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Giornalismo, rugby e cultura le passioni di un fuoriclasse
Venerdì 04 Novembre 2011 07:09

Davvanzo

Sala gremita per parlare di Giuseppe D'Avanzo, nella serata a lui dedicata organizzata dall'Ordine dei giornalisti campani e dal Comune di Napoli

di CONCHITA SANNINO

Le coraggiose inchieste firmate Giuseppe D'Avanzo, stavolta, erano solo un passo indietro. C'erano le testimonianze legate a Peppe, prima. La sera al primo concerto di Springsteen e il fuoriclasse tipo "napoletano normanno" che attraversava la palude cittadina dei primi Ottanta. Il lettore raffinato che cercava conoscenze e dubbi. L'ironia di chi ascolta e nutre curiosità per le persone. E la forza del rugbysta, lo sportivo che sfida il limite. Tutti ingredienti che, però, spiegano anche la ricchezza di un grande cronista che non avrebbe mai mollato la presa contro il potere — qualunque volto questo assumesse — fino all'ultimo giorno della sua vita. «Un irriducibile», dice Ezio Mauro.

Le immagini della Sala dei Baroni

Davvero, ieri, al Maschio Angioino, non si è commemorato ma si è parlato di D'Avanzo, l'editorialista di Repubblica scomparso a luglio.

L'invito dei fratelli Antonio e Chiara, subito condiviso dal presidente dell'Ordine dei giornalisti della Campania Ottavio Lucarelli, era stato preciso: «Parliamo di Peppe, una vita per il giornalismo». Iniziativa ospitata e patrocinata dall'assessore comunale Antonella di Nocera alla Sala dei Baroni del Maschio Angioino, dove, insieme al presidente del consiglio Raimondo Pasquino, centinaia di persone si ritrovano, per tre ore, a "fare

memoria" della sua esperienza, della sua voce. Tantissimi volti noti accanto alla moglie Marina D'Amico, al direttore di Repubblica Ezio Mauro, giunti da Roma con gli amici e colleghi Attilio Bolzoni e Fausto Gianì, vicini a Peppe anche nell'istante in cui un infarto lo stroncava a Calcata, nel Lazio.

E poi la redazione napoletana di Repubblica, guidata da Giustino Fabrizio, con tanti colleghi del Mattino, del Corriere, della Voce della Campania, dell'Ansa. Ci sono anche il regista Paolo Sorrentino, il produttore Nicola Giuliano, l'attrice Cristina Donadio, i magistrati Aldo De Chiara, Paolo Mancuso, Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock. E poi gli ex campioni come Sandro Gelormini, Ugo Gagliardi e gli altri che, con Peppe, avevano condiviso gli allori del rugby "Cus Napoli Partenope". Messaggi di profonda adesione arrivano dal sindaco de Magistris e dal governatore Caldoro.

È intensa la testimonianza di Enzo D'Errico, firma del Corriere della Sera, amico trentennale di Peppe. «Peppe non è mai stato un collega. Era il migliore di noi, e uso la parola cronista perché so quanto la amasse. Il talento era tanto, ma non spiega tutto. Ci vogliono ore e ore passate in una sala stampa, ci vogliono ore e ore a riscrivere un pezzo, ci vogliono ore e ore a leggere atti giudiziari, ci vogliono forza e schiena dritta a respingere le lusinghe del potere, anche a costo di restare disoccupati, come successe a noi».

D'Errico rievoca la dura e formidabile palestra che è stata la Napoli anni Ottanta per i cronisti come lui, Fulvio Milone, Enrico Fiore, ricorda anche Mariella Cirillo e Massimo Baldari che non ci sono più. «Credo che esistano due tipologie di napoletani - aggiunge - quello di ceppo spagnolo, guascone e arruffone. E quello di ceppo svevo-normanno. Peppe apparteneva al secondo. Carattere duro, ostico. Appena lo vedemmo, nella redazione di Paese Sera, capimmo che era un fuoriclasse, oltre che un gran rompiballe».

Anche Ezio Mauro comincia da Peppe, per parlare di D'Avanzo. «Scherzavamo: io piemontese, lui partenopeo, sembravamo fatti apposta per non trovarci. Ma tutti e due sapevamo che si poteva restare cronisti in qualunque ruolo si fosse impegnati, dentro il giornale. Peppe era un grande cronista, e la sua indagine permanente, che era la sua cifra, è diventata un modello involontario». Spiega Mauro: «Involontario: non era uno che voleva dare lezioni, ma lavorava in mezzo agli altri, e chi usa quel rigore a partire da sé, quella irriducibilità nel cercare e analizzare i fatti, si tira dietro gli altri. La sua figura resta unica. Peppe ci manca moltissimo anche come punto di riferimento. Il vuoto giornalistico non è colmabile, ma è il vuoto della presenza umana quella con cui io faccio i conti tutti i giorni: che venisse da me per discutere, per litigare o perché c'era "roba", come diceva lui. Peppe, a differenza di altri, vedeva il mondo sottostante che legava le cose. Sapeva tirare fuori dai fatti un significato riposto che andava oltre la facciata delle vicende illuminate dai riflettori». Non come protagonista indagava, ma come testimone privilegiato. A costo di scontri durissimi. «Anche nei momenti più feroci di litigio c'era sempre uno snodo in cui ci si guardava negli occhi, ci rendevamo conto che stavamo scoprendo qualcosa di nuovo. Ma, come ho detto nel giorno dei funerali a Roma, portiamo con noi il suo passo. Non finisce qui».

Claudio Botti, noto penalista, era l'amico a cui Peppe consegnava dubbi o analisi giuridiche, intimi ragionamenti e perfino disquisizioni «tra linguine o spaghetti sul terrazzo di Capri». Commosso, Botti ricorda: «Quando arrivava la sua telefonata mi sentivo uno studente: "Botti, allora fammi capire questa cosa". A differenza di alcuni metodi in voga, lui con i magistrati aveva un rapporto paritario, forte. L'ho difeso in alcuni processi, magari ne avessi clienti come lui, che aveva l'arma della verità e del rigore dalla sua parte».

Parlano anche il cugino, avvocato Enzo Maiello, Peppe Silvestri che lancia l'idea della borsa di studio, Mario Coppeto, Andrea Cinquegrani. Passione giornalistica e passione civile. A chiudere, c'è la voce commossa di Antonio D'Avanzo. Gli occhi, gli stessi occhi di Peppe, sorridono. Dicono grazie.

Scritto da Quotidiano La Repubblica   
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