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Intervento di Antonio Iosa del Direttivo Nazionale dell’AIVITER al Convegno su “ La Stagione del Terrorismo: il Contrasto e le Vittime del 29 Ottobre 2010 presso la Scuola Allievi Agenti della Polizia di Stato di Alessandria
Domenica 31 Ottobre 2010 17:51

Intervento di Antonio Iosa del Direttivo Nazionale dell’AIVITER al Convegno su “ La Stagione del Terrorismo: il Contrasto e le Vittime del 29 Ottobre 2010 presso la Scuola Allievi Agenti della Polizia di Stato di Alessandria

Porto a tutti gli organizzatori dell’incontro, alle autorità presenti e alle persone intervenute in questo importante convegno il saluto e ringraziamento dell’AIVITER e del suo Presidente, avv. Dante Notaristefano. La nostra Associazione, sorta nel lontano 1985, ad opera del compianto Maurizio Puddu, opera attivamente sul territorio nazionale per portare avanti il “Dovere della memoria condivisa – Per non dimenticare le vittime del terrorismo”; per chiedere verità, giustizia e certezza delle pene; per promuovere, con ogni mezzo, un’azione permanente di educare le nuove generazioni alla legalità, alla non violenza, al rispetto della vita umana.

Sono perciò commosso per questa iniziativa, promossa dal Comandante Salvatore Rossi, presso la Scuola Allievi Agenti della Polizia di Stato a conclusione del corso di addestramento di questi giovani allievi, chiamati a dare sicurezza ai cittadini e a garantire, in futuro, le libertà democratiche del nostro Paese.

a) Stragismo in Milano e in Lombardia

Come coordinatore dell’Associazione Vittime del Terrorismo in Lombardia e senza dimenticare le 547 vittime del terrorismo e di stragi di tale matrice a livello interno e internazionali e migliaia di feriti, vorrei fare non tanto l’elenco dei caduti, ma ricordare che la Regione Lombardia e Milano, negli anni bui del terrorismo e dello stragismo, hanno avuto 17 morti e 84 feriti per la Strage di Piazza Fontana  del 12 dicembre del 1969. Altri 4 morti si sono avuti il 17 maggio 1973 nella strage alla Questura di Milano con 45 feriti  e 5 vittime nella strage mafiosa del 27 luglio 1993 in via Palestro, con 14 feriti. Si contano, ancora, 8 morti e 103 feriti nella strage di piazza della Loggia a Brescia, avvenuta il 28 maggio 1974. A questi caduti si aggiungono 6 morti (2 di Milano e 4 di Abbiategrasso) per la strage del treno Rapido 904 del 23 dicembre 1984 e 4 morti (3 di Como e 1 di Pavia) per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto.

Il totale dei morti per stragi  ammonta a 45 caduti e oltre 250 feriti lombardi.

b) l’eversione del terrorismo rosso

Milano e la Lombardia sono state colpite, con eguale violenza, dal terrorismo rosso con ben 36 uccisioni nella città di Milano e altre 5 uccisioni in altre provincie Lombarde per un totale di 41 morti, mentre i feriti sono 48. A queste vittime vanno aggiunti 19 vittime in scontri politici a

cominciare da quello in cui trovò la morte l’agente di polizia Antonio ANNARUMMA, il 19 Novembre del 1969.

Il totale generale delle vittime in Lombardia sono di 105 morti compresi i due militari uccisi di Mantova uccisi nella strage di Nassiryia in Iraq.

c) L’eversione armata della sinistra antagonista

Il terrorismo è considerato un crimine ed è dichiarato, dal potere costituito, come un comportamento illegittimo o eversione contro lo Stato. Al contrario i terroristi considerano lo Stato come oppressione e si fanno portatori di una giustizia primaria da restaurare.

Il terrorismo si manifesta come antistato: con la ferocia delle corti marziali, con la sospensione delle garanzie istituzionali e con l’esercitazione di una giustizia sommaria e spietata.

I riferimenti storici del terrorismo li troviamo nella rivoluzione francese del 1789, in quella bolscevica del 1917 e più recentemente, dal secondo dopoguerra, nelle guerre anticolonialiste, in Algeria; nella guerra del Vietnam; nelle guerriglie contro i regimi dittatoriali in America Latina e, persino, nella vicina Grecia, che imperversarono tra gli anni ’60 e ’70.

In Italia la violenza politica è stata una bestia, che si è autoalimentata a dismisura, occupando la scena e imponendosi, con prepotenza, nella vita politica del nostro Paese dal 1969 al 1984 con lo stragismo eversivo neofascista e con il terrorismo rivoluzionario di estrema sinistra.

