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Come il pianto di un bambino
Mercoledì 18 Gennaio 2012 15:59

 

Lord_Jim

Penso incessantemente ai familiari delle vittime del Concordia, alle vittime innocenti, al sogno svanito nella tragedia, penso a Genova e ai genovesi, penso all'acqua e al mare che inesorabilmente inghiotte. A Genova per due motivi, uno l'acqua che scendava giù e tutto spazzava via, e il Cantiere navale  dove è stata costruita la nave che al solo passaggio scuoteva gli animi, il suono delle sirene, alle migliaia e migliaia di passeggeri, un intero Paese in viaggio, brulicante di luci, il fumaiolo li in alto quasi a toccare il cielo. Immaginate quante persone hanno prestato la loro opera per realizzarla, per le maestranze, la loro creatura, l'orgoglio della marineria italiana. Ferita a morte, distesa su un fianco, con nella pancia un numero ancora imprecisato di vittime con gli occhi sbarrati per la paura e l'incredulità. Amarcord, ricordate il Rex che passava dalle parti di Rimini e dalla spiaggia a fantasticare sul Capitano sulla plancia di comando e l'orchestrina che suona al ritmo del Foxtrot.

Mario Arpaia

Articolo di Adriano Sofri pubblicato su la Repubblica, il 18/01/12

«Ma è buio ... », piagnucola il comandante Schettino dalla sua notte di luna. «Vuole tornare a casa?», chiede, sferzante, l'ufficiale della Capitaneria. Vorrebbe non esserne mai uscito, da casa, chiudersi in una stanzetta di bambino, davvero al buio, dove ci si può rannicchiare e piangere senza che nessuno ti veda e ti registri. Invece tutti vedranno e ascolteranno, in questo naufragio con l'intero mondo che guarda e ascolta.

"Naufragio con spettatore", si intitola il bel libro sulla metafora dell'esistenza" del filosofo Hans Blumenberg, tornato amaramente attuale. Prendeva le mosse dal De rerum natura. Mette allegria, dice Lucrezio, "quando sul mare si scontrano i venti / e la cupa vastità delle acque si turba, / guardare da terra il naufragio lontano: / non ti rallegra lo spettacolo dell'altrui rovina / ma la distanza da una simile sorte". Le cose viste a distanza sono la televisione. Mancavano i venti e la buriana.

C'è stato un tempo in cui a scrivere di mare sui giornali era gente come Joseph Conrad. Commentava la "stolta catastrofe" del Titanic, un demenziale Hotel Ritz dell'oceano: "L'aumento di dimensioni non è progresso. Se lo fosse, l' elefantiasi che fa diventare le gambe di un uomo grosse come tronchi d'albero sarebbe una sorta di progresso, mentre non è che una brutta malattia.

C'è un punto in cui il progresso deve variare leggermente la sua linea di direzione...". E metteva in guardia, proprio lui, dalla letteratura. Niente mi emoziona più, scriveva, che leggere e rileggere il manuale di "Istruzioni nautiche". Se a compilarlo fosse stato uno scrittore, dice, le sue Istruzioni sarebbero state mortali. Della letteratura, compresa lamia, avverte, non bisogna fidarsi. La letteratura è insidiata da un dubbio perenne, e non c'è angelo custode a guidarne la mano. Le Istruzioni, all'opposto, vogliono essere precise, e valgono come decreti esatti e prudenti della Provvidenza. Se la prendeva coi lugubri tecnici delle perizie sul Titanic, Conrad, e rivendicava la sapienza dei marinai. E ora da noi, in questa sciagura mortificante, tecnica e regolamenti hanno ragione ed è il marinaio ad aver fatto un livido naufragio.

