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Mandato in Sicilia a morire
Martedì 04 Settembre 2018 08:59
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Tre settembre 1982. Il crepuscolo colora Palermo. Ore 19, Emanuela SETTI CARRARO, giovane e bella, esce da casa con la sua A112 per raggiungere in prefettura, Villa Withaker, il marito col quale è da poco sposata. Con quanta tenerezza l’austero Generale dei Carabinieri Carlo Alberto DALLA CHIESA, ancora al lavoro, accoglie quella donna radiosa che gli ha riempito il cuore che sembrava fermo dalla morte dell’amata Dora, la prima moglie. Emanuela ha voluto seguirlo a Palermo dove il 2 aprile il Governo gli ha chiesto di andare come Prefetto per combattere la mafia che divora il Paese. “Servitore dello Stato” ha accettato a condizione che gli diano mezzi e poteri.

Si è insediato il I° maggio, il giorno dopo l’uccisione di Pio LA TORRE. Gli impegni politici sono però rimasti parole! Lo ha detto al Governo, lo ha denunciato ai giornali! Sente attorno l’intreccio malato tra mafia e imprenditori, istituzioni, politici locali, regionali, parlamentari e governanti. Ma lui, Generale piemontese con gli “alamari” nel sangue non desiste, non mostra timore, incontra gente, va nelle scuole, parla ai giovani! Sono già le 21! L’ultima firma. Saluta il capo di gabinetto. Prende sottobraccio la moglie e scendono insieme. Emanuela si mette alla guida della A112, lui accanto. Domenico RUSSO il poliziotto con l’alfetta di scorta forse avrà cercato di sconsigliare. Ma l’impavido Generale ha deciso: andranno così al ristorante a Mondello. Lui li tallonerà. Partono. La luna è alta nel cielo, spira la brezza e il mare si tinge d’argento. Le belve sono in agguato. “L’operazione Dalla Chiesa- hanno annunciato da tempo in telefonate anonime- è alla fine”. In Via Carini, una bmw scura affianca la bianca A112. Crepitio di kalashnikov, centinaia di colpi. Il Generale invano protegge la sposa che muore. Anche lui, colpito, reclina la testa. Solo Dio sa la dolcezza disperata di quell’ultimo abbraccio d’amore e di morte. L’agente Russo accenna una reazione: un killer in moto gli spara, l’alfetta si blocca, inizia a bruciare. Il devoto poliziotto campano agonizza, pensando a suoi due bimbi, alla moglie. “Operazione conclusa”, il boss annuncia al mandante nell’ovattato palazzo. Sirene di polizia, carabinieri, ambulanze, ululano alla luna rossa di orrore. Arrivano magistrati, investigatori, e autorità dalle grigie facce contrite. L’indomani nella Chiesa i figli porranno sulla bara del Papà la sciarpa, la sciabola e il berretto di Generale dell’Arma. Risuona l’anatema del cardinale Pappalardo: “dum Romae consulitur Saguntum expugnatur!”. Cristo in croce e sepolcri imbiancati. A Palermo lo scacciapensieri continua la lugubre nenia di morte infinita.
I politici lo sostennero per sconfiggere le Brigate Rosse, poi gli fecero il vuoto intorno e lo mandarono a morire a Palermo, con la giovane moglie. Andreotti era pontentissimo in Sicilia. Il generale dichiarò qualche giorno prima dell'attentato, in una intervista a Giorgio Bocca, che, gli avevano dato i poteri di un prefetto di una città come Forlì. Lo Stato ovvero tutti noi,non li abbiamo sostenuti efficacemente affinchè, uomini della statura di Falcone, Borsellino, Chinnici,La Torre, del giudice ragazzino, sbeffeggiato da Cossiga, non fossero lasciati soli. L'elenco è troppo lungo per ricordarli tutti...Cosa è il Paese oggi, quali nobili sentimenti esprime? Poco e niente e i risultati sono sotto gli occhi di chi vuole vedere. ( A.M.)

Scritto da Ennio Di Francesco   
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