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IL CASO Cavaliere, ci dica se la legge è uguale per tutti di GIUSEPPE D'AVANZO
Martedì 21 Settembre 2010 15:04

DUNQUE, martedì prossimo Silvio Berlusconi è atteso in Parlamento per un discorso che i suoi desiderano sia addirittura memorabile. Che cosa si intende per "memorabile"? Quando e come le parole di un uomo di Stato diventano storiche? Vediamo.
Si sa che il premier, nel suo intervento, illustrerà i cinque punti programmatici (giustizia, Mezzogiorno, fisco, federalismo e sicurezza) per rilanciare la corsa di un governo a corto di fiato. Berlusconi chiederà ai suoi alleati ostili (Fini) o delusi (Lega) di sottoscrivere intorno alle cinque questioni un "patto" per concludere la legislatura con un decoroso rispetto delle urgenze del Paese e degli impegni elettorali.

L'iniziativa può avere due esiti. Il primo, miserello. Berlusconi si accontenta di una risicata maggioranza che certifichi la sopravvivenza del suo governo e - insieme - la morte di ogni autarchia della sua leadership, costretta in una condizione di minorità politica a mendicare - di volta in volta - il consenso di Bossi, l'approvazione di Tremonti, la non belligeranza di Fini e il benestare finanche del governatore siciliano Raffaele Lombardo, di Storace, dei transfughi dell'Udc. Una pietosa baraonda senza futuro.

Il secondo approdo, imprevedibilissimo, è nello stile del signore di Arcore che, figlio viziato della politica della Prima Repubblica, si è inventato campione dell'antipolitica nella Seconda Repubblica (qualsiasi cosa questa formula significhi). Minorità? Autonomia limitata? Vaniloquio, cicaleccio di politici di professione - lo immaginiamo dire ai suoi - posso farne a meno di queste preoccupazioni ché sono capace di scrivere l'agenda dell'attenzione pubblica come voglio e quando voglio; ché la mia leadership non dipende dalle manovre romane - me ne fotto - ma dal rapporto diretto - che ho - con il popolo, con i suoi umori che sapientemente posso mescolare e maneggiare. Qualcuno pensa che non sia più in grado di farlo?

Le sabbie mobili
Si fa fatica a credere che Berlusconi, a un passo dal suo traguardo (la corsa al Quirinale), si accontenti di vivacchiare mediocremente fino a quando Fini sarà pronto con il suo nuovo partito o magari, per qualche seggiola in meno o finanziamento caduto, Lombardo o per dire un Cuffaro spengano le macchine che tengono in vita il governo. È più probabile che, come gli consigliano, Berlusconi provi la posa dello "statista" (è accaduto una sola volta il 25 aprile 2009 a Onna nel giorno del ricordo della Resistenza). È plausibile che egli tenti di tirarsi fuori dalle sabbie mobili che lo stanno inghiottendo con un'invenzione che "generi la politica dall'antipolitica, l'ordine dal caos".

Certo, può accadere anche questo, anche questa volta. Berlusconi ha dato in questi sedici anni prova di come possa governare il Barnum italiano con la frusta, con il sorriso, con una menzogna strepitosa, con la pura energia della sua teatralità, con lo sciagurato favore di un'opposizione inconcludente fino allo sconforto, ma il passaggio che il presidente del Consiglio affronterà tra una settimana appare finale perché questa volta - e in modo definitivo - pare in discussione lo stesso "contratto emotivo" che il popolo della destra ha sottoscritto identificandosi in lui, rappresentandosi in lui più che essere da lui rappresentato.

In questa curva dell'avventura berlusconiana, appare in gioco la "forza del sogno" che il Cavaliere ha indotto da tre lustri nel metabolismo sociale del Paese alimentando l'illusione, come è stato detto, di una potenza individuale e di gruppo, di una felicità e un benessere possibile, raggiungibile da chiunque, per chiunque a portata di mano se fossero stati gettati per aria - come egli prometteva - alcuni ostacoli: i "comunisti", i migranti, l'informazione, il sindacato, i magistrati, la Rai pubblica, la cultura "giustizialista", il fisco, la Costituzione... Bene, la maggioranza elettorale degli italiani ha creduto nell'Italia che aveva in mente ("Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme un nuovo miracolo italiano"). Gli hanno detto: fallo, facci felici. Gli hanno consegnato in tre occasioni (1994, 2001, 2008) le chiavi del Palazzo e che cosa gli hanno visto combinare? Pochissimo. Quasi nulla. Quasi niente.

L'uomo del fare
L'uomo del fare, oculatissimo a coltivare il suo particulare, si è dimostrato un incapace quando i beni sono collettivi e gli affari pubblici. Nessuna delle strettoie che, nello schema illusorio di Berlusconi, ci trattengono sulla soglia della prosperità è stato mai rimosso con le riforme promesse. Nessuno. Nonostante le magie manipolatorie, chiunque ha potuto rendersi conto - anche i mafiosi di lui dicono: Iddu pensa solu a iddu - che in questi anni Berlusconi ha avuto una sola bussola: la sua tutela personale, la protezione della sua roba e quindi, soprattutto, l'assoluta necessità di evitare i processi che lo coinvolgono. Una dopo l'altra, le legislature vengono e vanno, quale che sia la forza della maggioranza che lo sostiene, in estenuanti fatiche parlamentari che devono assicurargli l'impunità.

