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Così si muore in Calabria
Mercoledì 29 Dicembre 2010 11:24

Calabria

per la legge della terra

Cinque morti, quattro assassini. A Vibo Valentia una storia di confini, di alberi tagliati, di rancori e violenza che fa dire ai magistrati: "Peggio della 'ndrangheta"

di ROBERTO SAVIANO

Così si muore in Calabria per la legge della terra

Gli animali che sconfinano e mangiano l'orto e rovinano la coltivazione. Alberi tagliati senza permesso compromettendo la frutta. I confini della terra continuamente manomessi, e poi in piazza non ci si saluta e si sentono gli sfottò arrivare dietro la schiena. Anzi, un giorno dopo una discussione prendersi uno schiaffo in pieno viso. Questo è sufficiente per far decidere a Filandari in provincia di Vibo Valentia di condannare a morte. Ercole Vangeli e - secondo quanto sta emergendo dalle indagini - alcuni suoi parenti, non vogliono più che i vicini gli freghino la terra, non vogliono più che li prendano in giro in paese dicendo a tutti che loro, i Fontana, fanno quello che vogliono e i vicini, i Vangeli, sono dei miserabili che devono obbedire. Non vogliono più vedere gli zoccoli delle bestie dei Fontana rovinare le loro colture. Né vogliono vedere i loro nocciòli e gli ulivi estirpati per allargare le coltivazioni dei Fontana. Vogliono vendicarsi.

Aspettano i vicini della loro masseria. Li attendono per strada. Tutti gli uomini della famiglia Fontana stanno entrando nel furgone quando Vangeli si piazza davanti al cofano e vuole ammazzarli proprio lì, tutti insieme, tutti in auto. Non hanno ancora chiuso le porte dell'auto quando si catapultano fuori, ma Vangeli inizia a sparare sul capofamiglia Domenico Fontana e su suo figlio Pietro 36 anni e Giovanni di 19 anni. Muoiono subito. Altri due figli, Pasquale di 37 anni e Emilio di 32, iniziano a correre e si nascondono nel capannone, ma i Vangeli li raggiungono

e li finiscono. Mirano sicuri, al petto alle gambe e alla faccia. Sparano con due pistole, una nove millimetri e una 7.65. Verranno rinvenuti più di trenta colpi. Hanno scaricato addosso ai Fontana tutti i caricatori che avevano portato. Una strage.

Può esser semplice e potrebbe anche essere sufficiente dire che è solo una ferocia barbarica generata da arretratezza medievale profonda ignoranza e assenza di Stato, ossia impossibilità di credere che con il diritto tu possa ottenere una qualche forma di giustizia. Ma tutto questo sarebbe solo uno sguardo superficiale che certo potrebbe esser sufficiente se si vuol presto liquidare questa storia. Ma questa non è una strage dettata semplicemente dal raptus di paesani che vivono in terre del Sud dove ci sono più pistole che forchette.

Non è così semplice. Sono stragi della regola. Barbarie certo, ma che si fondono su meccanismi assolutamente disciplinati dalle regole eterne di queste terre. Quando il procuratore di Vibo Valentia dichiara "non è una strage di mafia, è peggio", quel "peggio" sta a indicare che non siamo di fronte a dinamiche militari di due clan con regole di sangue. Sono dinamiche culturali, quella regola non è una regola di mafia, è una regola e basta. La regola appunto, qualcosa di diverso dalle stragi della depressione e dall'isteria del Nord. O quantomeno qualcosa che anche se nasce come raptus si alimenta di una prassi. Se tocchi la roba mia sei morto. Atavica, perenne, inamovibile, eterna. Una regola. Regole assunte come modi di vivere, come meccanismi per stare al mondo. E queste regole sono la forza di cui si alimentano le consorterie imprenditoriali più forti d'Italia ossia 'ndrangheta, camorra e Cosa nostra.

La regola esiste in paese, non in città. Il bandito Salvatore Giuliano diceva "in città scivolo". Come dire che sulla terra il piede è saldo, sull'asfalto delle città complesse che distraggono e dove non ci si conosce e ci si confonde, si rischia di sbagliare. E sbagliare significa vivere senza regola. L'Italia infatti è comandata dai paesi, non certo dalle città. È nei paesi che le regole vengono scritte e gestite. Platì, Casal di Principe, Africo, Corleone, Casapesenna, Natile di Careri e la lista dei paesi che dirigono gran parte dei capitali italiani è assai lunga. In questi luoghi cresci e ti formi, sia che tu prenda la strada della criminalità sia quella dura del lavoro in una terra senza lavoro, insomma, cresci con la certezza che il primo bene è la terra. Case, bestie, cemento, alberi. Il resto, le auto, i soldi investiti e le banche, non sono la radice delle cose. La roba è la roba che passerà al tuo sangue e che tu hai avuto dal tuo sangue. Il confine della terra è il confine del tuo corpo. Guardare negli occhi è già superare quel confine.

