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Il Cev, popolare e bolognese: troppo pericoloso per il partito
Sabato 12 Maggio 2012 05:59

Cev_Festa

Sono legatissimo a Bologna, una terra che mi ha insegnato tantissimo, giovanissimo fui operato al Rizzoli, ragazzo del Sud accolto come uno di loro,  parlo di un'altra epoca il 1968, il maggio francese e la rivoluzione studentesca i in Italia. L'ospedale Rizzoli un vecchio convento, le camere di otto e più letti. Ero solo, mia madre mi raggiunse il giorno dell'intervento. Fui fortunato, il mio vicino di letto il padre dell'attuale Presidente di Circoscrizione Simone Borsari. Italo il papà di Simone è una persona squisita, affettuosa, leale, un bolognese ante litteram. Cevenini, i suoi occhi, il suo sorriso bonario mi ricordano Italo. Le foto del Cev che conosco, sono del mio amico Marco Vaccari maestro fotografo. Sono immagini intense, che ti parlano, che raccontano la fatica del vivere, dello stare in mezzo alla gente, tra la gente.

M.A.

L'analisi

La politica per Maurizio era stabilire e mantenere rapporti tra le persone, quello che la politica dovrebbe fare

BOLOGNA - La critica che più frequentemente veniva rivolta a Maurizio Cevenini riguardava il suo essere politicamente leggero. La sua popolarità, senza dubbio molto invidiata all'interno del partito al quale apparteneva, pure attraverso i numerosi cambiamenti di nome e di logo, derivava dalla sua intensa attività di celebrazione dei matrimoni in Comune e dalla sua mai celata (ma neppure ostentata) passione per il calcio. Allo stadio, era un habitué, ma certamente il suo stile non lo faceva mai un ultra. Agli occhi dei grigi funzionari di partito e dei loro estimatori (sic), nessuno che voglia fare politica seriamente può disperdersi fra calcio e matrimoni, peggio combinando le due attività insieme.

Gianfranco

Gianfranco Pasquino

A Maurizio piacevano entrambe le attività, ma non, come molti insinuavano, perché producevano e facevano crescere la sua popolarità. Al contrario, Maurizio celebrava matrimoni, andava alla partita, frequentava un numero incredibile di manifestazioni, eventi, riunioni pubbliche (senza trascurare quelle di partito), non avendo come obiettivo primo la popolarità, ma soprattutto perché gli piaceva stare fra la gente, incontrare persone, vedere quello che succedeva, capire. Per lui, la politica non era né filosofare né tramare. Non consisteva nello schierarsi a sostegno di qualcuno che lo avrebbe, prima o poi, ricompensato. Non era cercare qualche spazio sui giornali con uscite aggressive, dichiarazioni artefatte, comportamenti al di sopra delle righe. Personalmente, gli sono grato, e ho avuto la fortuna di dirglielo a voce, per essere stato uno dei pochi dirigenti del Partito democratico a non insultarmi durante la mia campagna elettorale del 2009.

La politica per Maurizio consisteva nel dialogare con le persone, esprimendo in maniera non supponente e non saccente le sue opinioni e dichiarando senza prosopopea le sue preferenze. Partecipò a diverse primarie, nel 1998 e nel 2008, e lo avrebbe fatto anche nel 2010 quando era chiarissimo che le avrebbe vinte alla grande. Le prime due volte fu accusato di funzionare da foglia di fico, legittimando scelte già fatte. Anche in quei casi, però, il suo obiettivo consisteva nello stabilire e mantenere rapporti fra le persone (che, incidentalmente, è proprio quello che la politica deve riuscire a fare). Il dolore più grande lo provò quando dal colloquio, carpito dal Corriere di Bologna, fra il segretario del Pd bolognese e il segretario nazionale del Pd apprese della scarsa considerazione in cui era tenuto. Curiosamente, ma anche tristemente, una volta che il Pd disponeva di un candidato non soltanto popolare, ma capace di rappresentare quei tratti di cordialità, di bonomia, di fiducia per i quali i bolognesi sono diventati famosi (non sono sicuro che quei tratti siano ancora molto diffusi), i due maggiori dirigenti del suo partito dicevano di considerarli un pericolo e non un pregio.

Cev_-Marco

La sua «popolarità» non risultò in nessun modo sminuita. Non disponeva certamente di «macchine elettorali» e, altrettanto certamente, il partito non dava indicazioni di preferenze da attribuirgli. Proprio per questo, quando ventimila elettori scrissero il suo nome sulla scheda, il messaggio apparve chiarissimo. Volevano esprimere la loro stima, il loro affetto, il loro apprezzamento per Maurizio Cevenini, un volto diverso, un modo diverso, uno stile diverso di fare politica. Avevamo ancora molte cose da dirci e molte sulle quali sorridere, sì, «con leggerezza». Mi mancherà.

Scritto da Gianfranco Pasquino   
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