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LETTERA APERTA A MASSIMO GILETTI
Mercoledì 19 Febbraio 2020 16:52

 

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Antonio IOSA

Non è il primo che rivendica gli anni di piombo, una stagione terribile ed interminabile, conclusasi con l'efferato omicidio dell' On. Aldo Moro, noi che purtroppo siamo stati testimoni e vittime della follia di un gruppo di disperati, non possiamo non piangere persone come Antonio Iosa, tra l'altro nostro conterraneo. Una provocazione, il tentativo di riabiltare dei feroci assassini. La "dottrina" Mitterrand consisteva in una serie di dichiarazioni non seguite da estradizioni. Il presidente francese voleva favorire il reinserimento di questi italiani, a condizione che rinunciassero alla lotta armata e non avessero commesso crimini di sangue in Italia. (A.M.)

La7, l’ex brigatista Raimondo Etro a Non è l’Arena: “Meglio mani sporche di sangue, che di acqua”. Giletti lo caccia dallo studio.

Meglio mani sporche di sangue che di acqua“. È la frase che ha provocato la cacciata dell’ex brigatista rosso Raimondo Etro dallo studio di Non è l’Arena, programma di La7 condotto da Massimo Giletti. La frase è tratta da un romanzo di Graham Greene, con un riferimento alla

vicenda di Ponzio Pilato che, per non decidere sulla morte di Cristo, si lavò le mani con l’acqua, in uno dei gesti più iconici della storia dell’umanità. Il fatto di sporcarsi le mani di sangue era stato inteso come la decisione di dedicarsi alla lotta armata, piuttosto che restare inermi. Una frase molto forte che è stata interpretata in maniera letterale, considerato il passato di Etro, che ha subito una condanna a 20 anni nell’ambito del processo sul sequestro di Aldo Moro. Una frase che ha provocato indignazione tra gli ospiti della trasmissione come Luca Telese, e Daniela Santanché, esponete di Fratelli d’Italia. E proprio loro hanno chiesto l’allontanamento di Etro dallo studio

Caro dottor Massimo Giletti, sono Christian Iosa, figlio di Antonio Iosa, vittima del terrorismo perché ferito da 4 colpi di arma da fuoco alle gambe il 1 aprile del 1980 a Milano per colpa di un vile attentato delle brigate rosse, colonna Walter Alasia.

Rispetto ad altre vittime mio padre ha avuto la fortuna di sopravvivere per quasi 40 anni, fino allo scorso 29 agosto. Ero un bambino di soli 7 anni allora, adesso ne ho 46 e sono ormai un uomo.

Posso dire di aver visto soffrire mio padre, praticamente per tutta la vita, fisicamente e moralmente. Per gli oltre 30 interventi chirurgici (ad un certo punto ho perso il conto) e per le umiliazioni che ha dovuto subire, prima da alcuni ex compagni di partito (la D.C. di allora), poi dallo Stato italiano che per anni si è dimenticato di lui e delle altre vittime del terrorismo.

Mio padre non faceva politica ci tengo a precisare. Era un cattolico democratico e che ha fondato nel 1962 un circolo culturale (“Carlo Perini”) nella più estrema delle periferie milanesi, Quarto Oggiaro. Il suo unico scopo era quello di decentrare la cultura in modo che non fosse solo una prerogativa dei salotti della “Milano borghese”, ma servisse come strumento per superare quel dualismo centro-periferia sempre più crescente, in un contesto di estremo disagio giovanile, dove proletariato e sottoproletariato urbano venivano “ghettizzati” nei quartieri “dormitori monoclassi”. E fu così che a Quarto Oggiaro arrivarono a parlare, a partire dagli anni ’60, persone del mondo letterario e artistico del calibro di Pier Paolo Pasolini, Camilla Cederna, Danilo Dolci, Remo Brindisi, del mondo scientifico, come Umberto Veronesi, del mondo ecclesiastico come il Cardinale Martini, padre David Maria Turoldo, Don Bartolomeo Sorge, personaggi politici illustri tra cui i vari Sindaci di Milano, onorevoli, amministratori regionali, ecc. Persino l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella venne al Circolo Perini. I dibattiti erano accesissimi durante le conferenze che si tenevano negli anni 60 e 70. La sala riunioni era sempre affollatissima. Delle volte c’era persino gente per strada che non riusciva ad entrare. Il clima a volte era molto teso tanto che in alcune occasioni si dovettero interrompere le riunioni per le minacce di morte che arrivavano da alcuni membri del pubblico partecipante. Il 21 giugno del 1971 poi, durante un dibattito sul rischio del ritorno al fascismo, 80 picchiatori neofascisti assaltarono la sede del Perini gettando bottiglie incendiarie, minacciando pubblico e oratori con le pistole, lanciando biglie d’acciaio con le fionde, ferendo i cittadini e devastando la sede.

E il 1 aprile 1980 accadde l’attentato delle brigate rosse. Ebbe il “privilegio” di essere prescelto per il rito della gambizzazione per la farneticante accusa di "fare cultura per il sistema politico dominante, ingannando i proletari e i sottoproletari di Quarto Oggiaro". Così si legge sul volantino di rivendicazione delle brigate rosse. Tra i 4 attentatori si scopri successivamente che c’era Roberto Adamoli, un giovane che partecipava alle riunioni del Circolo Perini e che fu l’esecutore materiale del ferimento di mio padre.

