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Hitch lui sì che capisce la vita
Sabato 17 Dicembre 2011 15:50

Hitch-22-A-Memoir

personaggi cult Strepitoso giornalista e scrittore, polemista, ateo. Un anno fa, in tour per presentare la sua autobiografia, Christopher Hitchens ha scoperto di avere il cancro. In questa intervista ricapitola tutto. E non smette di provocare

di Lynn Barber

Rileggere oggi il prologo di Hitch-22, l'autobiografia di Christopher Hitchens, è un'esperienza inquietante, poiché si ha l'impressione che l'autore sappia con chiarezza che sta morendo. Il primo capitolo ha addirittura per titolo Prologo con presentimenti, e si apre con lui che su una rivista legge un articolo dedicato "allo scomparso Christopher Hitchens". Il prologo è stato scritto verso la fine del 2008. La notizia che Hitchens aveva un cancro non operabile è arrivata nel giugno del 2010, esattamente all'inizio del tour promozionale del libro. A chi gli chiedeva della prognosi, Hitch rispondeva: "Ho un cancro dell'esofago non operabile con metastasi in stadio quattro. E lo stadio cinque non esiste". Sembrava aver accettato il fatto di essere al capolinea. Da allora, le cose sono un po' cambiate. Lunghi cicli di pesante chemioterapia hanno sradicato buona parte dei noduli che aveva intorno alla clavicola, anche se uno, particolarmente ostinato, resiste. Il grande timore è ora che il cancro si estenda al fegato, ed è sulla buona strada. Ma la chemio è finita, e i capelli stanno ricrescendo. Lo scorso novembre, durante il dibattito televisivo con Tony Blair a Toronto, sembrava quasi il Dalai Lama: pelato come una palla da biliardo, paffuto e bonario. Era quello l'Hitch che mi aspettavo di trovare. Stavolta, però, nella sua casa di Washington lo trovo di nuovo cambiato. Le guance sono coperte di barbetta grigia, ma è terribilmente magro. Il che, curiosamente, gli dà un'aria ebrea, cosa che a lui piace. È stato contento di scoprire, molto tempo dopo il suicidio della madre, avvenuto nel 1973, che la donna era ebrea. Si era portata il segreto nella tomba. Mi fa fare il giro dell'appartamento, ben lontano dallo squallido sottotetto che il suo amico Martin Amis era solito chiamare "il calzino". Allora. Come andiamo? "Oggi... normale", risponde. "Spero sia lo stesso anche domani. Ma è una cosa che scopro soltanto svegliandomi. Certi giorni ti piomba addosso una spossatezza tremenda, una stanchezza cronica, e non c'è niente da fare. Ma ho smesso di vomitare, per esempio, che era la cosa peggiore, ed è durata per mesi. Ora riesco di nuovo a mangiare". La chemio hanno dovuto interromperla, mi spiega, perché gli stava danneggiando il midollo osseo e la cistifellea, che gli è stata asportata. In ogni caso, tutti quegli aghi gli avevano ormai lasciato "due braccia da tossico", e trovare una vena era diventato impossibile. Per cui ora segue una cura diversa, una pillola e via, che potrebbe funzionare o no. Scrive ancora 1000 parole al giorno? "No. Non ce la faccio. Certi giorni riesco soltanto a leggere". Continua comunque a consegnare la sua rubrica a Vanity Fair Usa ogni mese, oltre a scrivere con regolarità recensioni di libri per l'Atlantic Monthly e ogni tanto qualche articolo per Slate. Sta anche pensando a un breve libro su quella che lui chiama "la malattia". Inizialmente aveva delle riserve sul fatto di scrivere del suo cancro - "Volevo rigorosamente evitare un certo tipo di sentimentalismo" - ma poi, dopo le insistenze di Graydon Carter, direttore di Vanity Fair, ha scoperto che "quantomeno era facile. Non che abbia pensato: "Yu-huuu, ho un argomento nuovo di zecca!". Ma non mi è parso ci fossero motivi per non scriverne. E così ho fatto, e continuerò a fare, se