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LA BRUTTA ITALIA SI SPECCHIA IN SANREMO
Sabato 18 Febbraio 2012 17:00

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Papaleo-Monti, Bersani-Morandi, Celentano-Grillo, le donne, Berlusconi, il pubblico...

By Francesco Merlo | la Repubblica | 18 febbraio 2012

Rocco Papaleo somiglia davvero a Mario Monti e non soltanto perché trae la sua forza dalla debolezza di tutti gli altri ed esibisce una sicura tecnicalità di teatrante in mezzo a gente che non sa fare il suo mestiere e forse ormai nessun mestiere. Così, nel gioco degli specchi tra Festival e Paese, Gianni Morandi è Pier Luigi Bersani e non soltanto perché entrambi si giovanilizzano tingendosi i capelli, conservano la simpatia del comunismo emiliano che li ha formati, e un tempo sono stati molto bravi, cantante e ministro, mentre oggi sono tristemente inabili al ruolo di conduttore.

Sanremo è l'Italia che ha sostituito la canzone al romanzo di formazione e celebra Battisti, Modugno e Nilla Pizzi più di Manzoni Calvino e Sciascia. Ma quello del teatro Ariston è il peggiore pubblico del Paese, un concentrato di semi vip con il biglietto omaggio che non applaude chi sale sul palco ma direttamente il palco, la scena sempre e comunque: il palcoscenico di Sanremo per loro è il carro del vincitore. Papaleo-Monti, in un breve e raro momento di grande spettacolo, giovedì sera li ha costretti a fare le foche ballerine. Ebbene, in quella sformata danza collettiva c'era l'Italia finalmente obbligata a pagare le tasse: diceva Papaleo e sembrava Monti che vuole – così ha detto – . E anche Morandi fa la foca e balla e si capisce che non è l'età a renderlo fuori posto, ma semmai è l'età che rende patetico il suo stare fuori posto.

Ma provate a chiudere gli occhi e immaginate Bersani sul palco di Sanremo che fa le sue battute tipo oppure . E poi immaginate invece Morandi al posto di Bersani, magari in quella foto che il segretario si fece scattare ad un tavolo di Campo dei Fiori dove l'unica cosa vitale era uno spumeggiante boccale di birra in primo piano. Morandi e Bersani hanno in comune l'aria da 'postvitelloni' dei piccoli paesi dove sono nati, provincia di Bologna e provincia di Piacenza, in due modeste famiglie di artigiani. Entrambi si sono fatte le ossa nei festival dell'Unità, agitano manone che sembrano bistecche crude, hanno il passo impacciato e inadeguato alla leadership del Paese e del festival, alla guida di quelle foche che Monti- Papaleo vorrebbe rieducare.

Si dimostrano infatti arretrate, le foche ballerine, rispetto ai codici della vita civile, mentre con una manina fanno un cenno d'intesa alla partitocrazia,che al festival si chiama Mazzi e Mazza, e con l'altra all'antipolitica, che al festival è Celentano, e nel paese è invece la bile nera di Grillo e di Di Pietro. Nel festival-paese Celentano-Grillo è la demagogia che per galleggiare nel malumore deve spararla sempre più grossa. E' vero che in molti, pur di sentire cantare Ventiquattromila baci o Azzurro, siamo stati per anni disposti a 'buffoniarlo e a fargli credere di essere davvero una somma di Yves Montand e del professore Sartori. E' colpa nostra se adesso Celentano prende drammaticamente sul serio la propria scienza etica.

Ma è così anche per il populismo che si nutre della rabbia dell'Italia insoddisfatta. I precetti etici di Celentano e gli sberleffi di Grillo, le parolacce del comico e le stupidaggini filosofiche del cantante, gli insulti di Adriano e le insistenti minacce di ricorrere alla piazza di Di Pietro sono coriandoli, carnevalate ma sono anche gli spasmi plebei di un paese stremato.

E nella brutta figura del grande Lucio Dalla (chi glielo ha fatto fare?) c'è la nostra crisi economica. Nel festival che costringe vegliardi cantanti come José Feliciano e Patti Smith a rimasticate gli je je della loro giovinezza e a diventare la parodia di se stessi con il corpo a sbrendolo c'è la nostra riforma delle pensioni.

Ecco perché alla fine nel festival e nel paese fanno figura solo quelli che non badano troppo alla figura, come Papaleo e Monti appunto, che condividono disinvoltutra, stile, noncuranza e garbo, anche se il primo almeno tre volte si è infilato nella solita scorciatoia del turpiloquio che per un momento lo ha omologato alla cialtroneria , e al secondo è capitato di peccare in vanità, da Vespa sino a Matrix dove ha denunziato la monotonia del posto fisso. E se Papaleo ha il mostaccio malinconico ma rassicurante del venditore di provole di Lauria, Monti ha il viso spigoloso di un direttore della Posta di Vipiteno; quello con i baffi che stanno bene al gatto di casa e l'altro con un accenno di riportino e la provvidenziale scriminatura nel mezzo di un severo ma vulnerabile zio degli anni cinquanta.

Nel Festival-Paese le donne sono l'eternità italiana: lo spacco, il tatuaggio inguinale, le due comari in competizione, gli abiti da sera, i fiori e l'immutabile cortile che non ci permette di diventare città e precipita tutto in provincia, dove ci sono le pollastre e l'unica donna che riesce ad essere solida e concreta è la massaia. Ma l'Italia femminile non è più così e da sole le donne di Sanremo meriterebbero un coro di sceme sceme: se non ora quando?

Infine ci sono i comici: i "soliti idioti", Luca e Paolo... Nella crisi della comicità italiana che si dissipa e si snerva nella volgarità c'è davvero tutta la crudeltà di fine d'epoca. Non poteva certo mancare, in questo riflesso che a Sanremo non replica ma raddoppia il Paese, il berlusconismo morente, la fase finale dell' oscenità. Questi comici così sboccati che si sono intrufolati nella nostre case con le loro parolacce sono come le famose barzellette di Berlusconi, una simpatia andata a male, un cascame, la prova del nove sanremese che l'Italia non ha ancora battuto l'Italia: l'Europa rimane l'altra galassia dalla quale vogliono espellerci, e Papaleo-Monti è tanto ma ancora troppo poco per farsi angelo della storia e liberarci in un colpo solo di Sanremo e dell'Italia dell' arraffo, della sguaiataggine, del bunga bunga.

La forza di uno spettacolo moderno, popolare, intelligente, garbato, divertente e giovane sarebbe meglio dello spread che cala, come la forza dei jedi knights di Guerre stellari, la forza di una certa idea dell'Italia che si disintossica dai festival assunti come eredità biologica ed antico vizio, una forza che a Sanremo si percepisce solo nel silenzio, quando spente tutte le luci, arrivano l'aria della notte e il battito del mare.

Scritto da Quotidiano La Repubblica   
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