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Renzo Arbore: "Io, figlio di Foggia e del jazz d'America"
Giovedì 11 Aprile 2019 09:26

Lo showman sarà protagonista di un concerto nella sua città di nascita con molti ospiti, da Enrico Rava a The Italian Trio e Stefano di Battista. "I foggiani scoprirono i nuovi suoni provenienti dalla Lousiana grazie alla base americana dell'aeroporto di Amendola: furono i primi in Italia ad ascoltare il jazz". Una passione lunga una vita

di CARLO MORETTI

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L’epopea dei Beatles attraverso la mostra fotografica di Pattie Boyd, l’unico concerto italiano di Brian Ferry dei Roxy Music e poi, stasera (venerdì 12), il concerto jazz di Renzo Arbore con illustri ospiti tra i quali Enrico Rava, l’Italian trio, Stefano Di Battista, Enrico Zanisi, Nicky Nicolai e Noemi. È il Medimex Spring Festival in corso a Foggia, città di nascita dello showman.


 
Una città, spiega Arbore, che “oltre ad essere casa mia è stata la prima in Italia a scoprire i suoni del jazz grazie alla presenza degli americani nella base dell’aeroporto militare di Amendola. E anche la prima a tramutare musicisti di bande musicali in jazzisti di valore. Foggia ha sempre coltivato un’anima jazzistica e la passione per la musica dal sud degli Stati Uniti, dalla Louisiana”.

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Alla radio e in tv lei ha però avuto un ruolo importante soprattutto per la diffusione del rock e del pop, più che del jazz. 
“Ma il jazz è la matrice di tutto, anche per me. Vorrei ricordare che dal '65 al '70 nei pomeriggi alla radio di Per voi giovani trasmettevo quattro brani di jazz, certo scegliendo quel jazz propedeutico che sarebbe diventato fusion, artisti come Cannonball Adderley, Ramsey Lewis, Ray Charles, misi poi anche Louis Armstrong, Chet Baker, Miles Davis, facevo un lavoro diverso dalle rubriche di allora, facevo promozione del jazz attraverso un jazz semplice, quasi ballabile.  Però è vero che nelle mie trasmissioni come Bandiera Gialla, Speciale per voi e L’altra domenica ho contribuito a far conoscere il pop e il rock e a lanciare moltissimi artisti. Per inciso vorrei ricordare che Paolo Conte, Pino Daniele, Vasco Rossi, Claudio Baglioni hanno tutti debuttato con me, perfino Lucio Dalla. Ho conosciuto Edoardo Bennato che era appena arrivato dall’Inghilterra con il tamburello, la chitarra e i jeans che credo siano gli stessi che porta ancora oggi:  me lo segnalò il direttore della Ricordi Alberto Durante, era il tempo in cui Bennato si presentava come un one man band".
 
Lei era il primo dj radiofonico.
"Eravamo io e Gianni Boncompagni i due dj alla radio e subito dopo abbiamo fatto la tv musicale, ma soprattutto alla radio eravamo autorizzati a trasmettere tutte le canzoni che volevamo, anche quelle che non erano state ancora autorizzate dalla "Commissione ascolto dischi" della Rai, che era molto rigida… Per la verità li facevamo sentire prima a un direttore, un dirigente nostro complice che si chiama Maurizio Viganti, però eravamo sostanzialmente liberi di passare personaggi che non erano ancora nella discoteca della radio, come Lucio Battisti. Fummo noi a convincere Lucio, che allora era ancora soltanto un autore per altri, a cantare le sue canzoni: venne una volta a Bandiera gialla a salutarci, e così per spiegare che era proprio lui l’autore delle canzoni di Equipe 84 e Dik Dik, lo convincemmo a suonare Dolce di giorno e Nel cuore, nell'anima su una chitarraccia Eco che trovammo lì… lui diceva: "Ma io non so cantare, canto peggio di Mogol", poi dopo i grandi applausi del pubblico gli dicemmo che non poteva che essere lui a cantarle, aveva un senso ritmico straordinario"
 