Si è troppo evocato Lord Jim. Non c'è niente che li accomuni, a cominciare dal mare calmo, dalle previsioni propizie e dal cielo di luna. Quasi niente, piuttosto: perché l'assalto della viltà è universale, e perché il secondo ufficiale Lord Jim ebbe la forza di non ammazzarsi, di forzarsi a una seconda possibilità, e di procurarsi solo allora una morte valorosa. È difficile immaginare come il comandante Schettino riesca a sopravvivere alla sua mezzanotte di infamia, e bisogna tenerne conto: per lui, e per ciascuno di noi, che non potremo mai garantire per noi stessi, quando ci tocchi l'agguato della viltà. Perfino ascoltando lo sconvolgente colloquio registrato si può per un momento dubitare dello scandalo imperioso del comandante De Falco, che al sicuro di un ufficio sta parlando al luogo di un disastro: eppure quell'ufficiale sta facendo quello che deve, e avverte che la telefonata è registrata non perché se ne aspetti una bella figura nei telegiornali a venire, ma perché ha in mano, così da lontano, il filo esile della vita di tante persone abbandonate.

Ho passato l'infanzia in un ambiente di marina militare. All'educazione di un maschietto di allora non bastava il principio che il comandante sia l'ultimo ad abbandonare la nave: il comandante ideale, restato solo a bordo, avrebbe scelto di andare a fondo con la sua nave. Cercate negli archivi della Domenica del Corriere la copertina di Beltrame del 1940: "La nave mercantile italiana Giorgio Ohlsen urta una mina del Mare del Nord e affonda. Il capitano Giovanni di Bella organizza e dirige il salvataggio dei suoi uomini, operazione difficile perché la sciagura ha sorpreso la nave mentre i più dormivano. Quando tutto il possibile è stato fatto per la salvezza degli altri, il capitano non scende nella scialuppa che si allontana, ma si irrigidisce sul ponte di comando e si inabissa con la nave...". Successe tante volte. Successe anche col comandante Calamai dell'Andrea Doria, forzato in extremis dai suoi a lasciare la nave. Retorica e onore sono indissolubilmente legati, e bisogna accettare un ragionevole scotto di retorica se non si vuol cedere del tutto al disonore. Può succedere anche di dilapidare l'onore tenendosi la retorica. «Per cortesia...», mormora Schettino. Teniamo pure una riserva di principio sull'eventualità che abbia qualcosa a discarico. Era spavaldo, dicono ora: dote per l'Isola dei famosi. Si diceva di James Cook che pur di arrivare prima, a volte decideva di passare sugli ignoti scogli australi. Qui non c'era fretta, ed era l'ora di cena.

Intima il comandante De Falco: «Chiaro? Mi dice se ci sono bambini, donne o persone bisognose di assistenza. E mi dice il numero di ciascuna di queste categorie. È chiaro?». Non è chiaro. L'anno scorso una donna ha ottenuto per la prima volta il comando di una nave da guerra britannica. Donne sono al comando di grandi navi da crociera. Ma quell'ordine, donne e bambini prima, così bene integrato da De Falco, "o persone bisognose di assistenza", è in vigore. Schettino sa senz'altro quando fu la prima volta. Nel 1852 il trasporto di truppe inglese Birkenhead naufragò su uno scoglio al largo del Capo di Buona Speranza. Ci fu posto nelle scialuppe per 126 donne e bambini e alcune decine di uomini. Alle altre centinaia fu chiesto di non seguire il "Si salvi chi può" buttandosi in mare, per non mettere a rischio le scialuppe. Il reggimento fu inquadrato sul ponte e colò a picco con la nave, sull'attenti, al rullo dei tamburi e con la bandiera spiegata, dopo aver urlato il triplice Hip hip hurrà.

Qui è stato per il triplice fischio da far sentire a un incolpevole capo cameriere e ai suoi paesani, così da vicino da far provare un brivido gratuito. Un ottuagenario nostromo del Giglio mi ha detto che secondo lui la Concordia si era infilata fra la secca e la secchetta, «certe volte col mare calmo io col mio gozzo ci passo».

Per fortuna c'era un commissario di bordo, e tanti altri, fino al cuoco filippino liquidato all'indomani con una piccola mancia.

Scritto da Quotidiano La Repubblica   
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