Quando ero ragazzino e mi presi il primo mazziatone di calci e pugni perché avevo guardato negli occhi tal Ciruzzo Romano, un ragazzino delle mie parti, perché "m'hai guardato" mi dissero subito con fare stupito: "Non guardare negli occhi, che gli occhi sono territorio, quindi pensaci bene se in quel territorio ci puoi entrare". Rubare un moggio di terra è come toccare un figlio, tagliare un albero è come rapire, venire a farti mangiare le coltivazioni dalle bestie è come sputarti in faccia. La regola è chiara. Non toccare la roba. Vivere per prendere roba. Vangeli, l'uomo della strage ha sua figlia iscritta all'Università che studia legge, una vita solita, e un'assoluta consapevolezza di quello che stava facendo. Del resto, nel 2008 e sempre in provincia di Vibo Valentia, in una frazione di Briatico, Vincenzo Grasso aveva ammazzato a pallettoni due suoi cugini perché secondo lui gli fregavano la terra trattandolo come un fesso. "Se vivo ti ammazzo, se muoio ti perdono", è un adagio che chi è cresciuto in questi paesi, dalla Locride alla Barbagia passando per l'Aversano, ha sentito decine di volte pronunciare durante le litigate per i confini o negli sgarri familiari. Il contesto non è affatto la miseria contadina, la solitudine e l'analfabetismo. Stiamo parlando di un episodio accaduto in provincia di Vibo Valentia, un territorio egemonizzato da un clan spietato, disciplinato, ricchissimo e internazionale. Il clan Mancuso. Giuseppe Lumia con molta chiarezza l'aveva definito la prima consorteria criminale per potenza economica d'Europa. Investe soprattutto in Lombardia, nel cemento, nella distribuzione di cibo e di benzina, nella gestione degli appalti, nel narcotraffico, nel condizionamento delle amministrazioni comunali e nel segmento sanitario di Monza, Novara e nei Comuni di Giussano, Seregno, Verano Brianza e Mariano Comense.

Nel paese della strage, Filandari. C'è una loro costola, la 'ndrina dei Soriano che egemonizza tutto quanto accade, impone dazi sui lavori alla Salerno-Reggio Calabria e su ogni camion che passa per il loro territorio. Leone Soriano, il boss di Filandari, voleva che gli fosse ceduta qualsiasi attività imprenditoriale di successo. Da proprietario diventavi dipendente. Le 'ndrine del territorio investono molto nella calabresella, la marijuana calabrese che è considerata la marijuana di maggior qualità sul piano internazionale, preziosa e più costosa rispetto alle altre ma molto più forte e molto più difficile da coltivare rispetto alla Skunk e alla White Widow (che ha vinto la Cannabis Cup, pur essendo di qualità inferiore alla calabresella) e il cui traffico è egemonizzato dalla 'ndrangheta. Due dei ragazzi Fontana ammazzati nella strage erano stati arrestati per estorsione e investivano in calabresella. E' un territorio, quindi, che grazie alla marijuana e al traffico di coca è diventato molto ricco. Ricchissimo. Anche Francesco Leonardo Brasca, sindaco negli anni '90 di Vibo Valentia ed insegnante, nel settembre scorso è stato arrestato dai carabinieri perché in un castagneto aveva una piantagione di calabresella. Quale arretratezza in un luogo dove, attraverso il narcotraffico, arrivano milioni e milioni di euro? Sta qui il nodo. Il massimo grado della tradizione della regola arcaica unito al massimo grado dell'evoluzione economica. Web, mercato, finanza, droga, ma solo se tutto questo viene governato dalle regole ataviche della roba, dello sguardo basso, dei matrimoni combinati, della verginità, delle regole di sangue. Il mondo lo comandi se sai vivere con queste regole anche quando le regole ti portano a svantaggi e alla galera per nequizie. E' la regola, se subisci hai perso, diventi nulla meno che nulla, nulla mischiato con niente, verme, bruco, topo, sottoterra.

