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Il Futuro è la Pace
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"Chest'è Napul fratè "
Martedì 04 Dicembre 2012 18:26

raffa_es

Di cosa siano capaci i napoletani te ne accorgi appena sbarchi all'aeroporto di Capodichino. Che tu sia un turista straniero in cerca di svago, un napoletano reduce da un week-end di piacere ovvero un uomo d'affari in città per lavoro, la dabbenaggine di questo popolo disgraziato ed inconsapevolmente fortunato ti si para davanti con la stessa irruenza di un secchio di fango gettato su di una tela magnifica.

Sbarco nello scalo partenopeo all'ora di pranzo reduce da un breve soggiorno di piacere a Milano e dintorni. Neanche il tempo di rendermi conto di essere tornato nel noto paradiso abitato da diavoli che mi si para davanti uno strano figuro.

Complice l'atavica voglia di relax dei partenopei, l'autobus che avrebbe dovuto portarmi alla stazione ferroviaria è fermo senza conducente né controllore, il curioso personaggio osserva le calze che indosso e mi fa: "A fratè tiene i stessi cazttini che veng' io, accatatenne nu par" tradotto in italiano: "Fratello indossi gli stessi calzini che vendo anch'io. Te ne compri un paio?"

Infastidito ed affaccendato in altro, opto per il silenzio.

Incuriositi dei turisti stranieri cercano di capire cosa stia accadendo.

Cosa ci fa - immagino si chiedano – un venditore di calze con berretto di lana calato fin sugli occhi all'esterno di un aeroporto con l'unico scopo di racimolare denaro ed importunare i viaggiatori nell'indifferenza generale? La risposta non si fa attendere.

L'ambulante molesto avvicina un'altra coppia anch'essa appena sbarcata. A differenza del sottoscritto il ragazzo in compagnia di una donna tenta un dialogo: "Non ti sembra assurdo dare questa immagine di Napoli ai tanti turisti che vengono qui?" La risposta icastica e cinica è immediata: "Chest è Napoli, frat è! A fatic nun ci sta" Questa è Napoli fratello, il lavoro non c'è.

L'autobus finalmente parte e raggiungo la stazione ferroviaria dove di corsa salgo sul primo treno locale che mi riporterà a casa. Il tempo di trovare un pertugio dove infilarmi con il bagaglio che il treno parte. All'improvviso mi si para davanti un ossesso visibilmente drogato e grondante di sudore nonostante il termometro segni cinque gradi.

Dopo avermi sbattacchiato per farsi spazio apre le porte del vagone già in movimento con la maniglia di emergenza e salta giù. Altri compagni di sventura mi diranno che era chiuso in bagno e non si era accorto della partenza.

Vedendola dall'alto Gomorra è un assieme di architetture eccelse del passato, scorci fantastici baciati da un clima divino. Un caos armonico che non appena si mette piede a terra diviene dileggio, spregio ed invettiva di tutto ciò che avrebbe potuto essere e mai sarà.

Vedi Napoli e poi muori recita un vecchio adagio; Napoli come emblema della bellezza immortale. Cosa c'è di più bello di una terra che nonostante la sciagurataggine dei suoi abitanti, la loro atavica ignoranza, il loro malsano cupio dissolvi comunque sopravvive ed a tratti ancora impera? Cosa c'è di più sublime di distese e distese di territori rigogliosi che malgrado siano aggrediti dai rifiuti e spolpati dalla malavita ugualmente emozionano?

Rabbia e pietà per questa terra ed i suoi figli oltre ad una ferma voglia di fuggire via, lì al nord, dove al posto della bellezza prorompente nonostante la selvatichezza di chi vi abita, dominano ordine e civiltà, è l'ultima riflessione che mi accompagna nel ritorno alla mia quotidiana barbarie.

Raffaele de Chiara

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Scritto da Raffaele de Chiara   
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