Erano gli anni degli opposti estremismi, già! Mentre gli uni, a destra, usavano le bombe, e gli altri, a sinistra, le pistole, il mio caro papà utilizzava l’arma della cultura per vincere le ingiustizie e assottigliare le differenze sociali. Sfida che, mi permetto di dire, è stata vinta, non solo ovviamente da mio padre ma anche dai cittadini e dalle varie associazioni di quartiere successivamente sorte, perché adesso Quarto Oggiaro e così tante altre periferie milanesi, sono rinate in un clima e in un contesto dove è sempre più difficile stabilire il confine tra centro e periferia.

Ma quel sangue versato da mio papà è diventato una nuova linfa vitale perché dopo quel primo aprile non si è arreso ed ha continuato ancor più di prima nella sua “missione” culturale con uno stimolo in più: quello di mantenere viva la memoria delle vittime del terrorismo, lui che ha avuto la fortuna di essere sopravvissuto, per non dimenticare e per trasmettere ai giovani delle scuole quei valori di democrazia, legalità e rispetto della vita umana che devono stare alla base della società civile della nostra Patria.

Mentre dopo i benefici della legge Gozzini gli ex terroristi tornavano liberi e venivano intervistati o andavano a tenere interviste in tv o sui giornali, dibattiti o conferenze alle Università o alle scuole Superiori per spiegare le loro “ragioni”, le vittime erano state dimenticate, sia dai media che dallo Stato italiano. Fu così per Piazza Fontana, fu così per Piazza della Loggia e per gli innumerevoli attentati che hanno provocato 489 morti e migliaia di feriti, seminando odio, violenza, fanatismi e distruzione dei valori umani, sociali e democratici.

Ora tutti gridano “scandalo” e “vergogna” contro Raimondo Etro, un ex terrorista salito in purtroppo in cattedra grazie ad un “Uno Contro Tutti” che non poteva che finire in questo modo nel contesto di una trasmissione apprezzatissima e pregevolissima che però, sta volta ha voluto “spettacolarizzare” un tema estremamente delicato, che ha toccato inevitabilmente la sensibilità delle vittime e dei loro famigliari, in un sempre più difficile percorso di “riconciliazione” con gli ex terroristi che, invece di ravvedersi, continuano a legittimare la lotta armata come rivoluzione possibile per trasformare la società italiana degli anni ’70 in una logica rivoluzionaria leninista e adducendo nobili ragioni all’eversione armata contro il nostro ordinamento democratico scaturito dalla Costituzione Repubblicana. Terroristi che non sono stati né eroi, né nuovi partigiani per regalarci un mondo migliore con un regime comunista in Italia, ma sono “ora e sempre” da considerate delinquenti e assassini di vittime innocenti.

Pensavo che il recente 50° anniversario di Piazza Fontana avesse lasciato un segno indelebile nella memoria degli italiani grazie alle innumerevoli iniziative che si sono tenute sia a livello istituzionale che mediatico o che quanto meno il suo effetto potesse durare più a lungo. Oggi, invece, assistiamo con sgomento a terroristi che continuano a predicare il mito rivoluzionario della lotta armata e che sono invitati a partecipare ad iniziative culturali, convegni, lezioni educative o in televisione, salendo in cattedra per parlare della lotta armata e per lanciare slogan da nostalgici di una stagione di odio e di violenza.

Non è la prima volta che si parla di terrorismo nella sua trasmissione televisiva, ma è la prima volta che vedo un ex terrorista protagonista, come se fosse sotto interrogatorio, per rispondere alle domande sugli anni di piombo che inevitabilmente hanno prodotto quella risposta.

Così scrisse mio papà un anno fa in occasione del 39° anniversario della sua gambizzazione:

Molti cosiddetti “pentiti o dissociati” cercano sempre la giustificazione dell’ assassinio politico in nome di un fanatismo ideologico e in virtù di una presunta giustizia riparativa che di fatto legittima la lotta,  equiparando vittime e carnefici in un unico concetto di sofferenza e d’ingiustizia patita: le vittime con l’uccisione dei loro cari, i carnefici con la carcerazione inflitta da uno Stato detentore assoluto della violenza, per cui viene chiesta l’abolizione carceraria per sostituirla con l’utopia del sistema della giustizia riparativa che spesso aggrava i problemi e distorce la verità storica per mancanza di consapevolezza di chi commette il male, ignorando che il carcere è anche un centro di educazione alla malavita e al non pentimento………Gli ex terroristi brigano per ottenere attenzione alla narrazione autoreferenziale della loro esperienza di vita, dimenticano e non danno retta a chi ha sofferto e soffre nel constatare che gli ex terroristi, riscrivano la storia dal loro punto di vista ignorando il sangue delle loro vittime.

Le porgo infine la mia più sincera solidarietà per le vergognose minacce che le sono state rivolte, sintomo purtroppo, che non siamo ancora purtroppo liberi completamente da quel clima di odio e di violenza.

Cordiali saluti

Christian Iosa

Scritto da Cristian IOSA   
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