verrò risparmiato". La cosa interessante, dice, è che il cancro gli ha dato accesso a tutto un mondo inesplorato di medicina sperimentale, grazie a Francis Collins. Collins non solo è un grande scienziato - ha guidato il Progetto Genoma Umano - ma è anche una figura di spicco della comunità cristiana evangelica. Con lui, Hitch ha tenuto alcuni dibattiti dopo la pubblicazione del libro Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa. "Quando mi sono ammalato, mi ha contattato e mi ha detto: "Posso fare qualcosa?"", racconta Hitch. "E così oggi sono uno dei pochissimi ad avere il proprio genoma completamente sequenziato. Il mese scorso mi hanno detto di aver individuato una piccola mutazione. Ed esiste un farmaco - rarissimo e costoso - progettato espressamente per questa mutazione. Lo sto prendendo da due o tre settimane, presto scoprirò se funziona". Qualcuno dei suoi dottori nutre speranze di guarigione? "La parola "guarigione" non è mai stata usata, no. Ma magari riescono a tenermi in vita finché qualcuno scopre un farmaco migliore. Dagli esami è risultato che ho un cuore, un fegato e una pressione sanguigna eccellenti, per una persona della mia età (61 anni, ndr), per cui loro dicono: "se riusciamo a tenerti in piedi, può darsi che al più presto si possa fare qualcosa". Ecco la vita che faccio oggi. Un po' vertiginosa, ma di certo non mi annoio!". Fa il suo ingresso Carol Blue, la moglie, fisico prorompente, bella voce roca, gran massa di capelli neri, pantaloni sottili come una matita e tacchi assassini. Ha l'abitudine, scopro in seguito, di definirsi "una poco di buono" e la cosa sembra avere un suo perché. Hitch si è sentito male proprio mentre si imbarcava nello spezzone americano del tour promozionale. Rinvenendo nella sua stanza d'albergo a New York, lì per lì ha pensato a un infarto - non riusciva a respirare - e ha chiamato un'ambulanza. Aveva davanti una giornata fitta d'impegni - un'apparizione al Daily Show di John Stewart, un incontro con Salman Rushdie al centro culturale 92nd Street Y, un dibattito con il fratello Peter Hitchens sul libro di quest'ultimo, In Defence of God (In difesa di Dio). Carol stava arrivando in aereo da Washington per assistere agli incontri, ma quando ha telefonato in albergo le hanno detto che Hitch era andato via. All'ospedale il problema immediato è stato individuato nella presenza di liquido intorno al cuore, e dopo averglielo drenato l'hanno dimesso, aggiungendo però che avrebbe dovuto vedere urgentemente un oncologo. Quello è stato il primo accenno alla possibilità che avesse un cancro. Nell'attesa, Hitch è corso ad assolvere al suo impegno-Rushdie. Carol l'ha trovato davanti all'ingresso posteriore del teatro che fumava una sigaretta col suo agente. "Ci siamo avvistati da due isolati di distanza, e io gli sono corsa incontro. Ero talmente felice di vederlo! Dopodiché abbiamo affrontato la serata, sorridendo e socializzando come se niente fosse. Ma mi ricordo che per la prima volta ho avuto la sensazione che su di lui incombesse un'ombra". L'indomani, Hitch ha visto un oncologo, si è fatto fare una biopsia ed è andato avanti con il tour in attesa dei risultati. Ma poi è svenuto di nuovo, all'aeroporto di Boston, mentre andava a tenere una conferenza a Harvard. L'hanno portato al Brigham Young Hospital, e lì è arrivato il verdetto: cancro esofageo in stadio quattro. "Gli ho chiesto se stavo per morire, e loro mi hanno detto no, non subito. Ma uno ha aggiunto: "Le resta un anno". E la prima volta che te lo senti dire, non la dimentichi". A quel punto, il suo editore ha diffuso un comunicato stampa per annunciare l'annullamento del tour e spiegarne il motivo. La chemioterapia è stata sfiancante, ma