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LA FORZA DEL DIALOGO
Giovedì 16 Febbraio 2012 11:23

Iosa

CARISSIMO/A

Ti trasmetto una foto del "Soldato Iosa" e ti prego di leggere una mia riflessione sulla lotta armata, pregandoti di collaborare per la stesura di un testo anche da te condiviso in quanto ritengo che la tua opinione sull'argomento sia fondamentale per uscire dall'isolamento. Solo facendo un discorso più corale le vittime possono fare "memoria e riscrivere la storia in nome della ricerca di verità e giustizia"! Scusami e grazie dell'attenzione e, soprattutto, se mi manderai delle osservazioni per migliore un testo da condividere con il maggior numero di vittime. Ciao e un abbraccio e non spaventatevi della foto "guerriera del soldato iosa"!

Milano Marzo 2012 - 11164bis

LA FORZA DEL DIALOGO: NESSUNO TOCCHI CAINO, NESSUNO DIMENTICHI ABELE

( a cura di Antonio Iosa ferito dalle brigate rosse il 1° Aprile 1980)

1 - Stroncare tutti i terrorismi

Il dovere della giustizia è tentare di recuperare tutto l'umano che c'è nel cuore e nella mente degli ex rivoluzionari di sinistra e degli ex eversori di destra. La nostra fragilità, spesso rancorosa, non deve mai permettere di cancellare la "dignità umana" di altre persone, con il discrimine ideologico fra terroristi buoni di sinistra e terroristi cattivi di destra.

Chi ha vissuto il dramma della violenza, sia come vittima sia come carnefice, è chiamato oggi, a distanza di oltre 35 anni dall'antagonismo armato, a superare l'idea del nemico storico da abbattere e cancellare, senza distinzione tra "rossi e neri".

Ogni uomo è più grande dei suoi peccati e, in nome dell'umanità, dobbiamo riflettere sulle nostre miserie e debolezze umane ed aprire il cuore al confronto, al dialogo, all'ascolto, alla comprensione, guardandoci in faccia.

Chiunque abbia sbagliato nel compiere atroci delitti, ora, è chiamato a continuare in un cammino di autentica conversione e di vero pentimento per l'irrimediabilità del male commesso.

Lasciarsi irretire dal contesto storico o dalla vendetta non giova né alle vittime, né a chi ha commesso il male per banda armata con attentati a finalità terroristiche. Il sentiero comune di vittime ed ex terroristi, non nasce come aggregazione per atto di fede, ma come scelta sofferta di una via dolorosa di tragiche testimonianze umane con fini condivisi sul dialogo possibile per dare dignità e speranza ad un itinerario di riconciliazione nel rispetto della verità e giustizia.

2 - Uscire dal tunnel.

Nessun approccio talebano è utile per spiegare gli anni di piombo sia per il terrorismo rosso che per quello nero. Non tocca, però, a noi vittime concedere una riabilitazione storica a chi, dopo avere espiato la propria pena per gli errori del passato, si sia riacquistato una considerazione e una identità sociale, familiare e professionale di tutto rispetto. Non si può pretendere, un linguaggio comune su fatti terroristici che hanno lastricato di sangue le strade e le piazze del nostro Paese. I familiari delle vittime non sono mai stati portatori di interessi politici, ma appartenevano alla società civile come uomini comuni e normali. I familiari delle vittime e i feriti nulla hanno da spartire con le ideologie politiche e le farneticanti dichiarazioni strategiche dei teorici della sovversione armata, contro l'ordinamento costituzionale dello Stato.

Così come non può esistere il diritto all'oblio, non può esistere il diritto alla riabilitazione storica del crimine commesso, in virtù di una riconciliazione frutto di un baratto "Verità – Impunità".

Il delitto va sempre e comunque condannato e mai giustificato o nobilitato.

Gli ex terroristi, per uscire dal tunnel, devono liberarsi da un residuo di mentalità vetere – rivoluzionaria, che condiziona abbondantemente l'esplicito rifiuto della radici della violenza. Esiste tuttora troppa confusione mentale tra legittimità dei conflitti sociali ed esasperazione di una deriva sovversiva violenta, sfociata in fatti di sangue. Lo dimostra l'inutilità del dibattito fra la galassia degli ex terroristi sulla "demonizzazione o meno" del compagno pentito o dissociato, che innesca processi di tradimento del progetto rivoluzionario e non un percorso consapevole di scelte sbagliate compiute con la pratica della scelta sanguinaria.

Credo, sinceramente, che mai più qualcuno debba morire per politica!

