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LA RAREFAZIONE DELLE LIBERTÀ
Venerdì 20 Marzo 2020 09:38

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Ecco un parere giuridico dell’Avvocato Daniel Monni “ai tempi del coronavirus in carcere”, penalista del Foro di La Spezia. I detenuti o i loro familiari potrebbero valutare seriamente se procedere penalmente per il reato di maltrattamenti nei casi nei quali fosse ravvisabile. È possibile chiedere informazioni anche all’Associazione Liberarsi, indirizzo mail Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. oppure a me, Carmelo Musumeci, al seguente indirizzo Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

LA RAREFAZIONE DELLE LIBERTÀ

La dimensione “sacrale” del carcere – e, più profondamente, l’archetipo criminologico che lo teorizza come necessariamente diviso e separato dal consortium di riferimento – suscita, potremmo dire a fortiori, dubbi e sensazioni di disagio nei periodi etichettati come “emergenziali”.

La pena carceraria, nata dalle ceneri di una carità costrittiva ed anteposta – in epoca illuministica - allo “splendore dei supplizi” pare, infatti, ri(con)dursi – ad oggi - ad un silenzioso (ma non per questo meno doloroso) supplizio.

Se attenta Dottrina aveva, circa una decina di anni fa, acutamente notato che “se il disconoscimento della dignità umana, la limitazione e l’oppressione ingiustificate dalla libertà fisica e morale, il sacrificio ingiustificato delle necessità ed esigenze fisiche e spirituali della persona, sono i caratteri dell’offesa sottesa alla fattispecie di maltrattamenti, appare difficile sostenere l’irriducibilità delle situazioni di sovraffollamento carcerario al paradigma offensivo delineato dall’art. 572 c.p.[1]” che potremmo dire, nelle more del periodo storico attuale, di un’istituzione totale, e in primis di una formazione sociale, che non sembra tutelare (o, quantomeno, non pare farlo abbastanza) il diritto alla salute dei suoi cittadini posto che - come direbbe, forse, Monsieur De La Palice – i detenuti non possono, quasi tautologicamente, provvedere “in proprio” alla tutela dei propri diritti?

Non sembra, dunque, del tutto paradossale ed azzardato non escludere aprioristicamente l’integrazione del delitto di cui all’art. 572 c.p. da parte delle istituzioni carcerarie che non garantiscano le misure idonee a tutelare il diritto alla salute dei detenuti: argomentazione, questa, che sembra valore a fortiori – con espressione ampiamente (ab)usata -“ai tempi del coronavirus”, temperie nella quale la scienza medica suggerisce a più riprese le cautele ed i presidi da adottare per il contenimento dell’epidemia. L’ablazione della tutela dei diritti dei detenuti, purtuttavia, non sembra vestirsi del manto novellistico: Brissot de Warville, nel lontano(?) 1871 definiva il carcere una “cloaque d’infection[2]” e, cionnonostate, assuefarsi alla rarefazione dei diritti non sembra essere “cosa grata”. La rarefazione dei diritti, infatti, pare tendere favorevolmente all’evanescenza e può, quasi paradossalmente, far ascendere sé stessa alla ieraticità ed alla solennità proprie della metafisica.

18.03.2020

 


[1] GARGANI A., Sovraffollamento carcerario e violazione dei diritti umani: un circolo virtuoso per la legalità dell’esecuzione penale, in Cassazione Penale, III, 2011, p.1263.

[2] BRISSOT DE WARVILLE J.P., Théorie des lois criminelles, Paris, I, 1871, p.171.

Scritto da Avvocato Daniel Monni   
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