nelle pause tra un ciclo e l'altro Hitch è riuscito a mantenere alcuni dei suoi impegni pubblici, tra cui il dibattito con Tony Blair a Toronto in cui si discuteva se nel mondo moderno la religio- ne sia o meno una forza benefica. Quel giorno era in pessima forma, tanto che temeva di sentirsi male sul palcoscenico (ma così non è stato) e a mani basse ha vinto il confronto con un Blair insolitamente nervoso. All'inizio dell'anno, però, Hitch ha avuto una crisi e ha rischiato di morire. La cosa peggiore, al momento, è la stanchezza che gli impedisce di spostarsi. Prima viaggiava tre o quattro volte al mese, e almeno una volta all'anno faceva in modo di visitare qualche paese in tumulto. In circostanze normali, avrebbe già preso il primo aereo per la Tunisia, l'Egitto, la Libia, mentre adesso riesce a malapena a uscire di casa. "Sta diventando un'impresa perfino andare in banca". Perché ha sempre avuto tanta voglia di precipitarsi in situazioni pericolose? Per dimostrare di essere un duro, di avere coraggio fisico? All'inizio, ammette lui, c'entrava forse il desiderio di fare colpo sul padre, "il comandante", un eroe di guerra vero. Ma in realtà è soprattutto "per sfuggire alla noia. Detesto annoiarmi. Preferisco andarmene in un paese sull'orlo del disastro che starmene con le mani in mano. E credo anche sia un dovere andare a vedere coi propri occhi cosa succede negli altri posti". Cosa che però lo espone all'accusa di essere un turista della rivoluzione. "Chiaro", ribatte lui. "Nonché un voyeur. Di questo uno è consapevole. Ma è sempre meglio che non andarci". Carol ritorna con montagne di cibo cinese e ci spostiamo in sala da pranzo. Hitch si avventa sul cibo e comincia a ingozzarsi. "È come avere in casa un adolescente bulimico". Gli chiedo come si sono conosciuti, e Hitch racconta che è successo al nastro bagagli dell'aeroporto di Los Angeles, nel 1989. Stava facendo il primo tour promozionale della sua carriera, e dalla casa editrice potevano permettersi di pagargli il volo a Los Angeles, ma non l'albergo. Però conoscevano una ragazza, tale Carol Blue, che lavorava al Los Angeles Times e amava ospitare scrittori. Hitch: "Le avevo lasciato un messaggio dicendole di cercare un inglese in declino, e vedendola arrivare pensai: "Be', questa di sicuro non è". E invece lei mi venne incontro...". Carol: "Non la finiva più con questa storia che era in declino. E aveva solo 39 anni. Poi mi portò in Romania proprio quando spararono a Ceausescu, e fu stupendo, pareva di essere in una scena della Corazzata Potëmkin o roba del genere...". Hitch cerca di interromperla - mi legge in faccia "turista della rivoluzione" - ma Carol è inarrestabile. "C'erano i cecchini che sparavano, noi eravamo sul retro di un furgoncino, e ci avevano dato queste pile di giornali con il titolo "Assassinato Ceausescu", e c'erano i contadini che ci applaudivano, e noi che lanciavamo i giornali dal furgone, ed era straordinario, portavamo la notizia della rivoluzione. Vedevamo i soldati morti per strada, e alla fine ci fecero visitare l'obitorio". è stata quella la loro luna di miele? "Esatto! Per me fu affascinante. Avevo studiato scienze politiche, e per la prima volta mi ritrovavo a vivere un momento-chiave della storia". In seguito Hitch mi manderà una mail per chiarire che quella non fu davvero la loro luna di miele, ma il primo viaggio che fecero insieme. "Tempismo perfetto: Ceausescu fu ucciso proprio quella settimana. Ogni volta che vedo (o leggo di) moti di liberazione, mi sorprendo sempre a pensare: "Che bello sarebbe essere innamorati in un momento del genere!"". Considerato che Carol è di suo un personaggio notevole, trovo sorprendente che Hitch, nella sua autobiografia, la