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Il cinismo di Andreotti e la volgarità di Bossi
Domenica 12 Settembre 2010 14:59

Condividiamo appieno le amare riflessione di Raffaele, proviamo il disagio che provano milioni di italiani incolpevoli di una deriva che umilia, sentiamo forte il dolore, hanno sequestrato il nostro presente e il futuro dei nostri figli, hanno distrutto la scuola, l'università, il lavoro, stanno togliendo la speranza.E' vero le andiamo a cercare... le disgrazie.

Raffaele

«Non voglio sostituirmi alla polizia o ai giudici, certo è una persona che in termini romaneschi se l’andava cercando». Qualche attimo di silenzio ed ecco irrompere un suono sordo e volgare: una pernacchia. Giulio Andreotti e Umberto Bossi, l’eroismo dell’ avvocato Giorgio Ambrosoli curatore fallimentare delle banche del discusso faccendiere Michele Sindona e l’onestà intellettuale di un uomo delle istituzioni qual è l’attuale presidente della Camera Gianfranco Fini. L’indecenza del passato e la volgarità del presente incarnati nel medesimo protagonista: la classe politica. Cosa unisce  il cinismo di Andreotti, solo parzialmente mitigato dalla sua successiva e goffa smentita «Mi hanno frainteso, con quel “se l’andava cercando” intendevo fare riferimento ai gravi rischi ai quali il dottor Ambrosoli si era consapevolmente esposto con il difficile incarico assunto» con la scurrilità di Bossi nel commentare il diniego di Fini a dimettersi dalla carica di presidente della Camera? Semplicemente l’incapacità di maneggiare il potere senza esserne travolti e inghiottiti soffocati dalla smania del suo possesso, costi quel che costi. Stili diversissimi quelli del senatore a vita e quelli del senatur, voce felpata e tagliente per il primo, suoni gutturali e gesti per il secondo ma miranti al medesimo scopo: tramortire le masse impedendogli di pensare e di formarsi una propria opinione.L’avvocato Giorgio Ambrosoli era un uomo sempl ice che in nome dell’onestà ha dato la vita, doveva analizzare come commissario liquidatore per conto del tribunale di Milano i conti del faccendiere Sindona poi condannato per mafia e deceduto in circostanze ambigue in carcere, mori assassinato da un killer che a stento riusci a biascicare il suo nome, pochi conoscono la sua storia ma l’unica voce che sfonda il muro di silenzio imposto dall’oblìo è quella del sette volte presidente del consiglio. L’unica colpa di Gianfranco Fini è quella di essersi ribellato alla dittatura democratica del premier all’interno del Pdl e di voler rispettare la Costituzione che non lo obbliga a dimettersi dalla carica che ricopre, l’unico messaggio che passa è un volgare sberleffo da parte di un altro ministro. Disgustarsi e indignarsi dinanzi a un simile spettacolo è il minimo per qualunque cittadino di un Paese libero e democratico, battersi perché qualcosa realmente possa cambiare portandoci ad una politica vera e a un potere che sia semplicemente mezzo anonimo e indispensabile di governo è un lusso di cui pochissimi avvertono la necessità. Purtroppo.


Cordialmente

Raffaele de Chiara

Scritto da Raffaele de Chiara   
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