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Da Gramsci a Enaudi per rifondare il Paese
Domenica 15 Luglio 2012 15:44

Eugenio_Scalfari

La società civile e le liste civiche dovrebbero portare l'Italia a livello degli altri paesi Europei, i Paesi definiti virtuosi, dove la democrazia e le libertà sono state da tempo conquistate e consolidate. I Partiti non sono più ritenuti credibili dagli stessi  leeder che ne fanno parte, da Presidenti e Segretari di grandi Regioni come la Puglia. Quale allora la struttura se non i Partiti, come è scritto nella Costituzione, hanno l'obbligo di organizzare il consenso, quel consenso che poi elegge il Parlamento nei due rami. La società civile è una avamguardia, le liste civiche sono specchietti per le allodole, dentro trovi di tutto, in maggioranza trasfughi, politici riciclati, pensionati che non trovano panchine libere dove riposarsi.Solo i Partiti fatti di gente seria e preparata, possono salvare l'Italia dal degrado economico, morale ed etico.

M.A. 

Prima di ragionare sulla possibile alternativa debbo però formulare due osservazioni, pertinenti e non marginali.

Ernesto Galli della Loggia ha descritto sul "Corriere della Sera" che cos'è in realtà la classe dirigente italiana e che cosa sono nella loro maggioranza gli italiani: un Paese che da trent'anni si è auto-paralizzato dandosi una struttura corporativa, clientelare, mafiosa in tutti i sensi. Insomma una casta nazionale, mondo dei "media" compreso e senza eccezioni.

Consento in gran parte con la diagnosi di della Loggia, ma non su quest'ultimo punto. L'informazione castale ha avuto le sue eccezioni, caro Ernesto, e tu lo sai bene. L'eccezione principale è stata "Repubblica" fin da quando esiste, cioè dal 1976. E prima di Repubblica l'eccezione era stata "L'Espresso". Nei pochi anni della sua direzione l'eccezione fu anche il "Corriere" diretto da Piero Ottone.

La seconda osservazione riguarda invece la "scivolata" di Mario Monti sul tema della concertazione, che sarebbe stata "dannosa per l'Italia perché ha determinato la formazione d'un sistema assistenziale che favorisce i privilegi di pochi a scapito della libera partecipazione di molti e specialmente dei giovani. E perché ha reso possibile la creazione d'un debito pubblico enorme che è la causa delle nostre attuali difficoltà".

Questa "scivolata" - come già è stato scritto nei giorni scorsi sul nostro giornale - è storicamente sbagliata. La concertazione fu introdotta da Giuliano Amato e soprattutto da Carlo Azeglio Ciampi nel 1992-93 e rese possibile il superamento della crisi in quegli anni e l'ingresso in Europa durante il ministero Prodi-Ciampi. Ma prima di allora, dieci anni prima d'allora, senza bisogno di concertare, il sindacalismo operaio - come allora lo si chiamava - aveva imboccato da solo la via dell'austerità per realizzare la piena occupazione. Luciano Lama fu il vessillifero di quella politica e la proseguì fin tanto che rimase al suo posto, fiancheggiato da analoga posizione di Giorgio Amendola e poi anche di Enrico Berlinguer.

La differenza di ora rispetto all'allora sta nel fatto che la classe operaia non somiglia più in nulla a quella di Lama e di Amendola. Non è più un blocco sociale portatore di valori e interessi generali, ma un coacervo di contratti, di precariato, di immobilismo parcellizzato. Uno sfrizzolio innumerevole. Dalla spigola al sale - direbbe uno chef - al fritto misto.

Amendola

In questa situazione Camusso e Bonanni cercano di tutelare il fritto misto. Che cos'altro potrebbero fare? Perciò, caro presidente Monti, lei condanna un fenomeno che non c'è più e che, quando ci fu, risultò positivo e non vincolante perché - come Ciampi può testimoniare meglio d'ogni altro - a monte e a valle della concertazione restava sempre e comunque la decisione del governo e del Parlamento. Quanto al debito pubblico, fu creato dalla partitocrazia dell'epoca come tante altre magagne che abbiamo ancora sulle spalle.

* * *

L'alternativa è la sinistra e il centro che debbono crearla e debbono farla, pena l'irrilevanza in cui stanno precipitando. Anzi: in cui sono già precipitati.

Ho letto nei giorni scorsi due articoli scritti da persone con biografie politiche diverse ma tutte e due marcatamente di sinistra: Alfredo Reichlin sull'"Unità" e Alberto Asor Rosa sul "Manifesto". Tutti e due gli autori arrivano a conclusioni analoghe: la sinistra deve scoprire nuovi orizzonti e ad essi improntare la sua azione. Non esiste più la sinistra autarchica operante nei singoli Stati nazionali. Esiste già un'economia globale; esisterà - se vuole sopravvivere - un'Europa-Stato.

In queste nuove condizioni la sinistra non può che esser riformista. Radicalmente riformista. Deve coniugare i valori della libertà con quelli dell'eguaglianza. Deve togliere le bende che l'hanno da tempo mummificata. Deve disciplinare la concorrenza con le regole. Deve smantellare i privilegi, le mafie, le clientele, a cominciare dalle proprie.

E il centro deve fare altrettanto. Non è più tempo di radunare i moderati. Bisogna radunare i liberali, quelli veri e non quelli fasulli. Quelli che non vogliono i privilegi, le rendite, i monopoli, che detestano la demagogia e la legge del più forte.

A quel punto si accorgeranno - il centro e la sinistra - che non solo il loro obiettivo, ma la loro stessa natura è identica. Questa è l'alternativa.

A me ricorda lo slogan "giustizia e libertà"; ad altri potrà legittimamente ricordare Giuseppe Di Vittorio, Lama e Amendola, Antonio Labriola e Gramsci, ad altri ancora Giustino Fortunato e Danilo Dolci, ed anche Luigi Einaudi delle "Lezioni di politica sociale".

Luciano_Lama

Andate a rileggerli quei testi, voi Bersani, voi Casini, voi Vendola, voi Pisapia, voi Tabacci. Giorgio Napolitano li conosce bene, lui è sempre stato un uomo di sinistra anche se da Capo dello Stato ha appeso quella vocazione all'attaccapanni prima di varcare la soglia del Quirinale.

Un uomo di sinistra, di quella sinistra. Non c'è un'altra strada. Quella è la sola vincente e l'obiettivo è di rifondare l'anima dei democratici e chiamare a raccolta gli spiriti liberi e forti del Paese. Forse è la maggioranza degli italiani, ma se non lo fosse pazienza, si lavorerà per il futuro. Nell'uno come nell'altro caso sarà comunque una vittoria.

Berlusconi - ovviamente - con queste prospettive non ha niente a che fare. Lui rappresenta l'Italia di Santanché che certo non è la nostra.

Eugenio Scalfari

Scritto da Quotidiano La Repubblica   
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