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Archivio di Stato di Napoli
Venerdì 21 Marzo 2014 16:37

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Il Patrimonio Documentario

Il patrimonio documentario dell'Archivio di Stato di Napoli testimonia sia la storia della città e del territorio (prima l'Italia meridionale e la Sicilia, poi la provincia di Napoli), di cui essa è stata il centro politico e amministrativo, sia il modo in cui si è sedimentata la memoria storica di questa città. Non si tratta soltanto della distinzione fra ciò che è andato distrutto o disperso e ciò che invece si è conservato, ma anche della particolare struttura formale che gli archivi hanno assunto nel corso del tempo e dell'immagine che di essi si è andata costituendo attraverso il lavoro di generazioni di archivisti e di studiosi di storia patria.

È ormai noto come la dolorosa perdita dell'archivio diplomatico e degli archivi delle cancellerie angioina e aragonese nel corso della seconda guerra mondiale abbia contribuito a orientare la ricerca storica a Napoli verso le fonti superstiti, verso le nuove acquisizioni e verso archivi di età moderna, in precedenza meno considerati.

Riferimenti fondamentali per la ricerca in questo ambito sono certamente i consistenti fondi provenienti dalla Regia Camera della Sommaria, l'organo incaricato durante tutto l'antico regime della revisione dei conti dello Stato e dei comuni (o, come allora si diceva, università), nonché tribunale di quello che a partire dal secolo XIX si sarebbe chiamato "contenzioso amministrativo". A questo archivio attingono gli studi sulle successioni feudali e sull'intestazione dei feudi, sull'amministrazione delle rendite e sulla riscossione dei tributi durante tutto l'antico regime.

Si pensi anche all'importanza che rivestono gli atti dei catasti onciari voluti da Carlo di Borbone per censire i beni dei sudditi dei domini continentali e per avviare un nuovo e più efficace sistema di imposizione diretta.

Testimonianza dell'attività di governo svolta dai viceré spagnoli prima e austriaci dopo costituisce l'archivio del Consiglio Collaterale, che comprende i documenti prodotti da questo prestigioso organo rappresentativo del regno, che affiancava e a volte contrastava il viceré e custodiva gli atti della cancelleria.

Relativamente ad un più ampio ambito temporale che giunge fino al 1808, gli archivi della Delegazione della Real Giurisdizione e del Cappellano maggiore riflettono rispettivamente l'attività di difesa delle prerogative sovrane nei confronti della giurisdizione della Chiesa di Roma e l'amministrazione delle cappelle e dei luoghi di culto dei siti reali e quella dei benefici di regio patronato. Quest'ultimo archivio comprende poi anche i documenti prodotti dal Cappellano maggiore in quanto soprintendente dell'Università degli studi di Napoli.

Specificamente legato invece alla storia del regno autonomo instaurato da Carlo di Borbone nel 1734 è l'archivio della Real Camera di Santa Chiara, supremo organo giurisdizionale e consultivo incaricato anche di tenere gli atti della cancelleria del regno, in luogo dell'abolito Consiglio Collaterale.

Alla stessa figura del primo re della dinastia borbonica a Napoli è legato l'Archivio Farnesiano, il complesso delle carte provenienti dal ramo materno di Carlo, la casa Farnese appunto, che il nuovo sovrano portò con sé a Napoli in occasione del suo insediamento.

La documentazione prodotta dalle Segreterie di Stato, i supremi organi di governo della monarchia borbonica è unita a quella proveniente dai Ministeri di Stato istituiti durante il decennio francese, nell'ambito di un ordinamento politico - istituzionale fondato sui principi della monarchia amministrativa. A questo proposito sarà opportuno sottolineare come sia ricorrente nella storia degli archivi che questi siano acquisiti dall'ultimo soggetto titolare delle funzioni che essi documentano. Accade così, e lo si nota particolarmente nei momenti di accelerazione e di svolta della storia, che gli archivi delle organizzazioni di nuova istituzione finiscano per ereditare le carte di quelle che, in precedenza, avevano svolto funzioni analoghe.

Di queste modalità di trasmissione dei documenti rappresentano un significativo, quanto particolare esempio gli archivi delle corporazioni religiose soppresse in tre momenti della storia del Mezzogiorno d'Italia (la restaurazione del 1799, il decennio francese e l'unificazione nazionale), che, assegnati insieme con gli altri beni di proprietà di quegli enti all'amministrazione del Demanio, ma generalmente lasciati nelle antiche rispettive sedi, furono via via trasferiti, a partire dal 1814, all'Amministrazione archivistica, istituita nel 1808.