Una gigantesca macchina politico, giudiziaria, mediatica ferma nel tempo, che divora ogni cosa, ogni altro problema, argomento, intelligenza, dibattito, cancellando il presente e le priorità del Paese. Ce n'è una sola, nel mondo dell'Egoarca: il suo destino minacciato dall'opacità dei comportamenti che ne hanno fatto un tycoon. È dal passato che l'Egoarca si deve proteggere. È una coazione a ripetere che conferma le ragioni originarie della corsa politica di Berlusconi. Non ci sono state nascoste, in verità. Ce le ha spiegate per tempo Fedele Confalonieri quali fossero: "La verità è che, se Berlusconi non fosse entrato in politica, se non avesse fondato Forza Italia, noi oggi saremo sotto un ponte o in galera. Col cavolo che portavamo a casa il proscioglimento nel "lodo Mondadori"" (Repubblica, 25 giugno 2000). Ancora più recentemente, Confalonieri ripete: "Le leggi ad personam? Le fa per proteggersi. Se non fai le leggi ad personam vai dentro" (La Stampa, 2 novembre 2009).
Siamo esattamente - oggi - nello stesso punto dove la storia è cominciata sedici anni fa. Ieri come oggi, il primo e solo punto dell'agenda politica del Cavaliere è combinarsi un'impunità tombale. Lo svela, nella demoralizzazione cinica dei più, un altro turiferario delle cerimonie di Arcore: "Adesso và a spiegare alla gente che buona parte del gigantesco casino in cui si trova la politica italiana dipende dalle decisioni della Corte costituzionale". (Bruno Vespa, Panorama, 16 settembre 2010).

Rapido riepilogo per chi avesse perduto qualche battuta. Il 14 dicembre la Consulta decide se la legge del legittimo impedimento può vivere o è costituzionalmente nata morta. Quella legge che protegge l'Egoarca dai giudici per diciotto mesi dovrebbe dargli respiro e consentire di imporre al Parlamento una nuova legge immunitaria questa volta costituzionale, dopo gli scarabocchi ("lodi") di Schifani e Alfano. Naturalmente, Berlusconi non si fida né dei giudici costituzionali né dei parlamentari ed è già al lavoro con i suoi azzeccagarbugli per scavare trincee e alzare muri che possano fermare la mano del giudice. Un nuovo intervento sulla prescrizione. Il divieto di utilizzare sentenze passate in giudicato. Una nuova legge sul legittimo impedimento che possa indurre la Corte a rinviare, il 14 dicembre, ogni pronunciamento. Una nuova legge costituzionale che egli conta di far approvare in doppia lettura entro l'aprile del 2011 prima di contarsi con un referendum confermativo (sempre che l'opposizione, complice o intontita, scandalosamente non l'approvi). Una "road map" - come la chiamano allegramente - che impegnerà da oggi e per un anno il Parlamento, il confronto tra i partiti, l'opinione pubblica e i media, l'intero discorso pubblico.

Da questo punto di vista, il "gigantesco casino in cui si trova la politica italiana" è meno ingarbugliato di come pretendono di raccontarcelo. Se non ci si lascia ingabbiare da ipocrisie anestetiche e tartufismi, la sola questione che ha l'interesse di Berlusconi - tra le cinque che egli proporrà tra una settimana al Parlamento, chiedendo un voto di fiducia - è la giustizia. Non la giustizia di tutti, la giustizia per tutti, ma la giustizia che riguarda da vicino lui, che preoccupa personalmente lui, che minaccia la di lui preziosissima roba. Nessuna sorpresa. Berlusconi è esattamente questo: è potere statale che, senza scrupoli e apertamente, protegge se stesso e i suoi interessi economici. È una rotta sempre più problematica in un'Italia infelice con un prodotto interno congelato, una ripresa lentissima, il debito pubblico in aumento, l'occupazione ancora in ribasso, le entrate dello Stato in flessione a petto di un'evasione fiscale che tocca tetti mai sfiorati in un deserto di politiche pubbliche a favore del lavoro, delle imprese, delle famiglie, del Mezzogiorno disgraziatissimo. È questa contraddizione - l'intera vita parlamentare assorbita dalle urgenze del Capo e non dai bisogni del Paese - che può decidere il collasso della "forza del sogno", la rescissione di quel "contratto emotivo" che ha reso vincente il Cavaliere di Arcore. Anche perché quel che Berlusconi teme soprattutto è il cosiddetto "processo Mills" che è un processo assai rivelatore.

