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Dolente, grottesca e senza speranza quella Palermo specchio dell'Italia
Sabato 01 Settembre 2012 10:23

Dolente

CINEMA

Applausi per E' stato il figlio, di Daniele Ciprì, primo film italiano in concorso a Venezia. Dalle periferie della città siciliana, un ritratto desolante di come eravamo e di come forse siamo rimasti. Con un grande Toni Servillo dal nostro inviato CLAUDIA MORGOGLIONE

Dolente, grottesca e senza speranza quella Palermo specchio dell'Italia

VENEZIA - Il lato grottesco della realtà che diventa dramma, la povertà che veicola bruttezza e non redenzione, la Palermo delle periferie e della mentalità mafiosa come specchio di un'Italia irredimibile. Ancora concentrata, come ai tempi di Verga, sul culto della roba, dei soldi, del possedere a ogni costo. A portare alla Mostra questo ritratto desolante di come eravamo e di come forse siamo rimasti è Daniele Ciprì, che col suo E' stato il figlio, primo film italiano in concorso, ottiene applausi alla prima proiezione stampa della mattina.

Un inizio che fa ben sperare per una pellicola esilarante, con cui il regista - qui alla prima prova dietro la macchina da presa senza lo storico socio Franco Maresco - recupera in parte le atmosfere del suo stracult Cinico Tv. Ma inserendo quello stile, quei volti, quella miseria fisica e morale in un contesto più solido, più ampio, più riflessivo, come il mezzo cinematografico richiede. Protagonista un Toni Servillo - che qui a Venezia ritroveremo in La bella addormentata di Marco Bellocchio - nel ruolo del capo della famiglia Ciraulo. Siamo negli anni Settanta, nel capoluogo siciliano, e lui campa i suoi congiunti come può, tirando a campare. La fortuna - ed è questo il primo dei paradossi forti del film - arriva nei panni della pistola di un balordo, che nel corso di un regolamento di conti in strada colpisce e uccide, per sbaglio, la figlia.

Per i Ciraulo, dopo il dolore, arriva la speranza della cuccagna, sotto forma del risarcimento che lo Stato concede alle vittime di mafia. Ogni componente della famiglia non vede l'ora di mettere le mani sulla roba: Servillo, in particolare, agogna una fiammante Mercedes scura, con cui farsi bello coi vicini del casermone di periferia in cui abita. Ma questo è solo l'inizio di un'odissea tragicomica che strappa allo spettatore più di una risata, e che porta a un epilogo che non può lasciare indifferenti.

Tutti bravi gli interpreti. A cominciare ovviamente da Servillo, che gigioneggia in siciliano come ci si aspettava; ma anche tutti gli altri, da Giselda Volodi al carismatico attore Alfredo Castro, volto principale del cinema cileno, qui in un ruolo chiave. Capace di dare un tocco surreale, ma anche dolentissimo, a questo amaro dramma del grottesco.

Scritto da Quotidiano La Repubblica   
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