***

3 - La memoria

Io ricordo tutto e non sono uno sbirro! Non cerco il male o il nemico, perché questo è compito dei moralisti e degli angeli sterminatori. Non cerco l'innocenza o la redenzione, perché è compito dei preti e dei santoni, né come vittima voglio diventare persecutore. Cerco il dialogo e la riconciliazione possibili solo se gli ex terroristi si assumono la responsabilità cosciente del male commesso e siano convinti di non essere stati eroi rivoluzionari per giusta causa.

Bisogna farsi carico del dolore dei familiari delle vittime e di una "memoria condivisa" per continuare a stringerci le mani; per segnare una svolta di pacificazione; per chiudere un'epoca di odio e di violente contrapposizioni. Non si tratta di vivere momenti di terapia di gruppo, di emozione e di turbamento, ma, in nome del dovere della memoria e del dialogo, umanizzare i nostri incontri per costruire il futuro migliore, senza la pretesa di giustificare la follia della violenza nel contesto storico di ieri, di oggi o di domani e senza annullare le differenze tra noi.

Il dolore delle vedove e dei feriti non è bastato!

In Italia c'è voluto anche quello dei figli delle vittime, cresciuti, per ottenere attenzione e per dare voce a chi ha sofferto e soffre nel riscrivere la storia del terrorismo dal loro punto di vista.

Prima di allora, la storia degli "Anni di piombo" era stata narrata dagli accademici, dai politici, dagli ex terroristi e dai mass media con il proliferare di studi, ricerche, interviste giornalistiche e radiotelevisive sempre dirette a giustificare e a comprendere le motivazioni politiche di quanti avevano scelto la sovversione sanguinaria, praticando odio e violenza e seminando distruzione e morte. Le vittime non avevano voce, poiché lo Stato doveva trovare una soluzione politica prioritaria per sconfiggere il terrorismo, sia pure con leggi premiali.

Tale comportamento è stato una somma ingiustizia storica, che ha lungamente ignorato la sofferenza quotidiana dei familiari delle vittime, tanto che l'opinione pubblica fu orientata a capire più le ragioni dei terroristi, anziché schierarsi dalla parte delle vedove, degli orfani, dei feriti. Le vittime sono state considerate dallo Stato come un ingombro e un fastidioso fardello di sopportazione e il loro silenzio era utile per strumentalizzare politicamente gli innocenti caduti.

La stessa cultura politica e religiosa, dominante negli anni'80, pensava più al recupero degli ex terroristi e al loro protagonismo mediatico, piuttosto che prestare attenzione alla "centralità della vittima", senza rendersi conto di causare lacerazioni profonde ed aprire ferite inguaribili.

Come atto tardivo di giustizia riparativa il Parlamento Italiano, con la legge del 4 maggio 2007 istituiva il "Giorno della Memoria del 9 Maggio", investendo sul dovere della "memoria di tutte le vittime di terrorismo e di stragi di tale matrice."

A distanza di quasi 40 anni celebriamo la memoria di chi è stato spazzato dai giorni dell'ira non con un esercizio rituale di salvazione celeste, ma come rito civile e debito morale più alti per onorare le vittime, senza rancore o vendetta. La memoria oltre che atto pubblico è, soprattutto fatta di piccoli gesti, scevri dalla retorica commemorativa delle Cerimonie ufficiali.

Il nostro gruppo ha fatto notevoli passi avanti in questi piccoli gesti riparativi, anche se non si può fare una marmellata tra le ragioni degli uni e i torti dell'altro. Va sempre distinto il piano della diversità fra noi e il dialogo non esclude posizioni critiche o di non condivisione, che persistono, anche quando scaturisce un abbraccio di reciproca amicizia.

4 - La forza del dialogo

Il dialogo, il confronto dialettico, la capacità di ascolto rendono possibile la riconciliazione fra vittime ed ex terroristi. Se vogliamo veramente ricomporre le fratture di quegli anni, nessuno può permettersi di dimenticare o di invocare attenuanti a scelte di morte. La democrazia non paghi prezzi a nessuno! Le persone morte senza un perché hanno diritto al riconoscimento della loro dignità umana e dei valori di uomini comuni, diventati eroi della quotidianità e che fanno di noi oggi persone libere.

La "Giornata della Memoria del 9 maggio" ha dato visibilità, rispetto e centralità alle vittime, valorizzando anche il punto di vista storico dei loro familiari e dei feriti superstiti.

E' pertanto inaccettabile, nel 2012, l'idea che i terroristi sono state persone buone e leali... e che hanno lottato, con generosità e coraggio, per un mondo migliore e più giusto.

