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Festeggiare il lavoro quando il lavoro non c'è
Giovedì 01 Maggio 2014 15:27

 

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 L'ultimo paradosso dell'Italia bislacca è relegata a tre semplici parole vergate sul calendario: "Festa dei lavoratori". C'è stato un tempo in cui si è lottato per ottenere condizioni di lavoro dignitose e paghe all'altezza delle mansioni svolte, oggi altresì si assiste al triste meretricio di anime e corpi venduti in nome di un'occupazione. Sullo sfondo uno zoccolo duro di onesti reclama giustizia e futuro.

A chi dedicare allora questa festività, quantunque così carica di significati, se non a coloro che un lavoro non ce l'hanno?

Quasi quotidianamente ormai assistiamo alla recita del fetido rosario di responsabilità che ha come unico obiettivo quello di individuare teste di turco contro cui scagliare la propria rabbia. Dalla globalizzazione alle politiche di austerity volute in Europa dalla Merkel, passando per l'improvvido ventennio berlusconiano, è tutto un rimpallo di responsabilità privo di qualsiasi fondamento. Fermo restando la crisi economica che ha investito il mondo intero dal 2008 ad oggi, quello che in Italia non ha funzionato è stato principalmente l'incapacità del nostro Paese di essere un popolo onesto avulso dall'ipocrisia. Un tessuto sociale slabbrato attraversato da rabbie ataviche tra chi ha tutto, un lavoro, prospettive di vita e chi non ha nulla, perché rubato da altri, non ha contribuito di certo ad attenuare gli e ffetti nefasti della crisi. Aggravandone anzi, in taluni casi, la portata.

E' notizia di questi giorni che a Milano si è tenuto un concorso pubblico per diventare Vigile Urbano. Alle preselezioni si sono presentati in 10 mila per soli 14 posti. Intervistata una ragazza ha dichiarato: «Sono laureata in giurisprudenza con due master all'attivo. Concorro anch'io perché purtroppo non ho altre alternative» Ecco la cifra dell'Italia di oggi è tutta qui. Di storie come queste la cronaca ce ne regala a migliaia; purtroppo. Circa un anno fa Concita de Gregorio ce ne diede un ottimo spaccato in un piccolo saggio "Io vi maledico". Storie di rabbia e frustrazione di chi un lavoro ce l'aveva e l'ha perso, piuttosto di chi l'ha sempre cercato e, pur avendo tutti i titoli in regola per ottenerlo, non l'ha mai avuto. Ecco da allora poco o nulla è cambiato.

La Balivo regina sorridente di una Tv più che mai generalista continua ad infinocchiare il popolino facendolo sognare con abiti fatti di sola stoffa senza cuciture e perciò stesso inutilizzabili. Barbara D'Urso procace più che mai, intrattiene gli affezionati del biscione con le sue storie strappalacrime, volgari ancor più della lercia fisicità dei suoi personaggi. Il sempiterno Silvio Berlusconi e la sua corte dei miracoli cui giornaliermente paghiamo dazio per la sfortuna di essere nati in Italia che ancora sbraita per la persecuzione giudiziaria ai suoi danni.

Ecco, tutto ciò costituisce il contro altare di una rabbia che attanaglia sempre più gli uomini di cultura. Gli unici a non essere accecati dalla mediocrità che sovente regna sovrana.

Per un giorno allora, almeno uno, che si accantoni l'ipocrisia e si riscopra per davvero il reale valore del lavoro, il mezzo più importante che ciascuno individuo ha per salvaguardare la propria dignità.

Oggi non c'è nulla da festeggiare. Si dedichi questa giornata piuttosto a chi un lavoro non ce l'ha. Per colpa di tutti coloro che gliel'hanno rubato.

Raffaele de Chiara

www.ondanomala.org

Scritto da Raffaele de Chiara-giornalista   
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