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Discorso inaugurale di Franklin Delano Roosevelt
Martedì 25 Dicembre 2012 09:19

Rubinato-gagliardetto

Cari amici, care amiche,

in questo Natale che vede molte persone e famiglie in sofferenza e difficoltà, giovani privi di speranza nel futuro, anziani in solitudine, mentre ci si appresta a nuove elezioni politiche con cui il popolo designerà chi avrà la responsabilità di guidare l'Italia in questi tempi difficili, ho pensato di trascrivervi, quale augurio di speranza e fiducia, alcuni stralci del Discorso inaugurale di Franklin Delano Roosevelt, fatto a Washington il 4 marzo del 1933.

"Ritengo che questo sia soprattutto il tempo di dire la verità, tutta la verità, con sincerità e coraggio. Non ci si può esimere dall'affrontare con onestà la situazione del Paese. Questa grande Nazione resisterà come sempre ha fatto, si riprenderà e tornerà ad essere prospera. Lasciate dunque che io esprima innanzitutto la mia ferma convinzione che quanto dobbiamo soprattutto temere è di lasciarci vinc ere dalla paura, da quella paura senza nome, irragionevole e ingiustificata, che paralizza i movimenti necessari per trasformare una ritirata in un'avanzata.

...

E' con questo spirito che noi tutti affrontiamo le nostre comuni difficoltà Grazie a Dio, esse si riferiscono esclusivamente a beni materiali: le quotazioni sono precipitate a livelli impressionanti; le imposte sono cresciute; la nostra capacità di pagamento è diminuita; ogni categoria di amministrazione deve tener conto di una notevole diminuzione delle sue entrate; nei traffici commerciali si è prodotto un vero congelamento delle possibilità di scambio; le iniziative imprenditoriali giacciono ovunque a terra come foglie secche; gli agricoltori non trovano mercati di sbocco per i prodotti della terra, e migliaia di famiglie hanno perduto i risparmi pazientemente accumulati in lunghi anni.

Ancor più gravi sono le condizioni di una moltitudine di cittadini disoccupati alle prese con il problema spaventoso della sopravvivenza, mentre altrettante persone lavorano duramente per pochi spiccioli. Solo uno sciocco ottimista può negare la cupa realtà del momento.

Eppure le nostre sciagure non derivano da alcun fallimento sostanziale. Non siamo stati colpiti dalla piaga delle locuste. Se pensiamo ai pericoli che i nostri avi hanno superato, grazie alla loro fede e al loro coraggio, noi abbiamo ancora molto di cui essere grati La natura ci offre ancora le sue incalcolabili ricchezze, che il lavoro umano moltiplica. L'abbondanza è alle soglie delle nostre case, ma la possibilità di valercene viene meno benchè questi tesori ci siano a portata di mano.

Questo accade perché quanti dominano nel campo dello scambio dei beni materiali hanno fallito per ostinazione ed incompetenza, hanno ammesso il loro fallimento ed hanno abdicato alle loro responsabilità. Davanti al tribunale dell'opinione pubblica, condannati dal cuore e dalla mente degli uomini, stanno i si stemi di speculatori poco scrupolosi. Di fronte all'assenza di credito, non hanno saputo proporre altro che ulteriori debiti. Spogliati del richiamo del profitto con cui indurre la gente a seguire la loro falsa guida, sono ricorsi alle esortazioni implorando nuova fiducia con le lacrime agli occhi.

Essi non conoscono altre regole, se non quelle di una generazione di difensori dei propri interessi. Sono privi di una visione del futuro e quando questa manca il popolo soffre.

Questi barattatori del denaro altrui sono fuggiti dai loro alti seggi nel tempio della nostra civiltà. Sarà ora possibile restituire questo tempio al culto delle verità antiche. Questa operazione riuscirà nella misura in cui sapremo applicare valori morali più nobile del mero profitto economico.

La felicità non consiste esclusivamente nel possesso del denaro; essa si concreta nella gioia che nasce dal raggiungimento d'uno scopo e nell'emozione data dallo sforzo creativo La gioi a e lo stimolo morale del lavoro non devono mai più essere dimenticati ricorrendo sconsideratamente profitti evanescenti. Questi giorni bui saranno valsi a qualcosa, se ci avranno insegnato che non dobbiamo far gestire il nostro destino da altri, ma dobbiamo amministrarlo noi stessi.

Riconoscendo quanto sia sbagliato usare il benessere materiale come indice di successo si supera la falsa convinzione che porta a valutare gli incarichi pubblici e le massime cariche politiche solo in termini di ambizione e profitto personale.

Bisogna porre fine a quella linea di condotta bancaria e commercialistica, che troppo spesso ha confuso la giusta fiducia con un malaffare insensibile e spietatamente egoista. C'è poco da meravigliarsi se la fiducia scarseggia, poiché essa si nutre di correttezza, onore, mantenimento degli impegni, protezione leale, azioni disinteressate e senza tali presupposti non può sopravvivere.

Ma la ricostruzione non esige solo modifica zioni di indole morale. La nostra nazione vuole azioni e la vuole ora. Il nostro primo grande obiettivo è quello di far tornare la gente a lavorare. Non è un problema irrisolvibile, se affrontato con saggezza e coraggio.

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Spero di interpretare fedelmente il pensiero del nostro popolo dicendo che mai prima di ora abbiamo così chiaramente realizzato la nostra interdipendenza, l'uno con l'altro; abbiamo imparato che non è lecito prendere soltanto, ma che bisogna anche saper dare; che, se vogliamo progredire, occorre marciare come un esercito leale e ben addestrato, pronto a sacrificarsi per il bene comune, perché senza tale disciplina non può esistere progresso, nè alcuna leadership efficace.

So bene che siamo pronti e disposti a sottoporre la nostra vita e le nostre ricchezze a tale disciplina perché essa consente il consolidarsi d'una linea di governo che tende a un più diffuso benessere. Questo io mi propongo d'offrire, promettendo che i pi ù vasti obiettivi da raggiungere peseranno su noi, su tutti noi, come una sacra obbligazione, con un'unità di doveri, che sino ad oggi è stata invocata solo in tempi di guerra. Fatta questa promessa, assumo senza esitazioni il comando di quel grande esercito che è il nostro popolo, per muovere un disciplinato attacco contro i comuni problemi.

Sotto la forma di governo ereditata dai nostri avi è possibile agire in questa forma e per tale fine. La nostra Costituzione è così semplice e pratica che è sempre possibile affrontare esigenze straordinarie con adattamenti insignificanti delle sue disposizioni e senza derogare dai suoi principii essenziali.

...

Affrontiamo il momento difficile che ci si presenta dinanzi con il confortante coraggio che proviene dall'unità nazionale; con la distinta consapevolezza della ricerca di valori morali antichi e preziosi; con la pura soddisfazione che ci viene dall'agire fermo di giovani e anziani secondo i rispettivi doveri".

 

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Scritto da Franklin Delano Roosevelt   
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