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Storie di giovani (quasi) italiani tra assurdità e perfidie burocratiche
Martedì 31 Gennaio 2012 07:36

Immigrati

 

L'esperienza di tre giovani poco più che ventenni che in Italia vivono da tempo. Le complicazioni alle quali sono stati sottoposti (e continuano a sottoporsi) per ottenere il riconoscimento della loro integrazione nella nostra collettività nazionale. Sefora, d'origine serba. Nizar (Tunisia) con e con due fratelli che, al contrario di lui, sono già italiani a tutti gli effetti. Eranga (padre e madre dello Sri Lanka) con la passione del cricket

di CARLO CIAVONI

Storie di giovani (quasi) italiani tra assurdità e perfidie burocratiche Sefora Adamovic

ROMA - L'esperienza di "cittadini in attesa di cittadinanza" mette alla prova anche gli animi più tenaci e i sentimenti di appartenenza più radicati. Ci sono storie di ragazzi, nel nostro Paese, che purtroppo molte persone (troppe) non conoscono. Ci sono giovani vite, che dell'Italia hanno respirato l'aria fin da piccolissimi, o addirittura che hanno aperto gli occhi per la prima volta tra le braccia di un'ostetrica a Roma, a Piacenza o a Cagliari e che ancora non possono dirsi italiani a tutti gli effetti. Ci sono leggi, in questo nostro Paese, che ad un ragazzo di 18 anni - figlio di immigrati, scolarizzato assieme a suoi coetanei in un istituto italiano, che parla perfettamente la nostra lingua, magari con marcate inflessioni dialettali - impone di dimostrare di aver percepito un reddito di 9.000 euro per tre anni consecutivi, sennò niente cittadinanza. Quelle che seguono sono tre storie di tre nostri concittadini: una ragazza che compirà 23 anni il 5 agosto prossimo, d'origine serba; un giovane d'origine tunisina, di 23 anni e un altro di 24 con genitori dello Sri Lanka.

La storia di Sefora Adamovic. I suoi genitori sono serbi. Studia chimica all'università di Messina, ma la sua vera passione è l'arte, la pittura. Un talento che ha ereditato da suo padre, che dipinge e lavora come restauratore. Sua madre, laureata in legge e avvocato a Belgrado, non ha avuto il riconoscimento dei suoi esami, tranne due. Dunque, per esercitare la professione avrebbe dovuto ricominciare da capo. Oggi fa la colf. "Sono cittadina italiana dal 25 marzo del 2008 - dice Sefora - ma non è stato per niente facile. Un concentrato di assurdità burocratiche ha fatto allontanare l'obiettivo. Era semplicemente successo che, nel passaggio di residenza da Taormina a Messina, qualcuno s'è sbagliato a scrivere le date, tanto che alla fine risultava che io mi trovavo in Italia solo dal giorno che abbiamo cambiato casa, cioè dal 2005. Ho dovuto dimostrare così di essere cresciuta in questo Paese, di aver frequentato le scuole, esibendo i certificati di vaccinazione e mille altre documentazioni". Un destino simile lo sta subendo il fratello di Sefora, che ha diciottanni ed è disabile. Lui la cittadinanza ce l'ho, ma non gode ancora - come tutti i disabili - della pensione di invalidità. "Ma questo è un altro capitolo della storia", conclude Sefora.

La storia di Nizar jelassi. Nato da genitori tunisini, Nizar - che ha 23 anni - ha un diploma di addetto turistico, parla l'italiano, con un lieve accento siciuliano, ma anche il francese, l'arabo e lo spagnolo. Vive a Messina e attualmente aspetta un lavoro. La sua è una storia davvero singolare. "La mia famiglia è per metà italiana a tutti gli effetti e per l'altra metà ancora tunisina. Ecco il quadro: io e mio fratello Manuel di 18 anni siamo ancora cittadini tunisini, metre gli altri nostri due fratelli, Kais di 21 anni e Rami di 13, sono già italiani. I nostri genitori, in quanto padre e madre di due cittadini italiani hanno ottenuto il permesso di soggiorno permanente, mentre mio fratello Manuel ed io, non possiamo lasciare il territorio nazionale senza rischiare di essere considerati clandestini al ritorno. E comunque dobbiamo rinnovare il permesso di soggiorno ogni due anni. Anche per noi, infatti, nonostante maggiorenni, vale la regola di dover dimostrare un reddito di 9 mila euro all'anno, come se qui in Sicilia fosse facile lavorare con la continuità necessaria".

La storia di Eranga Hettiwatte. Ha 24 anni, i suoi genitori sono dello Sri Lanka. Suo padre è in Italia da 20 anni, sua madre da 12. Lui è arrivato da Colombo alla fine, quando già era grandicello. Oggi, con la qualifica di carpentiere metallico, lavora in una ditta di Messina, ma il suo reddito è molto basso da non consentirgli di vivere autonomamente, ma soprattutto non gli permette di raggiungere quei 9.000 euro all'anno per tre anni consecutivi, necessari per ottenere la cittadinanza italiana. Racconta di aver trascorso il primo anno in Italia praticamente chiuso in casa. "Non capivo la vostra lingua, ma poi ho cominciato a frequentare alcuni miei connazionali e ad allargare il giro di amici grazie al Cricket, il mio sport preferito". Eranga ha formato anche una squadra e organizza partite fra le altri team di Cricket che ci sono in Sicilia. "Ormai una quindicina", dice con orgoglio Eranga. "Purtroppo non abbiamo spazi diversi dai parcheggi per allenarci. di campi veri e propri per giocare a Cricket non ne esistono

Scritto da Quotidiano La Repubblica   
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