Lo spettro della violenza dominò tale stagione lancinante di scontro fisico, di sangue, di deliri di annientamento del nemico politico. L’escalation della violenza politica sfociò nei gorghi di una deriva cruenta, che seminò attentati e morte. La violenza degli anni Settanta si diffuse perché disponeva di una ideologia che forniva ai violenti una legittimazione e una credibilità fondate dal mito sulla palingenesi rivoluzionaria; per loro l’Italia era, considerata “Stato borghese, a servizio dell’imperialismo americano”nel periodo dei blocchi contrapposti fra comunismo dei Paesi dell’Est europeo e democrazie occidentali e, quindi, da abbattere con tutti i mezzi.

Vi era forte la predicazione della presa violenta del potere, con la rivoluzione marxista – leninista coltivata sulla spinta reattiva della strategia della tensione, dell’ossessione di golpe di Stato in senso autoritario. Da ciò l’idea e il richiamo alla “Resistenza antifascista”, alla rivoluzione interrotta e tradita, dopo la sanguinosa guerra civile tra fascisti e antifascisti, cioè partigiani e repubblichini.

d) il manuale delle guardie rosse rivoluzionarie.

Molti intellettuali e i molteplici gruppi della sinistra extraparlamentare o dei partiti massimalisti erano convinti che la guerra sociale fosse lo strumento per portare al potere la classe operaia e contadina. I teorici del contrasto armato e i gruppi di fuoco composti da giovani terroristi rossi dichiararono, unilateralmente, la guerra allo Stato democratico  e alla Costituzione repubblicana, contando sul consenso delle masse, sulla contiguità di alcune correnti politiche della sinistra  massimalista; sulla contiguità di una opinione pubblica persino borghese che dichiarava la sua neutralità “Né con lo Stato, né con Le Brigate rosse” per creare un’alternativa al potere dominante della Democrazia Cristiana; sull’omertà e di paura che esisteva all’interno delle fabbriche tramite l’azione di “Autonomia operaia” che si contrapponeva  ai sindacati tradizionali e considerava  “delatori  berlingueriani” gli operai che denunciavano i terroristi.

L’area del consenso si esprimeva anche con le molteplici esperienze di guerriglia urbana, che gli studenti dalle Università  portarono nella periferia milanese per indottrinare i proletari e i sottoproletari dei quartieri popolari alla pratica della violenza e dello scontro armato con colonne brigatiste e nuclei rivoluzionari sparsi su tutto il territorio.

La radicalizzazione della violenza e dello scontro politico in una Italia democratica, che si era data la “Carta Costituzionale”, era destinata alla sconfitta e all’isolamento da parte della stessa classe operaia e dei partiti democratici, che scelsero la legalità, contro la barbarie e l’eversione del terrorismo rosso.

L’antagonismo o il contrasto armato in Italia non ha origine, pertanto, da una semplice situazione di sfruttamento o d’inaccettabilità delle condizioni sociali, ma è portavoce di una analisi storica del contesto politico italiano e di una sua logica intrinseca, attraverso un’ideologia fideistica e dogmatica, mutuata dagli intellettuali e dai cattivi maestri sessantottini, teorici della lotta armata che indottrinavano i giovani alla lotta armata nelle aule universitarie e li spinsero ad una deriva di violenza e di sangue contro vittime inermi e  innocenti, colpevoli di svolgere il proprio dovere. Le vittime era uomini normali che svolgevano nella vita quotidiana il loro impegno di padri di famiglia, di lavoro, di affetti e di attaccamento al loro dovere, senza avere alcuna  vocazione di diventare eroi.

Il contrasto politico era coerente ad un disegno di strategia politica, che utilizzava la lotta armata non contro i fascisti,  i padroni , i corrotti, i mafiosi o malavitosi,  ma contro i migliori esponenti delle istituzioni o della società civile che operavano nell’ambito del l’ordinamento costituzionale  dello Stato democratico.

I terroristi erano convinti di dare uno scrollone al sistema politico dominante dell’epoca, che sembrava, a loro giudizio, prossimo alla sfaldamento per la debolezza dei partiti di governo.

Il contrasto nasce quindi dal “Movimento del’68” e dagli scontri politici che occuparono gli anni dal 1968  al 1974, anno in cui i gruppi di fuoco si diedero un’organizzazione di antagonismo armato per pianificare le sue uccisioni con obiettivi mirati.