Le sue prime esperienze da musicista jazz le ha vissute proprio a Foggia.
"Eravamo un gruppo jazz mezzo foggiano e mezzo napoletano, ci chiamavamo South Railway Travellers Jazz Band, I viaggiatori delle ferrovie del sud, perché andavamo a suonare con i treni, non avevamo ancora la macchina. Quella è stata la mia gavetta, vado a Foggia a parlare proprio di questa gavetta faticosa, dei tempi in cui dirigevo il Jazz college di foggia. Era l’epoca in cui non c’era ancora il rock'n'roll, prima dell'arrivo di Rock around the clock nel '56. Io ascoltavo il jazz, la stessa musica ritmica che ascoltavo da bambino al circolo ufficiali americano che era di fronte a casa mia, all’aeroporto militare di Amendola, all’epoca il più grande d’Italia. Suonavano la sera e io tutte le sere ero lì ad ascoltarli".

Com'era all'epoca la scena jazz italiana?
"In Italia c’era il revival del jazz, la Roman New Orleans jazz band di Carlo Loffredo era già revival nel '49, si cominciavano a formare i cosiddetti hot club, club virtuali in cui tenevamo conferenze, concerti, ci conoscevamo tutti di fama, sapevo che a Bologna suonava Pupi Avati, ci incontravamo quando i grandi come Armstrong venivano a suonare in Italia, ci riconoscevamo, lui è quello di Torino, lui quello di Firenze... Quando andai a Napoli per l'Università scoprii che c’era un'attività jazzistica ancora più forte, gli americani erano rimasti anche nel '56 e fino al '60 poi si sono trasferiti a Bagnoli: diventai uno dei dirigenti del Circolo napoletano del jazz, la sede era alla Ricordi in galleria, conservo le foto con Dave Brubeck, Ella Fitzgerald, Louis Armstrong. Qaundo il circolo si trasferì al Parco Margherita facemmo venire a suonare Romano Mussolini, persona che ammiravo anche come artista. Poi venne negli anni Sessanta il tempo del jazz a Roma, al Folk studio, al Music inn di Pepito Pignatelli, al ristorante Ciceruacchio che ospitava concerti di Gato Barbieri e Don Cherry, del primo Enrico Rava. Ci trascinavo anche Boncompagni".  
 
Oggi lei è nell'organigramma di Umbria jazz.
"Sono presidente della Fondazione Umbria jazz, anche se non ho scritto libri i jazzisti mi considerano un esperto, loro sanno benissimo che sono preparato".
 
Perché il jazz è ancora considerato una musica per iniziati?
"Perché è vero che richiede una certa preparazione, come per la pittura moderna, non la puoi decifrare, altrimenti. Alcune volte istintivamente puoi innamorartene con un pezzo facile ma resta una musica un po’ elitaria, una prola che non ci posso togliere, l’appassionato di jazz è un po’ esigente, certi sottoprodotti non gli piacciono. Tutti però possono iniziare con i fondamentali, i due album Ella & Louis di Ella Fitzgerald e Louis Armstrong, che sono come un vademecum, e con quelli del grande Nat “King” Cole che oggi riscoprono tutti ma io è una vita che ne parlo, me lo diceva anche Luigi Tenco che aveva iniziato grazie a Cole. Anche Ray Charles non ci sarebbe stato se non ci fosse stato Nat “King” Cole.
 
Cosa ascolta oggi e come giudica le nuove tendenze della musica?
"Le seguo con curiosità ma da jazzista faccio difficoltà ad apprezzare musiche con armonie molto semplici, sono un po’ più smaliziato, del resto anche con il rock'n'roll all'epoca abbiamo avuto difficoltà. Apprezzo chi fa il pop, ma mancano standard come Almeno tu nell’universo o come Ancora di Claudio Mattone, che provenivano dal jazz, potevano essere considerate di qualità tanto quanto le migliori ballad americane".

Scritto da MEDIMEX   
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