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Contro la quarta mafia, la Cultura della legalità
Martedì 28 Gennaio 2020 11:56

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Contro la quarta mafia, la Cultura della legalità. Cafiero de Raho cita Alvaro: “La più grande disperazione è credere che vivere onestamente sia inutile”

Non solo formazione e ricerca, con terza e quarta missione universitaria, ma anche interventi sociali e culturali nel territorio, per non far scendere l’attenzione della comunità e dei media.

È questo il senso del profondo impegno dell’Università degli Studi di Foggia col suo Magnifico Rettore Pierpaolo Limone e la delegata alla comunicazione la professoressa Rossella Palmieri contro la Quarta Mafia e la Società foggiana, ossia l’insieme di batterie e di gruppi mafiosi del Nord della Puglia che occupano e si infiltrano nell’economia legale della città e della provincia, dai Cinque Reali Siti al Gargano.  

 

Oggi si è tenuto l’incontro della cittadinanza col procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho.

L’Università di Foggia ha raccolto le idee di Stato, Chiesa ed Ateneo per provare a cambiare l’inerzia della città e del territorio. Il Rettore nel suo appello ha anche fatto due annunci. Sarà presto creato un centro studi sul tema dell’antimafia sociale su cui l’Unifg intende essere protagonista in quanto comunità accademica, con borse di studio e report ad hoc e poi caso unico in Italia sarà istituito, nell’ambito del Dipartimento di Giurisprudenza, ma non solo, un insegnamento interdipartimentale a scelta sui temi della lotta alla mafia insieme all’associazione Libera in modo da conoscere il fenomeno per poterlo così contrastare e anche per studiare in una prospettiva storica i successi dell’antimafia.

«Dobbiamo trovare il coraggio di andare oltre le parole, dimostrando con i fatti che abbiamo voglia di cambiare. L’università sta facendo un piccola rivoluzione, sta diventando il fulcro di questa riscossa civile».

È dalla cultura che passa il vero cambiamento di un territorio fortemente soggiogato dalla mafia. Come ha detto il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, lo Stato in Capitanata si sta impegnando con i suoi uomini migliori.

“Qual è la parte che rende più debole questa manovra di liberazione dalle mafie? È la presenza della borghesia, la borghesia mafiosa che rappresenta quella comunità criminale, che non si infiltra con gli uomini mafiosi ma si infiltra con uomini che hanno una credibilità economica. L’articolo 54 della Costituzione, ai dipendenti pone l’obbligo di svolgere il compito con disciplina e onore, a rischio anche della propria vita. Qui lo Stato sta dando la prova di quanto siano forti i sentimenti che hanno i magistrati. Serve un contrasto duro, le pene e gli ergastoli, ma è necessario qualcosa di più: serve una società che non partecipi solo alle manifestazioni ma che dia l’esempio. Non si chiede di fare gli eroi, ma di dare il proprio contributo da cittadini. Laddove c’è il rischio lo Stato  deve essere forte e reattivo, ma il cittadino qualcosa in più deve fare: mi trovo in questa Università e non posso non parlare dei compiti formativi e dei nostri studenti.
Diritti, dignità, solidarietà e valori. I cittadini che sono formati devono avere in sé questi valori. Non è la ricchezza materiale lo scopo della nostra vita, ma il rispetto dei diritti deve essere la nostra bussola”.

De Raho ha parlato di valori superiori: le mafie stringono legami e sono forti quando hanno tra i loro interfaccia i professionisti corrotti, le presunte persone perbene. È per questo che il magistrato campano ha citato due grandi intellettuali meridionali: Gesualdo Bufalino e Corrado Alvaro, uomo di San Luca. “La più grande disperazione è credere che vivere onestamente sia inutile”, ha detto parafrasando una citazione dello scrittore di Gente d’Aspromonte. “Che nessuno mai si faccia prendere da questa disperazione e da questa rassegnazione, perché laddove arriva la mafia arriva la schiavitù. Vi invito ad avere fiducia di questo Stato, che non è sempre uguale. A volte è formato da persone credibili, che sono in grado di tutelarvi e di non farvi apparire come le loro fonti”, ha concluso diretto agli imprenditori.

