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...e se sulla giustizia avessero ragione?
Venerdì 12 Gennaio 2018 15:09

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“Potere al popolo”: e se sulla giustizia avessero ragione?

       La proposta elettorale del movimento politico “Potere al popolo” di combattere le mafie con l’abolizione dell’ergastolo e del 41bis ha fatto gridare allo scandalo, in malafede alcuni professionisti dell’antimafia e in buonafede una parte del popolo della sinistra.

     Ho passato oltre 35 anni dei miei 62 in carcere, 5 dei quali in regime di 41bis all’Asinara, e credo che le persone intelligenti abbiano poche certezze e molti dubbi e quindi forse conviene ragionarci un po’sopra.

A me sembra che finora le politiche, ultraventennali, del carcere duro e del fine pena anno 9.999 abbiano portato più vantaggi alle mafie (almeno a quelle politiche e finanziarie) che svantaggi, dato che anche gli addetti ai lavori affermano che l’élite mafiosa è più potente adesso di prima.

A questo punto, io penso che se è solo una questione di sicurezza, e non di vendetta sociale, sia più sicura per la collettività la pena di morte che la pena dell’ergastolo o il regime di tortura del 41bis.

Qualcuno sostiene che il carcere duro, almeno all’inizo, sia stato utile, ma questo a che prezzo? Io credo che alla lunga il regime di tortura del 41bis, e una pena realmente senza fine come l’ergastolo ostativo, abbiano rafforzato la cultura mafiosa, perché hanno innescato odio e rancore verso le Istituizioni anche nei familiari dei detenuti.

Penso che sia davvero difficile cambiare quando sei murato vivo in una cella e non puoi più toccare le persone che ami, neppure in quell’unica ora al mese di colloquio che ti spetta. Con il passare degli anni i tuoi stessi familiari incominciano a vedere lo Stato come un nemico da odiare e c’è il rischio che i tuoi figli, che si potrebbero invece salvare, diventino loro stessi dei mafiosi.

Credo che sia sbagliato cedere parte della nostra umanità per vivere in una società più sicura. Ricordo che ai miei tempi il carcere duro veniva applicato indistintamente, anche ai giovani, a ragazzi appena maggiorenni, che certo non potevano essere dei “boss”, per avere il consenso politico e sociale, più che per motivi di sicurezza.

Posso dire che per me è molto più “doloroso” e rieducativo adesso fare il volontario in una struttura della Comunità Papa Giovanni XXIII (fondata da Don Oreste Benzi) che gli anni passati murato vivo in isolamento totale durante il regime di tortura del 41bis. Trattato in quel modo dalle Istituzioni, mi sentivo innocente del male fatto; ora, invece, che sono trattato con umanità, mi sento più colpevole delle scelte sbagliate che ho fatto nella mia vita. E penso che questo potrebbe accadere anche alla maggioranza dei prigionieri che sono ancora detenuti in quel girone infernale. Sono convinto che anche il peggiore criminale, mafioso o terrorista potrebbe cambiare con una pena più umana e con un fine pena certo. Ci sono persone che sono sottoposte al regime di tortura del 41bis da decenni, ergastolani che quando sono entrati in carcere avevano compiuto da poco diciott’anni e che ora hanno passato più anni della loro vita dentro che fuori. Persone che sono cambiate, o potrebbero cambiare, ma che non potranno mai dimostrarlo perché nel certificato di detenzione c’è scritto che la loro pena finirà nel 9.999. A fronte del luogo comune che in Italia l’ergastolo di fatto non esiste, è solo il caso di ricordare che in Italia ci sono oltre 1.600 ergastolani, di cui la maggior parte ostativi ad ogni beneficio penitenziario e che quindi sono realmente destinati a morire in galera, senza aver mai messo piede fuori, in decenni e decenni di carcere.

In tutti i casi, il rischio zero non esiste per nessuna persona, perché siamo umani. In noi c’è il bene e il male e, a volte, spetta anche alla società rischiare, pur di trarre fuori il bene. Credetemi, il regime del 41bis e una pena senza fine riducono le persone a dei vegetali - quando va bene - o in esseri ancor più criminali di quando sono entrati in carcere.

È vero che una società ha diritto di difendersi dai membri che non rispettano la legge, ma è altrettanto ragionevole che essa non lo debba fare dimostrando di essere peggiore di loro. Purtroppo, a volte, questo accade. Penso che il regime di tortura del 41bis, insieme alle pene che non finiscono mai, non diano risposte costruttive, né tanto meno rieducative. Non si può educare una persona tenendola all’inferno per decenni, senza dirle quando finirà la sua pena, soprattutto nel caso, non raro, che essa non avrà ulteriori probabilità di reiterare i reati. Lasciandola in quella situazione di sospensione e d’inerzia la si distrugge e, dopo un simile trattamento, anche il peggiore assassino si sentirà “innocente”, mentre le persone “perbene” rischieranno di essere “colpevoli”. Non voglio convincervi, desidero solo farvi venire qualche dubbio. Non posso fare altro.

Carmelo Musumeci

Gennaio 2018

www.carmelomusumeci.com

Carmelo Musumeci è nato nel 1955 in Sicilia. Condannato all’ergastolo, è ora in regime di semilibertà nel carcere di Perugia. Ha trascorso buona parte della sua vita in carcere e da questa esperienza scaturiscono i suoi scritti e i suoi romanzi. Ha sempre studiato in carcere da autodidatta fino a conseguire tre lauree: nel 2005 in Scienze Giuridiche, con una tesi in Sociologia del Diritto dal titolo “Vivere l’ergastolo”; nel Maggio 2011 in Giurisprudenza, con una tesi dal titolo “La ‘pena di morte viva’: ergastolo ostativo e profili di costituzionalità”; nel 2016 si è laureato in Filosofia, con votazione 110 e lode, discutendo la tesi “Biografie devianti”.

Nel suo ultimo libro “La Belva della cella 154” affronta

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