citi a malapena, così come a malapena cita la prima moglie Eleni Meleagrou e i suoi tre figli: Alexander e Sophia, avuti dal primo matrimonio, e Antonia. L'omissione risulta ancor più eclatante visto l'entusiasmo, da vero innamorato, con cui si spertica sui suoi amici maschi - Martin Amis, James Fenton, Ian McEwan e Salman Rushdie - mentre mogli e figli vengono appena sfiorati. "Comincio a pensare che esista una specie di comitato centrale dei recensori che ha ordinato: "Dovete continuare a ripetere che avrebbe dovuto scrivere un libro diverso, sulle sue mogli"". E come mai non l'ha fatto? "Per parlarne come si deve, bisognerebbe parlarne approfonditamente, e il libro era già troppo lungo. E poi - va detto, anche se non so che effetto farà - se lo fai per una, poi devi farlo per tutte. Io sono stato sposato più di una volta, e prima ancora ci sono state le fidanzate, e dagli amici ho imparato che in certi casi basta un niente per creare una valanga di cattivo sangue. Per cui ho deciso di non farlo. Non nomino Anna Wintour, per esempio, anche se l'editore voleva". (Si sono frequentati negli anni Settanta, quando lei era redattrice di moda per la rivista Viva, di proprietà di Bob Guccione, a New York). "Mi ha contattato non so quante volte chiedendomi di non collaborare a biografie o articoli non autorizzati su di lei, tanto che appunto, nella sua biografia non autorizzata, non mi nominano nemmeno. Ma stiamo divagando...". Quante Anna Wintour ci sarebbero state? "Non mi va di parlarne, comunque abbastanza da interferire con il taglio che volevo dare al libro". Non poteva tralasciare le fidanzate ma scrivere qualcosa sulle mogli e sui figli? "Lei non conosce queste donne! No, non volevo nemmeno sfiorare l'argomento. Volevo starne completamente alla larga. Sono cose che non mi va di leggere scritte da altri, e non voglio scriverle io". Carol dice che per lei non è un problema. Quanto ai figli, Hitch sostiene che le sue cose non le leggono. Ha finito di redigere il suo testamento, nominando il suo agente Steve Wasserman responsabile della tutela della sua opera. Purtroppo, però, non lascia in eredità chissà quale archivio letterario. Niente manoscritti, niente lettere di Amis e Rushdie e Fenton: lui butta sempre via tutto. Ma fortunatamente ha ancora - perché l'ha conservata Carol - la lettera molto gentile che ha ricevuto da George W. Bush dopo essere andato in televisione a parlare del suo cancro. È lei a tirarla fuori per me: scritta a mano, in una busta a dorso rigido con lo stemma presidenziale in rilievo. "Grazie per aver condiviso la sua battaglia contro il cancro in quella straordinaria intervista. Chissà quante persone aiuterà, che ci creda o meno. Io pregherò davvero per lei. Continui a combattere. Lei contribuisce significativamente al dibattito in questo paese. Dio la benedica". Come dice Carol, niente di entusiasmante, ma almeno non è sgrammaticata, e Hitch è stato contento di riceverla. Nelle prime settimane dopo la diagnosi, di lettere gliene sono arrivate centinaia, da gente famosa e sconosciuta, e ancora adesso ne riceve tre o quattro alla settimana. I suoi rapporti con Sid Blumenthal, consigliere di Clinton alla Casa Bianca, si sono guastati da quando nel '99 Blumenthal dichiarò durante un interrogatorio di non aver tentato di diffamare Monica Lewinsky. Hitch disse invece che l'aveva fatto eccome, e si offrì di fornirne la prova, facendogli così rischiare il carcere per spergiuro. Da allora diversi a- mici che avevano in comune non gli rivolgono più la parola. E suo fratello Peter? C'è stata una qualche riconciliazione? "Non c'è granché da riconciliare. Siamo due tipi molto diversi, e non siamo mai stati vicini. Non fosse per il