Il mito e la realtà
Breve memento per gli smemorati. Con il coinvolgimento "diretto e personale" del Cavaliere, l'avvocato inglese David Mills dà vita alle "64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest". Le gestisce per conto e nell'interesse di Berlusconi e, in due occasioni (processi a Craxi e alle "fiamme gialle" corrotte), Mills mente in aula per tener lontano il Cavaliere da quella galassia di cui l'avvocato inglese si attribuisce la paternità ricevendone in cambio da Berlusconi "somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali" che lo ricompensano della testimonianza truccata. Questa storia non è più aperta soltanto al sospetto, come si dice. È un complesso di fatti coerente, dotato di senso che illumina chi è Berlusconi; quali sono i suoi metodi. Si comprende con quali pratiche fraudolente, sia nato l'impero del Biscione. All Iberian è stato lo strumento voluto e adoperato dal Cavaliere, il canale oscuro del suo successo.

Anche qui bisogna rianimare, per l'ennesima volta, qualche ricordo. Lungo i sentieri del "group B very discreet della Fininvest" transitano quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che ricompensano Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi destinati non si sa a chi mentre, in Parlamento, è in discussione la legge Mammì. In quelle società è occultata la proprietà abusiva di Tele+ (viola le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le "fiamme gialle"); il controllo illegale dell'86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l'acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche. Da quelle società si muovono le risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma (assicurano al Cavaliere il controllo della Mondadori); gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favoriscono le scalate a Standa e Rinascente. La sentenza della Cassazione (che cancella per prescrizione la condanna di Mills confermandone i trucchi della testimonianza e la corruzione) documenta che, al fondo della fortuna del premier, ci sono evasione fiscale e bilanci taroccati, c'è la corruzione della politica, delle burocrazie della sicurezza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa.

La sentenza conferma non solo che Berlusconi è stato il corruttore di Mills, ma che la mitologia dell'homo faber ha il suo fondamento nel malaffare, nell'illegalità, nella corruzione della Prima Repubblica. Consapevole di quanto questo ritratto di se stesso sospeso nella narrazione di David Mills contraddica la scintillante immagine del tycoon sempre vincente per genio fino ad umiliarne l'ideologia (è il mio trionfo personale che mi assegna il diritto di governare, sono le mie ricchezze la garanzia dell'infallibilità della mia politica), Berlusconi ha dovuto scavare tra sé e il suo passato un solco che lo allontanasse dall'ombra di quell'avvocato inglese. Questa necessità gli è stata sempre chiara negli ultimi dieci anni. Cosciente che se fosse prevalso il Berlusconi scorto nella trama svelata da David Mills, la sua avventura politica sarebbe apparsa il patetico sogno di grandezza di un briccone, in definitiva di un pover'uomo melodrammatico che vuole soltanto farla franca, il Cavaliere ha mentito a gola piena scommettendo però, in pubblico, la sua testa. "Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conosco neppure l'esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario" (Ansa, 23 novembre 1999). "Non conosco David Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se fosse vero, mi ritirerei dalla vita politica, lascerei l'Italia" (Ansa, 20 giugno 2008).

Bugiardo, corruttore, spergiuro anche quando fa voto della "testa dei suoi figli". Sono panni che non può indossare. Per non indossarli è disposto anche a farsi imbozzolare in una minorità politica, anche a tenere fermo il Paese - per un altro intero e lungo anno - nella palude del suo interesse personale ingaggiando, in nome della solita falsa rivoluzione, un nuovo scontro con la democrazia parlamentare, gli organi di garanzia costituzionale, con gli stessi principi della Carta, legge delle leggi.

La legge è uguale per tutti?
È per tirarlo fuori da questo labirinto che i consiglieri più accorti spingono il premier a fare del suo intervento del 28 settembre un discorso memorabile, "da statista". Hanno ragione, se non preparano le consuete fumisterie da fiera peronista. Noi crediamo - e lo diciamo anche con la convinzione del nostro disincanto - che ci sia un solo modo concreto e credibile, per Berlusconi, di dimostrarsi all'altezza della ambizione e responsabilità pubblica. Difenda il suo onore, la sua storia, la verità dei suoi giuramenti. Accetti di dimostrare nel solo luogo appropriato - il processo - l'irreprensibilità delle sue condotte e della sua fortuna. Eserciti in quel luogo - l'aula di un tribunale - i diritti della difesa. Le procedure proteggono quei diritti e a Berlusconi, sostiene, gli argomenti per farlo non mancano. Lo faccia. Martedì prossimo in Parlamento il presidente del Consiglio rivendichi di essere cittadino tra i cittadini con gli stessi diritti e gli stessi doveri di chiunque. Reclami - egli - l'uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge e chieda di essere processato a Milano senza alcuno scudo, impedimento, immunità. Metta da parte le sue personali preoccupazioni per lasciare libera la politica - il governo, il Parlamento - di affrontare le inquietudini degli italiani e le difficoltà del Paese. L'Italia ha dato tanto a Berlusconi, è giunto il tempo che Berlusconi dia qualcosa all'Italia che non sia una legge ad personam. Presidente, vuole dire - e finalmente dimostrare - che la legge in Italia è davvero uguale per tutti?

 

Scritto da Giuseppe D'AvanzoQuotidiano La Repubblica   
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