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Essere o sentirsi italiani?
Domenica 13 Marzo 2011 12:21

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Centocinquant'anni di unità, ancora una manciata di giorni e l'Italia si appresterà ad autocelebrarsi. L'appuntamento è fissato per giovedì 17 marzo. Per alcuni sarà soltanto vuota retorica, per altri un'importante occasione per riscoprire la propria italianità, per tutti senz'altro un motivo di riflessione.

Siamo o ci sentiamo italiani? E' un interrogativo che solo in apparenza appare capzioso o privo di senso.

L'occasione per soffermarsi su di esso mi è stato offerto qualche giorno fa alla presentazione di "Scusi, lei si sente italiano?" un libro edito da Laterza e scritto da Poalo di Paolo e Filippo Maria Battaglia. Nella cornice ristretta ed accogliente che solo le piccole librerie di città sanno offrire, si è discusso della sottile differenza che intercorre tra il nascere in un luogo, condizione del tutto aleatoria e l'appartenervi, frutto di una ferma volontà dell'individuo di identificarsi con gli usi e costumi locali.

Considerare un uomo per il colore della pelle, per la lingua con cui si esprime o per il luogo geografico da cui proviene l'ho sempre considerato un pericoloso esercizio di melensa intellettualità.

Forse che celebrare i centocinquant'anni dell'Italia unita sia il preludio di un esasperato nazionalismo, anticamera di un latente razzismo? Niente affatto, ma la sua esaltazione mi rimanda ad un'idea di individuo quanto meno semplicistica e riduttiva.

Restringere la complessità di una persona ad un assieme di usi e costumi ma anche di sensibilità riconducibili ad un determinato popolo è un'operazione talmente anacronistica da risultare, questa sì, totalmente priva di senso.

Viviamo in un epoca governata dalla globalizzazione e dalla condivisione più o meno pacifica dell'intero globo terrestre e ancora tendiamo ad identificare le persone con i luoghi in cui essi nascono e vivono.

Attraversiamo gli oceani per raggiungere gli opposti estremi della Terra in meno di ventiquattro ore e discutiamo dell'appartenenza delle persone a determinate culture o sottoculture come sovente usasi definire la diversità.

Proclamiamo la pace tra i popoli, riscopriamo l'utopismo di Martin Luter King e dell' Albert Einstein filosofo e ci battiamo poi per il culto della appartenenza territoriale.

Amare la propria patria, onorare il vessillo che ci rappresenta, esaltare la propria "identità" in nome di valori che si presumono essere comuni di un dato popolo è un esercizio che non mi appartiene e il cui compito lascio volentieri e con rispetto a coloro che in ciò davvero credono.

Non mi sento italiano, né francese, né tedesco, né europeo; sono solo un uomo, nato in un luogo chiamato per convenzione Italia, fiero di appartenere al genere umano.

Cordialmente

www.ondanomala.org

Scritto da Raffaele de Chiara   
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