nostro orientamento politico, la cosa non interesserebbe nessuno". Per decenni Peter ha sostenuto accesamente la destra e Hitch la sinistra, anche se quest'ultimo, come è noto, si è in seguito spostato verso destra. Ora come ora, il loro principale terreno di scontro è Dio. Per caso sa se Peter prega per lei? "Finora ha avuto il buongusto di non dirlo, ma immagino di sì. È una specie di obbligo, no? Ma ha fatto una cosa molto bella, che nemmeno a me era venuta in mente: mi ha detto che, se avessi avuto bisogno di un trapianto di midollo, sarebbe stato felice di donarmelo. Mi è sembrato un gran bel gesto, da parte sua". Divorata la cena cinese, Hitch annuncia che l'indomani siamo invitati a pranzo dall'ambasciatore britannico. È una cosa consueta? "Altroché. Qui solo frequentazioni di qualità!", esclama ridendo. E alla Casa Bianca? Lo invitano anche lì? No, risponde addolorato. Una volta ha tenuto una conferenza alla Casa Bianca (e per l'occasione si è fatto lucidare le scarpe), ma Obama non l'ha mai conosciuto, pur avendolo votato. "Mi irrita. È come abitare a Washington e non andare a vedere il Lincoln Memorial". Uno dei grandi timori di Hitch è quello di non riuscire a rivedere l'Inghilterra. Vorrebbe tornare, non soltanto nei suoi posti soliti - Londra, Oxford, Hay-on-Wye - ma anche a Dart- moor, in Cornovaglia e nelle zone del Sussex dove è cresciuto. "Magari ci andiamo in primavera?", si affretta a dire Carol. Ma lui non fa promesse. L'indomani passo a prenderli per andare a pranzo dall'ambasciatore. Hitch ha fatto uno sforzo evidente, si è rasato e indossa un blazer. Carol si sta ancora vestendo - Hitch dice che lei ha il terrore di arrivare in anticipo e lui di arrivare in ritardo - ma alla fine appare, in jeans e tacchi a spillo, più un enorme cappello di pelliccia e una giac- ca con un'apertura sulla schiena che lascia vedere il tanga. Mentre aspettiamo il taxi, le chiedo se le va di rivelarmi la sua età, ma lei risponde: "Nah. Perché dovrei? Alcune delle mie migliori amiche, come Melina Mercouri, non la dichiarano mai. Può dire una cinquantina, se proprio deve". Appena arriviamo alla residenza dell'ambasciatore, Hitch comincia a tenere banco come Stephen Fry, chiamando il maggiordomo per nome e chiedendo "il solito" (whisky). Tornati a casa, Carol mi commuove raccontandomi quanto Hitch si comporti bene nella malattia. "Mai un filo di autocommiserazione o abbattimento. Solo un assoluto reali- smo, perfino una sorta di poesia nel raccontare la sua condizione. Si alza, si sforza di scrivere, di conversare. E a tavo- la, quando abbiamo gente a cena... Parliamoci chiaro: anche moribondo, Hitch come conversatore farebbe scintille". Ma allora perché questo bisogno di dimostrare il suo coraggio volando nei paesi in crisi? Lo sta già dimostrando, giorno dopo giorno. Solo una volta, durante tutte le nostre conversazioni, mi è parso sull'orlo delle lacrime. Stava spiegando che pensava di aver perso la corda vocale destra, e "dovessi perdere la voce, mi sembrerebbe di... No, non ci posso nemmeno pensare. Mi verrebbe la depressione, e finora quella non m'è venuta". "Ma se mai dovessi rischiare di avvilirmi, a tirarmi su di morale basterebbe il fatto che alcune persone che ammiro, per il loro coraggio e perché hanno contribuito a liberare i loro paesi, continuano a tenersi in contatto con me. È questa la mia risposta alla domanda sul turismo della rivoluzione: non l'ho fatto per quello, ma per cercare di vederci chiaro. E mi rende davvero orgoglioso essere amico di queste persone che ho conosciuto quando erano dissidenti". (traduzione Matteo Colombo) ©

Scritto da The Sunday Times/NI Syndication   
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