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Dell'Acqua, la vita coi "matti" in 40 anni duri e formidabili
Mercoledì 11 Luglio 2012 09:23

dellAcqua

Le foto di una intera giornata passata nel Parco di san Giovanni a Trieste

http://www.flickr.com/photos/22523260@N04/sets/72157630526793910/

Alla vigilia della pensione il ricordo di mille battaglie per la riforma psichiatrica vissute al fianco di Basaglia: con lui finisce la successione diretta degli allievi

«Ho grande malincuore, è il segno del tempo che passa. Abbandonare adesso, proprio in un momento di tensione e crisi come questo. È come dover uscire dal campo dopo i primi 5 minuti in una partita di finale». Peppe Dell'Acqua non ha 5 minuti di supercalcio alle spalle, ma 40 anni di lavoro su un campo ben più aspro, quello della psichiatria basagliana a Trieste. E mentre a tutti pesa la riforma delle pensioni che allunga il tempo del lavoro, lui (se non fosse per un infarto avuto a 44 anni, un'operazione in cardiochirurgia di qualche anno fa, cinque by pass e un defibrillatore) a lasciare il suo posto di capo del Dipartimento di salute mentale non ci penserebbe proprio. Invece a fine marzo va.

Secondo in linea di successione diretta, dopo Franco Rotelli, allievo e collaboratore di Franco Basaglia dalla prima turbolenta ora, quella dell'apertura dei manicomi, con lui finisce il gruppo storico dei pionieri. Una continuità di 40 anni filati «che non ha precedenti in ambito scientifico da nessuna parte» dice. E che ha fatto di Trieste una città speciale nel mondo. Chi verrà dopo non sarà più testimone ma erede.

 

Marco Cavallo (il simbolo della chiusura dei manicomi)

Che effetto fa mettere a confronto gli inizi con l'oggi?

Quelli erano gli anni formidabili, oggi c'è una formidabile dimensione di grandissima civiltà, in 17 distretti su 20 in Friuli Venezia Giulia ci sono Centri di salute mentale aperti 24 ore. Ma non è un periodo altrettanto interessante. I primi tempi a Trieste mi sentivo deluso, frustrato. Ero venuto da Salerno. Ma come, mi dicevo, sto tutto il giorno coi vostri figli, padri e madri, e mi guardate tutti così male? Poi ho capito, serviva conoscenza, non tolleranza a buon mercato. Che tempi, però. Primo ricordo-flash. Io con la mia piccola "500", che facevo anche le notti, da solo, a San Giovanni. C'erano là dentro ancora 1200 persone, e ogni notte succedeva di tutto, e poi me ne andavo via che era ancora buio, fra gli alberi piegati da una tremenda bora... Da allora è cambiato il mondo. La città è cambiata. Impensabile il confronto.

La tolleranza quando è arrivata?

Siete stati fieramente avversati all'inizio. Come no. Ricordo per esempio Gianfranco Gambassini, grande oppositore della riforma sui manicomi. Ma è stata una fortuna. Era un'opposizione civile, molto democratica, ci costringeva a far vedere davvero che cosa stavamo facendo. Cosa che a eventuali detrattori possiamo spiegare anche oggi: abbiamo svelato che dietro la malattia psichica ci sono persone, storie, bisogni individuali, "inginocchiati" di vario tipo, vittime, e profughi. Oggi fra i malati trovo cittadini con tutta la loro vita e storia, dietro una porta chiusa si trovavano allora solo "oggetti".

MARCO_CAVALLO

(Marco Cavallo il simbolo della chiusura dei manicomi)

Trieste quando ha capito?

Trieste e i triestini sono stati formidabili. Con tanta apparente presupponenza e astiosità, si sono lasciati invece toccare. C'è qui un rapporto particolare con le istituzioni e la cosa pubblica, da democrazia borghese del '900. L'istituzione è molto rispettata, ma le si chiede molto. Si è capito però che garantire più libertà agli altri la garantisce in fondo a tutti.

Perché lasciare Salerno?

Io ero uno studente di Medicina per così dire "modello", mi sono laureato a 24 anni (no, non "uno sfigato"), ma dal '67 in poi avevo cominciato a partecipare con passione ai movimenti studenteschi, quella rivolta giovanile mi aveva messo molto in crisi: mamma cattolica, papà ferroviere con "L'Unità" in mano, non mi sentivo più né cattolico né comunista, anche la Medicina era messa in discussione... Così alla fine del quinto anno sento parlare dei manicomi, ormai emblema del potere della Medicina, e, giocatore di rugby, approfitto di una partita Napoli-Parma. A Parma c'era Basaglia, che stava per arrivare a Trieste. Vieni con me?, dice. Rispondo di sì. Un sì fatale. Si è rivelato un evento storico. A differenza di tanti altri amici di università, io qui sono stato fortunatissimo.