Non si può rivendicare un quadro di riconoscimento che nobiliti la "cosiddetta lotta armata", che altro non fu che terrorismo. Non restituisco agli ex "il mito romantico dei samurai invincibili" e tanto meno le motivazioni ideali di una narrazione storica esaltante a coloro che hanno compiuto, con fredda lucidità , omicidi politici mirati e spietati e hanno inneggiato e brindato, dentro e fuori le carceri, ai loro crimini di annientamento del nemico.

Non siamo di fronte ad eroi dell'antifascismo militante per la liberazione dell'Italia da chissà quale farneticante e inesistente dittatura militare e tanto meno ad educatori dei giovani, descrivendo gli anni del terrorismo come opzione necessaria e utile per combattere una inesistente guerra civile per il trionfo del comunismo, al quale si contrappose il terrorismo nero per fronteggiare la sovversione rossa.

Volere riscrivere la storia, ad ogni costo, non porta ad una lettura semplificata della realtà degli anni'70, semmai al tentativo di giustificare l'ideologia della violenza politica ed esaltare l'assassinio politico, come trionfo sul nemico da abbattere per una giusta causa.

Non condivido lo storicizzare "gli anni di piombo" dal punto di vista sbagliato degli ex, come se l'avvenuta espiazione della colpa possa giustificare quello che ieri era un male (cioè un assassinio), per diventare un bene oggi. Non si possono nobilitare i delitti compiuti come atti che miravano a praticare la giustizia e a cambiare il mondo.

Ho la netta sensazione si cercano di aprire sottili revisionismi, ammantati di una forza pedagogica come se gli ex hanno il diritto di salire in cattedra, per insegnare chissà quali verità rivelate. I tanti Caduti per la legalità, la verità, la giustizia, la democrazia non potranno mai dare dignità storica al terrorismo.

Come vittima credo nel perdono, nella riconciliazione e nella pacificazione, ma distinguo sempre l'errore dall'errante. Abbracciando di fatto l'errante, non giustifico o abbraccio anche l'errore di una opzione violenta e rivoluzionaria. Non mi rassegno, anzi mi ribello, alla sola idea che i morti ammazzati dagli ex terroristi si siano meritata la punizione.

Esistono scelte terroristiche fatte, con dedizione e amore, uccidendo le persone?

Come si fa a dire che la lotta armata non voleva essere terrorismo, ma solo una organizzazione politica, che operava per cambiare la società, sino a fare esaltazione dei delitti, col pretesto che le vittime erano "obiettivi mirati" per la funzione che coprivano e quindi simboli da colpire e non uomini in carne ed ossa da rispettare?

Chi può, ora, sostenere che chi è disposto a morire, ha il diritto morale di uccidere gli innocenti?

Preferisco essere ucciso per le mie idee, piuttosto che uccidere per affermare le mie!

Gli slogan minacciosi rivoluzionari, le rapine, gli incendi, gli scontri di piazza, il traffico di armi, gli espropri proletari, le guerriglie urbane, i sequestri, l'odio, i ferimenti, le uccisioni non hanno forse provocato nel popolo italiano un clima di terrore, di paura, di insicurezza, di coprifuoco?

E perché ostinarsi a credere che la lotta armata non fu terrorismo e pretendere che le presunte idealità potessero far sorgere un movimento di trasformazione o di miglioramento della società con la pratica della violenza cieca e della frattura del movimento operaio nelle fabbriche?

Non vivo nel congelamento della memoria chiusa sul passato per reclamare vendetta e tanto meno mi sento un guerrigliero della memoria, come se fossi in un'isola giapponese.

L'incontro fra chi ha offeso e chi è stato offeso non ci fa recuperare il senso del vivere comune e tanto meno proseguire nel percorso di pacificazione, se si ha la pretesa di mettere a fuoco il passato per autoassolversi. Crogiolarsi, nostalgicamente, nel contesto storico del mito romantico rivoluzionario è sbagliato e attualizza deliri di chi sognava il bene del popolo, uccidendo le persone. Non basta dire giriamo pagina, dimentichiamo il passato, riconosciamo le responsabilità, approfondiamo la storia e riappacifichiamoci.