In tale logica di acquisizione di consensi da parte delle masse i terroristi rivendicavano sempre  i loro  attentati criminali  con volantini propagandistici per motivare uccisioni e ferimenti, secondo la linea rivoluzionaria e delirante della “Direzione Strategica” delle Brigate rosse, o di Prima Linea, o di altri gruppi di fuoco fanatici e deliranti.

e) La sconfitta de terrorismo

I terroristi volevano catturare il consenso della classe operaia, ma i loro delitti feroci, i loro assassinii spietati con azioni truculente e sanguinarie, suscitarono ripulsa e rigetto da parte non solo della borghesia, ma soprattutto dallo stesso movimento operaio che si vide minacciato e che non era più propenso a considerare i settoristi “compagni che sbagliano”.

Il quadro della situazione politica italiana, alla fine degli anni settanta e inizi ottanta si è evoluto in senso contrario all’ipotesi rivoluzionaria con la tenuta e il rafforzamento dello Stato Democratico, che seppe  reagire contro l’eversione di destra neofascista e l’eversione di sinistra massimalista, grazie alla  Riorganizzazione della Sicurezza Nazionale e alla “politica di solidarietà nazionale” con la collaborazione dei due maggiori partiti democratici del Paese la DC dell’on. Moro e il PCI di E. Berlinguer, che non fecero sconti, con la politica della fermezza, a chi praticava  il terrorismo con atti di eversione contro l’ordinamento costituzionale dello Stato.

Ciò segnò “il requiem delle utopie rivoluzionarie”, che non ammette dignità alle motivazioni  di scelte criminali e sbagliate, che non possono trovare una legittimazione né sul piano storico, né sul piano civile e morale, per chi ha commesso stragi e  per chi si è reso protagonista di una stagione di sangue con la scelta armata.

La stella a cinque punte del terrorismo brigatista rimane, tuttora, il simbolo di una pratica feroce e criminale contro vittime innocenti da parte di giovani dai salotti buoni, istruiti, ben vestiti, con genitori e antenati illustri e con le mani ben curate, che sognavano di mandare al potere la classe operaia e contadina ed agiva, processava e compiva delitti e ferimenti in nome del popolo, con il quale nulla aveva da spartire.

L’album di famiglia del terrorismo rosso dimostra che i teorici della rivoluzione mancata, motivarono la loro folle scelta di darsi un’organizzazione di lotta armata clandestina, adducendo tre motivi:

Il primo era quello di  avere la convinzione che, dopo la strage di piazza Fontana, in Italia fossero in atto, con la strategia stragista della tensione e degli opposti, i tentativi di golpe fascisti per portare la dittatura;

Il secondo i rivoluzionari accusavano Enrico Berlinguer, segretario del più grande partito comunista occidentale, di avere tradito la Resistenza e lo ritenevano colpevole di collaborare con la DC di Aldo Moro nel governo di “solidarietà nazionale o del compromesso storico”.

Il terzo motivo, giustificavano il loro antagonismo armato con il timore che anche in Italia sorgesse una  dittatura militare sulla scia  dello scenario internazionale: Cile, Argentina, Grecia ed altri Paese del Sud America.

Il terrorismo rosso dilagò nella maggiori città italiane: Trento, Padova, Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Pisa, Roma, Napoli. Le stragi fasciste pilotate da spezzoni di servizi segreti deviate, si intrecciano con gli attentati delle brigate rosse, che sanno scegliere i loro bersagli mirati: magistrati, politici, giornalisti, economisti, docenti universitari, dirigenti di fabbrica, sindacalisti, cittadini comuni e, soprattutto, i fedeli servitori dello Stato: poliziotti, carabinieri e guardie carcerarie.

Tale strategia del terrore non portò al cambiamento di regime, ma indebolì la classe operaia., anzi bloccò le conquiste di quanti avevano lottato per lo “Statuto dei Lavoratori” e per la promozione umana e sociale dei deboli, degli oppressi e degli sfruttati.

Da ciò nacque la rivolta del Movimento operaio, che assieme ai partiti politici della non trattativa, si mobilitarono per  sconfiggere il terrorismo, soprattutto dopo l’assassinio di Aldo Moro, che pur rappresentando la più grande vittoria delle brigate rosse perché avevano colpito “al cuore dello Stato”, di fatto segnò l’inizio della loro sconfitta. Tale sconfitta fu resa evidente con la mobilitazione del Movimento operaio, durante il funerale  a Genova  di Guido Rossa, operaio sindacalista all’Ansaldo di Genova, ucciso a Genova dalle Brigate rosse il 24 Gennaio del 1979.

Scritto da Antonio Iosa Pres. AVITER   
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