sullo sfondo un Paese che arranca in economia e stramazza nello stato sociale. L’epilogo di quello che fin dall’inizio apparve come un’alleanza di convenienza è il deferimento di pochi giorni orsono  ai probiviri del Pdl  di Italo Bocchino, Carmelo Briguglio e F abio Granata rei di aver più volte manifestato dissensi all’interno del partito. La risposta del cofondatore del Popolo della Libertà e presidente della Camera Fini è la creazione in Parlamento di un nuovo gruppo distinto dal Pdl ma fedele al mandato degli elettori che li hanno eletti nell’ambito dello stesso partito. Come risolvere questo rebus che rischia di mandare in subbuglio l’intera attività istituzionale è cosa che da Costituzione spetta unicamente al Presidente della Repubblica; a me però indefesso difensore della diversità di pensiero e della politica come servizio ai cittadini rimane un’unica certezza accompagnata da tanta amaritudine. Esemplare il gesto di chi in nome dei propri ideali mette in discussione il proprio potere fino ad arrivare ad un passo dalla sua rinuncia in toto. Biasimevole l’idea di un partito come azienda e una politica che solo ora tenta di riappropriarsi della propria natura dopo aver stretto un “patto con il demonio”. Un enigma quest’ultimo dal fascino capzioso e  melenso di cui, personalmente, avrei fatto volentieri a meno.

 

  Cordialmente

Raffaele de Chiara

Scritto da RAFFAELE de CHIARA   
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