Sulla sua scia è intervenuto anche il Prefetto Raffaele Grassi, al segno di “Foggia ciao” Forza Foggia”, che solo pochi giorni fa ha emanato altre 10 interdittive antimafia.

“Sono profondamente ottimista, avverto che qualcosa si muove, eppur si muove. La manifestazione di Libera ha sortito quello che mi auguravo: c’è la presa di coscienza di un problema, di un cancro, che se non si interviene può diventare metastasi. Stiamo realizzando un percorso verso la costruzione della sicurezza. È la comunità che deve battere il tempo per la costruzione della sicurezza. È venuto il tempo di dire basta: la mafia foggiana condiziona il tessuto economico, amministrativo e bisogna avere il coraggio di dire anche quello politico. Corrado Alvaro porto con me un pensiero: per la confusione di idee che regnava a proposito di ingiustizia e giustizia. Non si trovava sconveniente accompagnarsi coi mafiosi, ebbene anche a Foggia non è stato sconveniente accompagnarsi coi mafiosi. Ogni mattina mi alzo allo specchio e mi dico: schiena dritta, schiena dritta. Questa città ha bisogno di schiena dritta. Noi potremo mettere la parola fine e chiudere una parentesi.  Le organizzazioni mafiose sono fatte di ali armate e di una zona grigia, la cosiddetta borghesia mafiosa che concorre nel favorire le loro attività illecite. Le organizzazioni criminali non conoscono bandiera politica, creando dei comitati di affari tramite la connivenza. Quando ho incontrato gli imprenditori nella consapevolezza che esiste una imprenditoria sana ho detto loro: o con me o dall’altra parte.  Il Prefetto non si alza la mattina e dice, ma applica la legge, non la interpreta: quando ci sono indici di infiltrazione deve fare sì che la libera impresa sia pulita e non sporca, perché una impresa sporca incide su tutto il contesto globale in cui ci sono le organizzazioni. Le mafie vivono di consenso non è scritto nell’articolo 416 bis ma la paura il non dire l’omertà favoriscono l’infiltrazione”.

Il momento letterario con i giovani premiati e il Teatro della Polvere

L’evento accademico organizzato con la Fondazione Antiusura Buon Samaritano rappresentata dal suo presidente onorario l’Arcivescovo Vincenzo Pelvi e dal suo presidente, l’ingegner Pippo Cavaliere, è stato anche l’occasione per premiare tre giovani delle scuole superiori per i loro racconti sui temi della lotta alla criminalità organizzata e l’usura, recitati con una lettura scenica dagli attori del Teatro della polvere, il laboratorio teatrale dell’Unifg. Tre le storie di altrettanti ragazzi: Una sera d’ottobre, La famiglia dura e non si usura e Neve d’aprile.

Presente anche il magistrato napoletano Pierluigi Picardi, in forza a Foggia negli anni Ottanta, gli anni della strage del Bacardi, quando la Procura era guidata dal compianto Tonino D’Amelio.

“Vivemmo depistaggi, mancanza di impegno nell’attività investigativa e anche un atteggiamento pigro della magistratura nell’analizzare il fenomeno; c’era quasi un rifiuto ad accettare l’idea che il proprio territorio fosse mafioso. La storia dei Casalesi è la storia di una criminalità cresciuta nel silenzio, serve un processo serio alla pubblica amministrazione, che noi iniziammo con una indagine che si arenò: siamo tutti attenti all’attentato ma sono solo episodi strumentali che servono per conquistare il potere. Va garantita la pulizia della pubblica amministrazione, oggi con grande fermezza dobbiamo dire Foggia Agisci, attacchiamo non difendiamoci. I Casalesi sono stati sterminati non solo con l’attività investigativa ma con tutte le strutture giudicanti. Lo Stato vince quando rimuove le cause incivili della nascita delle organizzazioni”.

