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Il galantuomo e il cavaliere
Lunedì 30 Gennaio 2012 09:24

Scalfaro

Oscar Luigi Scalfaro (lapresse)

di EUGENIO SCALFARI

NON ERA un uomo delle istituzioni ma un uomo politico prestato alle istituzioni. In questo tratto della sua biografia Oscar Luigi Scalfaro somigliava più a Napolitano che a Ciampi.

Anche Napolitano infatti è stato per molti anni un uomo di partito, un dirigente politico, ma nella seconda parte della sua vita emerse una vocazione che fino ad allora era rimasta sopita e le istituzioni, sia a Roma sia a Bruxelles, diventarono per lui una condizione molto importante. Forse fu il suo modo di superare l'esperienza comunista senza tuttavia rinnegarla.

Scalfaro non aveva nulla da superare se non un episodio di intemperanza che per molti anni lo perseguitò: il preteso schiaffo che aveva dato ad una giovane signora incontrata in un ristorante e abbigliata in modo troppo audace, che aveva scandalizzato il cattolico magistrato (allora era quella la sua professione). Nel suo racconto non ci fu nessuno schiaffo ma un diverbio sì. Quando molti anni dopo ne parlammo insieme, lui ancora si rimproverava d'essere andato oltre la giusta misura.

La nostra amicizia cominciò in occasione d'un dibattito parlamentare sul tema del Concordato. Avvenne nei primi mesi del 1971, eravamo tutti e due deputati (ma lui da molto più tempo) e partecipammo a quel dibattito che la presidenza della Camera aveva indetto in vista d'una riforma dei Patti Lateranensi stipulati nel 1929 in epoca fascista.

Scalfaro indicò nel suo intervento le linee della possibile riforma; seguirono altri discorsi e poi venne il mio turno. Alla

fine del mio intervento ci fu un solo applauso: era lui, il cattolico per eccellenza, che applaudiva un discorso anticoncordatario. La mia tesi era infatti l'abolizione di quel trattato e la rigorosa applicazione del principio cavouriano della libera Chiesa in libero Stato.

Scalfaro s'era alzato dal suo seggio e veniva verso di me battendo ancora le mani. Gli andai incontro e mi spiegò che se avessi fatto un discorso anticlericale l'avrebbe aspramente criticato; avevo invece sostenuto che la Chiesa doveva esser libera di diffondere i suoi principi nello spazio pubblico che la democrazia riserva a tutti.

"Lo Stato democratico è laico" mi disse "e può decidere di accordarsi con la Chiesa su alcune modalità di comune convenienza oppure distinguere nettamente le rispettive sfere di competenza garantendo la libertà religiosa. Oggi noi due abbiamo rappresentato con chiarezza queste alternative e questo è il compito del Parlamento".

Ho citato questo lontano episodio perché mi dette la misura del rapporto che un cattolico politicamente impegnato deve avere con la religione. Quando Scalfaro diventò presidente della Repubblica ebbe naturalmente rapporti frequenti con il Papa e furono cordiali e rispettosi da ambo le parti.

Ma i suoi furono più rispettosi che cordiali perché tanto più viveva la sua intima religiosità tanto più sentiva di dover rappresentare anche nella forma e nel cerimoniale lo Stato laico del quale era il più alto rappresentante. L'ho sempre ammirato per questo.

* * * *

Il tratto saliente della sua biografia politica riguarda tuttavia il suo rapporto dialettico con Silvio Berlusconi. Scalfaro fu eletto al Quirinale nel 1992 e fu sostituito da Ciampi nel '99. Attraversò dunque tutta la stagione di "Mani pulite", il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica e il debutto politico di Berlusconi e di Forza Italia. Tenne a battesimo il suo primo governo che durò pochi mesi. Poi venne la rottura con la Lega, il governo Dini con caratteristiche istituzionali, infine il governo Prodi e il rilancio del centrosinistra. Il suo settennato arrivò al termine in coincidenza con il governo D'Alema.

Nei cinque anni di convivenza con il populismo berlusconiano rifulsero le capacità politiche di Scalfaro e insieme la piena consapevolezza dei limiti che la Costituzione poneva al suo ruolo. Rispettò quei limiti con estremo rigore ma con lo stesso rigore difese ed esercitò le sue prerogative.

Quando Berlusconi dovette dimettersi perché sfiduciato dalla Lega, il partito di Forza Italia chiese lo scioglimento delle Camere. Scalfaro obiettò che non poteva richiamare alle urne gli italiani senza aver prima verificato se esistesse una soluzione alternativa. Ci fu un'accesa contestazione su questo punto ma il Quirinale non cedette. Fece tuttavia un gesto di cortesia e anche di saggezza politica: chiese a Berlusconi di designare lui il nome del suo successore, chiarendo al tempo stesso che si sarebbe trattato d'un governo istituzionale necessario per decantare la situazione e poi tornare a interpellare il popolo sovrano.

Fu Berlusconi a indicare Dini che era stato fino ad allora il suo ministro del Tesoro. Dini accettò e formò un governo che non aveva una maggioranza precostituita ma aveva alle spalle il Quirinale e funzionò benissimo alimentando però un'antipatia non solo politica ma anche personale di Berlusconi nei confronti del presidente della Repubblica.

Va ricordato che Scalfaro si tenne sempre nei limiti delle sue prerogative e reagì alle contumelie che gli venivano scagliate contro solo quando esse divennero una vera e propria aggressione alla vita privata sua e della sua famiglia, tirando in ballo anche la magistratura.

Ricordo anche che fu lui, d'accordo con l'allora presidente del Consiglio Giuliano Amato, a chiamare Ciampi e nominarlo capo del governo. Era il 1993; qualcosa di molto simile è avvenuto diciannove anni dopo quando nel novembre scorso Napolitano ha nominato Monti a Palazzo Chigi.

Infine un ultimo ricordo privato. Nel 1996, pochi mesi dopo le mie dimissioni dalla direzione di Repubblica, Scalfaro mi nominò Cavaliere di Gran Croce. Ci fu una piccola cerimonia nella Sala della Vetrata al Quirinale e io gli dissi scherzando che con quella onorificenza diventavano cugini poiché era quello il cerimoniale dei Cavalieri dell'Annunziata ai tempi della monarchia.

Mi rispose: "Ma noi cugini lo siamo già. Ho fatto delle ricerche in proposito perché i miei genitori erano di origini calabresi. Scalfaro e Scalfari provengono da un unico ceppo. Siamo cugini in trentesimo grado". Ci abbracciammo ridendo e da allora la nostra amicizia è diventata ancora più stretta.

L'Italia saluterà oggi a Santa Maria in Trastevere uno dei grandi servitori dello Stato. Anch'io ci sarò a dolermi della sua scomparsa e ad onorare la sua memoria.

Scritto da Mario Arpaia   
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