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"Quel tempo immobile che ha spezzato il nostro tran-tran"
Sabato 02 Giugno 2012 16:19

Orologio

Da quando è iniziato il terremoto in Emilia, i giornali e siti di informazione (soprattutto quelli locali) pubblicano foto di orologi. Le torri degli orologi di Finale Emilia, San Felice sul Panaro e Ferrara; l´orologio della chiesa di Sant´Agostino, quello della chiesa di San Rocco a Cento... Quadranti danneggiati, spaccati, scomparsi. Qualcuno è rimasto intatto ma fermo, a segnare l´ora della scossa che lo ha bloccato. Chi come me vive a Bologna non può non pensare all´orologio della stazione, fisso sulle 10: 25 dalla strage del 2 Agosto.

Perché un orologio fermo diventa notizia? Perché ne guardiamo la foto? Forse perché in essa cogliamo qualcosa, un lampo di verità su noi stessi.

L´Evento che lacera la quotidianità si esprime per metafore. Come gli insorti della Comune di Parigi secondo Walter Benjamin, il terremoto ha «sparato sugli orologi». Non solo: ha causato il tracollo della rete telefonica mobile. Quale messaggio dovremmo cogliere?

Se chiedi a un bambino di disegnare una casa, disegnerà quasi sempre una villetta monofamiliare, anche se vive in un trilocale al decimo piano o in un brefotrofio. In modo analogo, il terremoto ha colpito gli orologi di torri e campanili, benché da tempo non siano più quelli a scandire la nostra giornata. L´odierna forma-orologio è onnipresente, incorporata in ogni nostro dispositivo: computer, tablet, telefonino, furbofono, cruscotto di auto «intelligente»... Oggi, almeno in Occidente, sappiamo tutti e sempre che ora è. Non era mai accaduto che la maggioranza dei membri di una società si percepisse e rappresentasse in ogni momento dentro un tempo scandito e strutturato. Bifo dice che il telefonino è una catena di montaggio mobile, dalla quale non puoi staccarti. Al tempo stesso, sei cronometrista della tua prestazione.

È forte la tentazione di maledire il sisma, descriverlo come «demone», «mostro», entità ostile. «Siamo in guerra con la terra», ha gridato a tutta pagina un quotidiano emiliano, ma non è la terra il nemico. È forse colpa della terra se viviamo, costruiamo, abitiamo, lavoriamo, obbediamo in un certo modo? A uccidere non è il sisma, ma la realtà su cui il sisma getta luce. A uccidere è l´illusione che si possa tornare subito al tran tran di prima, ai ritmi forsennati di prima. La spinta a ripristinare la «normalità» (la parola più ripetuta nelle interviste) è costata altre vite: le aziende non hanno atteso le verifiche e gli operai sono tornati a lavorare in capannoni a rischio, con le conseguenze che sappiamo. Dunque, l´unica «normalità» già ripristinata è quella dei morti sul lavoro per mancanza di sicurezza, delle famiglie devastate, dei figli rimasti orfani perché la macchina non poteva fermarsi.

Spesso, nelle città, i movimenti sociali rivendicano «spazi», ma avere spazi non cambia nulla se non si contestano i tempi. Ti riappropri degli spazi quando i tempi saltano e riprendi fiato, grazie allo zoccolo scagliato negli ingranaggi. È tragico che a gettare lo zoccolo sia stato un terremoto, ma la tragedia non deve ottenebrarci, renderci ciechi di fronte agli esempi.

Un amico mi racconta che, dopo l´ordinanza di chiusura delle scuole, i parchi del suo paese si sono riempiti di bande di bambini che giocano ad libitum. Non accadeva da anni, nemmeno nei giorni festivi. Oggi i bambini – anche in provincia – vivono «imbozzolati» in tempi infernali, con giornate piene di scadenze e impegni incastrati meticolosamente: scuola, piscina, lezione di questo e quello, catechismo... I pochi, interstiziali momenti di far-niente li passano davanti a uno schermo. L´Evento ha interrotto la sequela e fatto riscoprire uno spazio, lo spazio dei giochi per eccellenza.

In diversi stati, gli edifici delle università sono aperti anche di notte, a disposizione degli studenti. In Italia no, ma ci ha pensato l´Evento. La facoltà di Architettura di Ferrara è rimasta aperta di notte, per accogliere chi preferiva dormire fuori casa. Fino a trent´anni fa, quell´edificio di via della Ghiara ospitava un manicomio, grande macchina disciplinare, luogo di costrizione fisica e totale eterodirezione dei tempi.

Mentre scrivo, nelle province emiliane colpite dal sisma (Modena, Ferrara e Bologna) le scuole sono ancora chiuse e c´è chi propone di dichiarare terminato l´anno scolastico. Le scosse potrebbero susseguirsi per mesi, si capisce che la vita sarà diversa. Molti operai si rifiutano di rientrare nei capannoni. «La vita vale più dell´economia», ha dichiarato un dirigente della Fiom. È la frase più eretica che oggi si possa dire, ma la routine già incalza e preme, e presto tornerà a imporsi.

Il tran tran è astuto: si ammanta di straordinario, si traveste da finta discontinuità. Si pensi al «minuto di silenzio»: rituale rapido e innocuo, conferma che l´ordine regna e può permettersi di sprecare un minuto... al termine del quale approfitterà del momento, pigiando sull´acceleratore di strozzanti controriforme e imponendo la sua shock economy.

È vero, vogliamo «ripartire» (il verbo più usato nelle interviste). Tuttavia, sarà il caso di cambiare meta e percorso, saltando giù da questo treno iperveloce. Chiediamoci: questa velocità dove ci porta? «Lavorare con lentezza, chi è veloce si fa male», cantava Enzo Del Re. Chiediamoci, soprattutto: questa velocità a chi conviene? «Un ladro più veloce ruba meglio, e un fesso più veloce non diventa meno fesso», diceva Amadeo Bordiga.

Il tran tran si riaffermerà. Intanto, approfittiamo dell´Evento per respirare, pensare, prepararci a lottare.

(L´autore consente la riproduzione, purché non a fini di lucro)

"Quel tempo immobile che ha spezzato il nostro tran-tran" di WU MING da La Repubblica del 2 giugno 2012

Scritto da WU MING 1 Quotidiano La REPUBBLICA   
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