5 - Non tocca ai familiari delle vittime nobilitare la lotta armata

Uscire fuori dalla clandestinità non significa ripetere, a livello nazionale, il grossolano errore di ripetere il linguaggio delle risoluzioni strategiche dei vari gruppi terroristici: lotta armata, antifascismo militante, guerra civile, resistenza, resa, antimperialismo, conflitti sociali, tradimento..." Pronunciare la parola "terrorismo e assassini di vittime innocenti"non può suonare offesa per gli ex, che, con ipocrisia gesuitica, tentano di fare un "lavaggio del cervello" ai giovani e adulti, con i quali vengono a contatto. Parlano cinicamente di uccisioni e, bontà loro, usano sempre l'espressione "lotta armata e mai terrorismo" perché ritengono di essere stati nobili combattenti per la giustizia e meritevoli della "palma del martirio". Si paragonano ai militanti cattolici dell'Ira, ai nazionalisti dell'Eta in Spagna e ai protagonisti dell'apartheid in Sud Africa per barattare "Verità in cambio di impunità e di riabilitazione storica."

Da oltre 30 anni provo a dialogare con molti ex per dimostrare che esso è possibile soltanto nel rispetto della dignità umana di ciascuno di noi, senza nobilitare gli atti terroristici.

Credo nella centralità della vittima e nell'umanità del reo, che ha espiato la pena e che si è assunto la responsabilità dei suoi atti delittuosi. Le vittime possono andare oltre la prigionia degli ex terroristi per rapportarsi con loro e mettersi in dialogo. Tale disponibilità non deve mai presupporre la giustificazione storica di chi ha tolto la vita e ha ucciso la speranza.

Le vittime dialoganti non sono la classica foglia di fico per esaudire richieste assolutorie o rapportarsi con gli "ex compagni che hanno sbagliato". La mia cultura di cattolico democratico è diversa dalla militanza di chi si riconosce nell'album di famiglia del vecchio PCI, che pur ebbe il coraggio di espellere i teorici del terrorismo e i giovani che lo praticarono.

Come vittima rifiuto il buonismo o il perdono cristiano che giustifica e assolve ogni atto, senza un vero pentimento; né si può essere indulgenti con il terrorismo buono di sinistra e considerare imperdonabile il terrorismo di destra.

Il dialogo ci fa capire che nessun crimine deve essere giustificato e che non esistono delitti leciti. L'uomo, per quanto colpevole, è una persona umana, che non può essere umiliata e privata di dignità e che si può ricostruire, educare, medicare. E se la società ha il dovere della giustizia, essa è mirata a recuperare tutto l'umano e il bene rimasto in esso. Il terrorismo fu, in sostanza, una sciagurata stagione di odio, di violenza, di stupidità ideologica, che ingabbiò i protagonisti con l'antiquato schema rivoluzionario, sino a rimanerne schiacciati.

6 - L'odio politico e i conflitti sociali

I conflitti sociali non si risolvono mai con l'odio e la violenza politica, tanto più quanto l'odio contro il nemico diventa un sentimento forte elevato a sistema, che non permette di vedere l'uomo nell'avversario.

Le vittime per la libertà e i caduti per atti di terrorismo si sono sacrificate per darci una vita normale, per costruire un futuro nel quale i giovani non devono imbracciare le armi e organizzarsi in bande armate, ma impugnare un "panino" per essere liberi dall'odio e dalla violenza a difesa della vita umana, della libertà, della convivenza civile e democratica e del rispetto della Costituzione Italiana

Le lotte sociali e democratiche per i diritti dei lavoratori e dei ceti sociali deboli affondano le loro radici negli ideali e i valori della Resistenza, che non è mai stata tradita con la nascita della Costituzione, a dimostrazione di quanto fosse sovversivo e improvvido il terrorismo, che voleva scardinare l'ordinamento democratico dello Stato.

7 - Il perdono

Il perdono appartiene alle vittime. Il diritto alla dignità e alla vita, come bene inalienabile per tutti gli uomini, appartiene anche agli ex terroristi. Chi ha violato la vita umana può essere assolto soltanto dalla persona offesa, ch'è il titolare del perdono, che diventa parodia quando viene ostentato con superficialità e, addirittura, offesa quando a perdonare sono gli altri, cioè i terzi, che si sostituiscono alle vittime. La domanda di perdono diventa oltraggio quando, dopo il delitto, stuoli di giornalisti o uomini di chiesa o altri zelanti umanisti o politici, abituati a perdonare per conto terzi, si precipitano a chiedere ai familiari delle vittime, se perdonano l'uccisore del loro caro, magari non ancora individuato o catturato.

La forza del perdono è un valore altissimo per non lasciarsi imprigionare dall'odio e dalla vendetta. Il perdono stabilisce rapporti personali tra vittima e colpevole e non riguarda né la legge, né l'opinione pubblica, né la società, né lo Stato, ma solo la coscienza individuale

Nell'animo umano sono infatti radicati sia la violenza, sia il bisogno di sentirsi perdonati o di considerarsi innocenti e lavati di ogni colpa.

Scritto da ANTONIO IOSA   
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