Il procuratore antimafia di Bari Volpe ha ripercorso i cambiamenti in atto, dalla strage del Bacardi alla strage di San Marco in Lamis, in cui sono rimaste vittime 4 persone.

“Lo Stato col Ministero dell’Interno è sceso in campo, c’è stata una parabola tra due stragi, nel corso della quale le mafie hanno imperversato. Nel 2017 la Dia scrisse che c’erano 44 gruppi mafiosi, che hanno  una capacità di funzionare come un elastico. Oggi ci sono le numerose interdittive che sono state trasmesse, il tutto è coronato dall’attività indefessa delle forze di polizia impegnate in un’attività di contrasto, si pratica il metodo della concertazione per lo scambio continuo di informazioni”.

2017, Daunia venenum, il processo ai Clan di San Severo, DecimAzione con 30 arresti di capi e dii luogotenenti delle famiglie della Società e il lavoro su Vieste, luogo appetibile per il turismo e teatro di 10 omicidi in 3 anni e 4 tentati omicidi. “Questo lavoro sta dando i suoi frutti, perché mancava dal 2007 un collaboratore di giustizia. Oggi abbiamo i primi collaboratori. Ma in questo esercito è necessario che si schieri anche la società civile, io credo che tra queste forze la più importante sia quella che è scesa in campo portando 20mila persone in piazza”, ha specificando portando in dote alla Direzione Nazionale Antimafia un grande magistrato come Giuseppe Gatti che da domani lavorerà a livello nazionale.

Non c’è più passività e assuefazione, finalmente Foggia sta dimostrando di non voler sopportare più la criminalità, è stato il commento del procuratore di Foggua Ludovico Vaccaro. “C’è una voglia di cittadinanza attiva e di antimafia sociale. Tutto questo è sufficiente, basta? Vorrei dire di sì, ma siamo solo all’inizio del cambiamento. Sono fiducioso anch’io ma a determinate condizioni: occorre uno sviluppo per il territorio. C’è un humus, un territorio fertile da cui le organizzazioni traggono nuovi adepti e nuove leve, il disagio gioca in terreno fondamentale. Il lavoro è il miglior antidoto alla criminalità, abbiamo una disoccupazione altissima. Lo Stato deve essere più presente capillarmente nel territorio della Daunia. Occorrono interventi di sistema, uffici giudiziari più vicini ai cittadini. È importante riaprire le sezioni distaccate troppo frettolosamente chiuse nel 2013. Comuni come Cerignola, Manfredonia, San Severo non possono non avere un presidio giudiziario. La legalità si nutre di vicinanza allo Stato apparato”

 

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Le conclusioni del Rettore Limone sono stati stimolanti: “11mila studenti stanno scendendo in campo in questi giorni, è un segnale importante che va colto. Bisogna dare il senso di una continuità negli interventi pubblici. Tutte le università stanno cambiando la loro missione. Non solo formazione e ricerca con terza e quarta missione, ma intervento sociale nei territori. La nostra non è un’azione nuova, sin dal 1999 abbiamo fatto seminari, è venuto qui Saviano, c’è stata la Laurea Honoris Causa a don Ciotti, ma la sistematicità è un fatto nuovo e originale, abbiamo chiesto a tutti i dipartimenti di offrire le loro competenze sul tema della mafia. Cercheremo di condurre una serie di interventi per non fare calare l’attenzione della comunità e dei media. Tra le azioni che vogliamo porre in essere c’è la creazione di un centro studi sul tema dell’antimafia sociale su cui possiamo essere protagonisti in quanto comunità accademica, attivando anche delle borse di studio. E inoltre caso unico in Italia, istituiremo un insegnamento a scelta sui temi della lotta alla mafia insieme all’associazione Libera. Per conoscere il fenomeno per poterlo contrastare e in una prospettiva storica i successi dell’antimafia. Infine il Ministro dell’Interno sarà presente all’inaugurazione dell’anno accademico il prossimo 10 marzo”.

Scritto da Cafiero de Raho   
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