Questa è la verità drammatica di questa strage che se viene ascritta solo ad un feroce raptus in terra barbarica non servirà nemmeno a far capire come una parte del paese vive ed egemonizza. Mi sono sempre chiesto com'era possibile che nei posti dove sono nato e in quelli dove il mio mestiere mi ha portato venisse ucciso un uomo come Antonio Magliulo solo perché aveva corteggiato una ragazzina e lui era un uomo sposato e la ragazzina la nipote di un boss. Come era possibile che il clan fosse disposto a prendersi ergastoli perché un boss uccideva un suo compaesano a Mondragone negli anni '90 solo perché non gli aveva regalato il maiale per Natale? Com'è possibile che una delle faide più feroci della storia italiana, quella a San Luca d'Aspromonte tra i Nirta-Strangio e i Pelle-Vottari. trovi come origine il 10 febbraio 1991 in un gesto all'apparenza futile? Quando un gruppo di ragazzi legati ai Nirta, detti "Versu", nei giorni di carnevale lanciarono uova contro il circolo ricreativo Arci gestito allora da Domenico Pelle, uno dei "Gambazza", sporcando anche l'auto di uno dei Vottari. E' possibile perché questi comportamenti rendono le loro regole inderogabili, le rafforzano proprio nella pratica quotidiana, proprio quando sembrano superflue. Le 'ndrine di Vibo Valentia hanno per prime creato un legame con le organizzazioni criminal-imprenditrici cinesi. A Monza le 'ndrine di Vibo vengono coinvolte nella storia del Multisala delle meraviglie, che avrebbe dovuto portare nel Parco del Grugnotorto 180mila metri quadrati di spazio verde con laghetto, piste ciclo-pedonali, piantumazione, 130 nuovi posti di lavoro, internet cafè, biblioteche multimediali, sale convegno, teatro. Il multisala, inaugurato nel 2005 da Cristina D'Avena, era rimasto vuoto ed era stato ceduto dopo pochi mesi a Song Zichai, per trasformarlo nel Cinamercato, il più grande centro commerciale di merce cinese del Nord Italia, con 280 mini negozi, scuola italo-cinese, palestra di kung fu, alloggi per le famiglie cinesi che ci avrebbero lavorato. Invece è stato dichiarato il fallimento e tutto si è fermato. Per realizzare l'acquisto dell'immobile, del valore di oltre 40 milioni di euro, sono stati presi contatti con esponenti della cosca Mancuso.

Com'è possibile che nel territorio dove avvengono patti internazionali e joint venture con i cinesi, dove passano capitali internazionali e da dove vengono gestite persino le province lombarde, ci si ammazzi per confini di terra, perché sono stati tagliati ulivi o le capre hanno calpestato i pomodori? La corazzata (im)morale delle mafie italiane si fonda su questa cultura. Cultura che ha portato alla strage di Filandari. Chi si avvicina a te sa che esiste una regola, chi affili sa che esiste una regola. E questa regola è la vendetta, la punizione. Semplice. Sai cosa puoi fare, sai cosa non puoi fare. Non c'è altra interpretazione. Chi comanda può dare altre regole, renderne alcune meno severe ma non può cambiarle. Al massimo aggiungerne. E sono la terra, gli ulivi, i noci, i limoni, le pecore, le capre e le vacche o le bufale, i cavalli e il grano, la masseria. L'elemento primo e sicuro. L'olio, il pane e i pomodori. I molti nipoti e le galline. La moglie che ti sposi vergine (le amanti poi le prendi al Nord o all'Est) e il fatto che al paese tutti ti salutano, al ristorante ti servono per primo anche se arrivi ultimo, il parcheggio ti viene lasciato se arrivi in una zona dove tutto è occupato. Perché tutti gli imperi di capitali finanziari, di banche e ristoranti, di coca e usura, di marjuana e racket, di politica e palazzi, tutto questo si regge sulla regola. E quella regola la confermi e difendi se al tuo paese esiste e vive. Perché se anche sei un boss ed investi a New York nella ricostruzione delle torri gemelle, tutto questo lo puoi fare proprio perché quando entri dal barbiere, qualsiasi cliente si alza e ti fa sedere. "L'impero sulla terra sta" sulla roba e sulla regola. Quei trenta colpi di pistola, purtroppo sono molto peggio di una barbarie, sono frutto di un meccanismo a cui obbedisce chi in questo momento investe, vince e gestisce gran parte di questo nostro bellissimo e dannato paese.

(29 dicembre 2010) © Riproduzione riservata

Scritto da Roberto Saviano   
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