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Dal Nord al Sud fieri del tricolore
Giovedì 17 Marzo 2011 17:14

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così vince l'orgoglio nazionale

L'indagine condotta da Demos ritrae una popolazione coesa, non condizionata dalle polemiche leghiste. Solo il 7 per cento dei cittadini ritiene che l'unificazione amministrativa sia stata un errore. Anche tra gli elettori del Carroccio il secessionismo non sfonda: in sette su dieci prevale lo spirito unitario. Rispetto a 10 anni fa ci sentiamo più divisi e infelici. Perfino meno solidali Ma fiduciosi nel futuro del Paese di ILVO DIAMANTI

Dal Nord al Sud fieri del tricolore così vince l'orgoglio nazionale

DOPO 150 anni l'Unità dell'Italia pare acquisita. Riconosciuta dagli italiani, senza grandi problemi, insieme ai simboli e agli avvenimenti storici che la contrassegnano. Non era scontato, anzi: le polemiche sollevate dalla Lega e - per riflesso - dalle frazioni "neoborboniche" del Sud, sembravano allargare le distanze che attraversano il Paese. Trasformando le differenze in divisioni. Ma i dati del sondaggio condotto da Demos (per Intesa Sanpaolo) disegnano un ritratto molto diverso. Quasi il 90% degli italiani (intervistati nel corso dell'indagine) considera in modo positivo la conquista dell'Unità. Più specificamente, il 56% la giudica "positiva" e il 33% "molto positiva". Solo il 7% guarda l'Unità italiana con atteggiamento di segno negativo. È un sentimento condiviso dovunque. Le differenze territoriali sono minime. Per cui lo spirito unitario appare meno esteso nel Nord. Ma solo "un po'". Anche tra gli elettori della Lega, per quanto più circoscritto, raggiunge il 70%. La ragione di un orientamento così positivo, nonostante le polemiche, probabilmente, sta proprio nelle polemiche. Nel dibattito acceso - e continuo - suscitato negli ultimi mesi intorno all'Unità e ai suoi simboli. Nella catena di provocazioni piccole e medie - lanciate dalla Lega e dai suoi amministratori. "Va pensiero" cantato nelle cerimonie invece dell'Inno di Mameli. I vessilli regionali invece del - o accanto al - Tricolore. Poi l'accostamento continuo del federalismo all'indipendenza del Nord.

Insomma, una sequenza di sfide e di piccoli strappi che hanno prodotto l'esito, non si sa quanto voluto, di rafforzare il sentimento unitario, insieme ai simboli che lo evocano. Agendo da spot emozionali e promozionali, invece che da disincentivi.

LE TABELLE

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Un fenomeno molto simile si era verificato agli inizi degli anni Novanta, quando la Lega lanciò la sua campagna indipendentista, che sfociò, nel 1996, nella marcia "secessionista" lungo il Po. Per marcare il confine padano rispetto all'Italia. Ebbene, mai come allora l'orgoglio e l'identità nazionale assunsero proporzioni così ampie. E il sostegno all'unità italiana apparve largo come mai prima di allora. Lo stesso orientamento che emerge in questa fase, in questi giorni. Tutti gli italiani, o quasi, convinti dell'importanza della conquista unitaria. Convinti che sia importante riconoscersi italiani. Anche tre elettori della Lega su quattro. Evidentemente, leghisti senza essere padani.

Allo stesso modo e allo stesso tempo, è significativo il valore attribuito a eventi e simboli "unitari". Altrimenti e altre volte sottovalutati. Se non criticati apertamente. La Costituzione, il Risorgimento, perfino la Resistenza. E ancora, l'Inno di Mameli, il Tricolore. Gli italiani guardano con ammirazione i Padri della Patria: Camillo Benso conte di Cavour, Giuseppe Mazzini e, per primo, Giuseppe Garibaldi. Spesso "deplorato" dai nordisti, dai sudisti, in qualche misura, anche dai papalini. Per aver "unificato" l'Italia. Il Nord e il Sud. Figura eroica, in camicia rossa. Ed è interessante osservare come l'ammirazione degli italiani si allarghi anche ad alcuni tra i "fondatori" e i leader politici della Prima Repubblica. Democristiani ma anche comunisti. Alcide De Gasperi ed Enrico Berlinguer, soprattutto. E, per primo, Aldo Moro, rapito e ucciso dalle Br, anche (forse proprio) perché aveva perseguito - quasi raggiunto - lo "storico compromesso" fra i due partiti di massa che avevano fondato e accompagnato l'Italia repubblicana. Certo, non bisogna pensare che il disincanto nazionale, all'improvviso, sia scomparso. Rimpiazzato da un orgoglio inedito. Sarebbe troppo. Intanto, l'atteggiamento verso l'ultima fase della Prima Repubblica è molto più critico. Craxi, lo stesso Andreotti sono guardati con diffidenza. Associati a Tangentopoli. Percepita come una rivoluzione mancata, più che incompiuta.

La storia nazionale, per molti italiani, è come fosse finita allora. Da lì inizia il declino. Che riapre la frattura nei confronti delle istituzioni e della sfera pubblica. L'orgoglio nazionale, per questo, si indirizza, più ancora di un tempo, su aspetti che riguardano le tradizioni sociali e locali. La cultura e l'arte. Ci si dice orgogliosi del nostro patrimonio artistico, delle bellezze del nostro territorio, della nostra cucina, della moda, del cinema. Del nostro stile e del nostro modo di vita. Ma molto meno - anzi, quasi per nulla - della politica e dei politici. Insomma, gli italiani si sentono uniti dalla loro capacità di "fare" e inventare, di reagire alle difficoltà. Ma da soli. Senza lo Stato e senza le istituzioni. Di cui si apprezza la storia, non il presente. Da ciò il significato riconosciuto alla Costituzione, di cui si discute molto, oggi, ma che è stata scritta molto prima. Dopo la guerra. Da ciò, soprattutto, il grande valore riconosciuto alla ricostruzione degli anni Cinquanta e Sessanta. Un periodo emblematico, quasi una bandiera. L'epoca in cui il Paese riuscì a risollevarsi dal baratro in cui l'aveva gettato la guerra. A "ricostruire", o meglio, a "costruire" un'economia che prima non esisteva. A conquistare lo sviluppo, prima, il benessere, poi. In altri termini: a inventare un futuro nuovo e diverso rispetto al passato. Oggi, invece, anche l'orgoglio suscitato dagli imprenditori e dall'economia appare timido. Conseguenza evidente di questa fase di crisi.

Insomma, echeggiando Spinoza, l'orgoglio nazionale appare una "passione triste". Rispetto a 10 anni fa, infatti, gli italiani, si sentono più divisi e infelici. Perfino meno solidali. Ammettono un ulteriore declino dello spirito civico. Eppure scommettono che fra 10 anni il Paese sarà ancora unito, in un'Europa ancora unita. Scommettono che si canterà ancora l'inno di Mameli. Che il Tricolore continuerà a sventolare. Nonostante lo Stato e le leggi. Nonostante la crisi economica. E se si sentono frustrati dal presente e dal passato recente. Se il futuro è fuggito. Allora si rifugiano nel privato e nella memoria. Nei miti della storia. Questo Paese disincantato e disilluso. E, nonostante tutto, unito. Questo Paese di "italiani nonostante".

(17 marzo 2011)

Scritto da Quotidiano La Repubblica   
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