Con la riforma dell'ordinamento giudiziario, si interrompe la continuità della sedimentazione degli archivi delle antiche magistrature e si creano quelli dei nuovi tribunali.

Al nuovo ordine di cose instaurato dai napoleonidi a partire dal 1806, sono pertanto legati gli archivi delle nuove magistrature fondate in quel decennio, fra le quali quello dello stesso Archivio generale del regno, l'istituto addetto alla concentrazione e alla conservazione degli archivi storici, che in epoca borbonica avrebbe assunto la denominazione di Grande Archivio e dopo l'unità d'Italia quella, ancora attuale, di Archivio di Stato di Napoli. Trae origine dall'entrata in vigore nel Regno di Napoli del Codice Napoleone nel 1808 l'archivio dello Stato civile di Napoli e della sua provincia.

La resistenza ai cambiamenti storici e la solidità delle istituzioni fondate da Giuseppe Bonaparte e dal suo successore, Gioacchino Murat, costituiscono la ragione della continuità degli archivi che da quelle provengono, che non conobbero fratture in relazione alle vicende della restaurazione del 1815. Nuovi archivi invece si crearono in occasione della successiva restaurazione del 1821, quando, anche su pressione delle grandi potenze europee, Ferdinando I dovette procedere ad un generale riordinamento amministrativo. Comincia infatti nel 1822 la grande serie dei volumi dei protocolli del Consiglio ordinario di Stato e nel 1824 l'archivio delle Consulte di Stato che dovevano affiancare il Consiglio dei ministri e il sovrano, in ogni caso unico depositario degli indivisi poteri dello Stato, nell'elaborazione legislativa.

Un nuovo adattamento alle esigenze dell'amministrazione e della società napoletana si verificò negli anni 1847-1848, prima e durante l'esperienza costituzionale, quando Ferdinando II provvide ad articolare in specifici rami i complessi compiti già affidati al solo Ministero degli affari interni. Si crearono così particolari amministrazioni per i lavori pubblici, per l'agricoltura e il commercio e per la pubblica istruzione, dalle quali provengono altrettanti archivi.

Caduta la monarchia borbonica, alla dittatura di Giuseppe Garibaldi e al breve periodo della Luogotenenza delle province napoletane, seguì l'estensione dell'ordinamento amministrativo del Regno d'Italia ai territori dell'antico Stato napoletano e quindi la riduzione della città di Napoli ad una dimensione provinciale.

In relazione con gli avvenimenti del 1860, mostrano una notevole vischiosità gli archivi degli organi giudiziari che non conoscono soluzioni di continuità in quella pur tanto significativa occasione, mentre quelli dei nuovi organi amministrativi riflettono una rottura analoga a quella determinatasi nell'apparato istituzionale. Gli archivi principali, non soltanto per la loro consistenza, di questa nuova epoca sono allora senza dubbio quelli della Prefettura, l'organo che rappresentava il governo centrale nella provincia, e della Questura, la massima autorità di polizia in ambito circondariale fino al 1927, successivamente in ambito provinciale.

Fra gli altri archivi, via via versati e in corso di implementazione, una particolare segnalazione merita l'archivio del Genio civile di Napoli, costituito dai documenti relativi ai lavori pubblici realizzati nella città, anche molto anteriori all'istituzione di quell'ufficio nel 1882.

Dopo la seconda guerra mondiale, sotto la direzione di Riccardo Filangieri, fu avviata, in primo luogo mediante la procedura del deposito all'Amministrazione archivistica, un'attenta opera di acquisizione di archivi privati (di famiglie o di personalità), che prosegue tuttora e si procedette all'acquisto dell'Archivio Borbone dagli eredi della spodestata casa regnante residenti in Germania. Queste preziose carte, che Francesco II portò con sé in esilio, integrano gli archivi di Casa Reale già conservati presso questo Archivio di Stato.

Sospeso invece, per mancanza di spazio, è l'incremento dei preziosi archivi notarili, di cui si conservano attualmente quelli dal secolo XV al 1750.

Costituisce un cimelio di particolare valore il prezioso codice miniato della Confraternita di Santa Marta (secoli XV-XVII), contenente stemmi di personaggi eminenti, come lo Stemma di Ladislao di Durazzo, lo Stemma di Isabella di Lorena e lo Stemma di Alfonso I d'Aragona.

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