Ho potuto perseguire il mio ideale di cambiamento sociale, mai più perduto, e anche fare il mio mestiere. Diamo dunque fondo ai ricordi più forti. Sono talmente tanti. Naturalmente io da subito cominciai ad andare nelle case, fuori dal manicomio, perché questo era il nostro progetto: io, medico, vengo da te, non ti aspetto in studio bello e confezionato, finché non arrivi col tuo cappello in mano. Molti non volevano aprire la porta, ma una volta mi andò molto bene perché, avendo risposto che ero "Dell'Acqua", mi scambiarono per un letturista dell'Acegas. Un momento bellissimo fu la prima assemblea pubblica a Barcola, dopo l'apertura del Centro di salute mentale. Atmosfera tesissima, di gelo imbarazzante. E una signora protestava che avrebbe dovuto vendere la sua casa, "coi matti vicini si deprezza". Finché un ragazzo non cominciò a raccontare, nel silenzio generale, la sua storia. Si creò un'emozione molto grande. Poco dopo quella stessa signora venne a dirmi che i suoi bambini giocavano con due nostri pazienti oltre la rete del giardino, e che le sembrava "un'esperienza bellissima".

Lei e il "maestro" sempre d'amore e d'accordo?

Eh, no, c'erano anche conflitti. Il più grave quando per esigere il diritto dei "matti" ad avere una casa occupai con loro la Casa del marinaio di via Montfort. Basaglia era profondamente contrario. E, pur con una certa fatica, lasciai Basaglia per unirmi agli occupanti. Poi ci sgomberò la polizia. Ma le cose più straordinarie devono sempre passare attraverso situazioni di conflitto.

È il messaggio dello psichiatra per questi tempi così generalmente depressi?

Certamente. Quello che abbiamo imparato è che bisogna continuamente farsi domande, mettersi sempre alla prova, per questo il nostro lavoro non è mai finito.

Qual è la cosa più difficile? Registrare il fallimento.

Quale fallimento, se dite di riuscire sempre tanto bene?

Quando incontri un coacervo di disturbo mentale, contesto di povertà, conflitti familiari e parentali, disagi vari, tutto assieme, sei in ginocchio. Riconosci il tuo fallimento.

Che fare?, ti chiedi. E ti devi rispondere: sono in ginocchio e adesso cerco di farcela. Quando bussi a certe porte, puoi anche farti male. Devi saper assorbire il dolore e le delusioni. Tocchi sempre la parte più oscura dell'esistenza, e ti coinvolge. Io psichiatra vengo a mani nude, se poi qualcuno vuole colpirmi alla pancia, lo fa.

Ha corso qualche pericolo?

Sempre anni di Barcola. La Procura ci segnala che verso Scorcola abita una famiglia con due bambini piccoli, che in casa c'è una pistola, che è in campo la concreta minaccia che venga usata verso una parente, accusata di brogli ereditari. Era una situazione di conclamato allarme sociale, veniamo interpellati, dobbiamo entrare in quella casa.

Ma come?

Decidiamo di aspettare il rientro della famiglia, previsto per le 15.30. Avremmo infilato la porta al seguito dell'agente di polizia. Faceva un freddo cane. Aspetta e aspetta, per ore. Io con l'infermiere, il responsabile del commissariato di Polizia di Barcola e l'agente. Sono arrivati alle 20.30. "Eh, che mai, tutti qua per la pistola, ma io ve la dò" dice l'uomo, andando verso un'altra stanza. E noi tutti di corsa dietro a lui: una paura generale che ce la usasse contro.

E le "autorità" vi sono state vicine o lontane, escluso Michele Zanetti che da presidente della Provincia varò la riforma del manicomio?

Quando venne a trovarci il vescovo Bellomi fu bellissimo, prima c'era stato un ostracismo notevole della Chiesa. Il primo sindaco a farci visita fu Franco Richetti, io stesso feci il consigliere comunale per un periodo al solo scopo di far capire il nostro lavoro al Comune, sempre molto distante. Straordinario il vescovo Ravignani, quando per il Giubileo chiese perdono "a questi fratelli e sorelle di cui tanto a lungo - disse - non abbiamo riconosciuto l'umanità".

Oggi il governatore Tondo ha capito quanto Trieste, e il Friuli Venezia Giulia, siano speciali per questo sistema straordinario, nei giorni scorsi mi ha detto: "Dovete continuare a lavorare per trainare tutto il Friuli Venezia Giulia".

Scritto da Il Piccolo di Trieste   
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