Domenica 17 Ottobre 2010 14:46 |
Bambini dal volto di adulti, è questo il sinistro ossimoro che è divenuto la formula vincente di una delle trasmissioni di maggior successo della prima serata di Raiuno: “Ti lascio una canzone”. Una gara canora riservata rigorosamente a bambini dove ad essere premiato, secondo lo slogan ripetuto come un mantra e per ciò stesso farsesca dicitura, non è l’interprete bambino ma la canzone. A condurre il tutto la cianciosa e onnipresente Antonella Clerici. Bambini dai sette ai 15 anni ridotti a fenomeni da baraccone che si esibiscono su un palco tra gli applausi compiacenti di genitori e spettatori affamati di voyeurismo mediatico. Cosa ha che fare l’esibizionismo con l’infanzia e la prima adolescenza è un mistero di cui non è dato sapere e di cui nessuno sembra apparentemente preoccuparsi. “Sono solo giovani talenti” è la giustificazione che solitamente si adduce allorquando ad intrattenere i grandi sono i bambini dimenticando forse che è dalla notte dei tempi che spetta agli adulti il compito di guidare e intrattenere i propri piccoli nel difficile percorso di crescita e non viceversa. Li ho osservati a lungo questi “adulti” mascherati da bambini e ciò che ho provato mentre con le loro voci cantavano canzoni dal significato loro ignoto semplicemente perché non adatto alla loro età è stato nel contempo un sentimento di spaesamento e paura. Spaesamento per la totale noncahalance con cui la giuria di adulti commentava e analizzava le esibizioni dei piccoli talenti nell’afflato e partecipazione generale. Paura per un indifferenza collettiva dinanzi ad un simile obbrobio mediatico e sociale che avrà ripercussioni devastanti sull’Italia di domani. Una società che ai bimbi sottrae la spontaneità del g ioco imponendogli una più o meno maliziosa competizione è una società che cancella per sempre alcune delle tappe fondamentali nel percorso formativo di una persona: l’infanzia e la prima adolescenza. Una società che allena al divismo i propri piccoli è semplicemente una società i cui adulti di domani altro non saranno che insensibili automi inclini solo al culto spasmodico del successo e del denaro. Una società che cinica e indifferente al futuro dei propri figli non trova nulla di meglio che trastullarsi con le esibizioni canore dei propri piccoli è una società indegna di essere chiamata con questo nome. Un tempo i bambini raccontavano la spensieratezza dei propri anni con “Quarataquattro gatti” oggi cantano la durezza della vita con “Almeno tu nell’universo”. Tristi bambini travestiti da adulti disillusi. |
Scritto da Mario Arpaia |