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Cascini: "Fuori dal carcere chi deve scontare tre anni, senza braccialetto. E non è un indulto mascherato"
Lunedì 06 Aprile 2020 07:12

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L'ex procuratore di Roma Giuseppe Cascini 

Secondo l'ex pm di Roma e oggi consigliere del Csm, l'obbligo del distanziamento vale per i detenuti come per tutti noi. Bonafede invece insiste sui controlli col braccialetto. Pronte le misure del governo che andranno nel Cura Italia 

di LIANA MILELLA

"In queste ore il problema non è la certezza della pena, ma l'emergenza Covid-19". E per questo Giuseppe Cascini, ex pubblico ministero a Roma, oggi consigliere al Csm per la sinistra di Area, parla con Repubblica e propone che escano dalle carceri al più presto tutti coloro che devono scontare ancora tre anni di pena. E che non entri neppure in cella chi è stato condannato a 4 anni ed è in attesa dell'esecuzione. 
 
Ben diversa la proposta del governo, siglata tra il Guardasigilli Alfonso Bonafede e i partiti della maggioranza (Pd, Italia viva, Leu) e che si trasformerà in un emendamento del governo al decreto Cura Italia lunedì prossimo al Senato: subito ai domiciliari chi deve scontare sei mesi come già stabilisce il decreto del 17 marzo; valutazione elastica per chi si trova al confine dei sei mesi (per esempio sette); chi ha di fronte ancora da sei a 12 mesi ottiene i domiciliari previo via libera del magistrato di sorveglianza che valuta l'eventuale rischio di reiterazione del reato e comunque la concessione della misura anche se non dovesse essere ancora disponibile il braccialetto. Oltre i 12 mesi il braccialetto è obbligatorio. 
 
Stanno scarcerando massicciamente detenuti in tutto il mondo, dalla Francia, alla Turchia, dalla Libia all'Indonesia. In Italia no, si scatenano polemiche anche per poche migliaia di persone, messe addirittura ai domiciliari. Che ne pensa?
"C'è una fortissima sottovalutazione dei pericoli di diffusione del contagio all'interno degli istituti penitenziari. Tutti noi stiamo affrontando una prova durissima per seguire le indicazioni degli esperti. Siamo chiusi in casa. Usciamo solo per ragioni di stretta necessità. E questo perché ci hanno detto che il distanziamento sociale è l'unico vero strumento per bloccare l'epidemia. Chiunque conosca la realtà carceraria italiana sa bene che è impossibile assicurare dentro le carceri quel distanziamento sociale, nonché le altre misure essenziali di profilassi. I detenuti dividono le camere fra più persone, condividono i servizi, consumano pasti insieme nelle celle, gli spazi comuni sono limitati. Insomma, in carcere l'assembramento, che tutti dobbiamo evitare, è inevitabile". 
 
Sì, certo, questa sua fotografia delle patrie galere è oggettiva. Ma chi governa forse, soprattutto dopo le recenti rivolte, ha più paura di una possibile evasione post scarcerazione, che del contagio. Non è forse così?
"In questa vicenda si riproduce uno schema ricorrente nella politica e nel dibattito pubblico nel rapporto con il carcere. Che è considerato un 'non luogo', un 'altrove', che noi non vogliamo vedere, che sta dietro un muro, il muro di cinta appunto, e che non guardiamo. E questo ci consente di fare discussioni tutte ideologiche, tra chi invoca clemenza, e chi reclama rigore. Mai come in questo caso è impossibile tenere il carcere separato dal resto della società, perché il virus è in grado di attraversare le sbarre e i cancelli, e di diffondersi fuori dal carcere". 
 
Sì, però ragioniamo sui numeri. Al momento c'è un solo detenuto morto a Bologna, di 79 anni, e ci sono 19 contagiati. Su 58mila detenuti. Se sono numeri veri, non le sembra che l'emergenza dentro le prigioni in realtà non ci sia?
"Prevenzione significa intervenire prima che una cosa accada. Per conoscere la reale situazione del carcere oggi bisognerebbe sapere quanti tamponi sono stati fatti ai detenuti". 
 
Voci autorevoli dalle carceri dicono che di tamponi ne sarebbero stati fatti pochissimi....
"Tutti ci dicono che il rischio vero non sono i malati, ma gli asintomatici, che rischiano di diffondere la malattia. Io mi auguro che non esploda il contagio in carcere, ma vorrei essere rassicurato sul fatto che chi ne ha la responsabilità stia adottando per i detenuti e per il personale le stesse misure di protezione che si adottano per il resto della popolazione". 
 
Di conseguenza, le scarcerazioni secondo lei sono necessarie?
"Certo, sono necessarie e anche urgenti. Siamo di fronte a un'emergenza e quindi servono rimedi straordinari. Ci sono circa 20mila detenuti che scontano una pena inferiore a tre anni per reati non gravi. Dovrebbero essere tutti collocati automaticamente in detenzione domiciliare almeno fino a quando dura l'emergenza". 
 
E per quelli che non hanno una casa?
"Lo Stato ha il dovere, in questa fase, di trovare delle strutture dove collocare temporaneamente i detenuti. Ci sono navi, ci sono alberghi, basta requisirli per qualche mese. Costa sicuramente meno di quanto costino i posti in terapia intensiva, e soprattutto dei costi economici e sociali che deriverebbero da un'esplosione dei contagi". 
 
Ma poi lei questi detenuti li terrebbe sotto controllo con il braccialetto elettronico e del tutto liberi?
"Vanno mesi ai domiciliari, quindi col divieto di uscire. Non credo ci sia bisogno di braccialetti in un momento in cui quasi tutti stanno a casa, e le città sono presidiate dalle forze di polizia. Semmai mi sentirei di proporre pene elevate per chi dovesse evadere dai domiciliari, perché non solo si sottrae alla pena, ma mette a rischio la salute pubblica". 
 
La soluzione del governo, di dare automaticamente i domiciliari a chi deve scontare un anno, e gli stessi domiciliari ma con braccialetto, a chi ha ancora 18 mesi da fare, la convince oppure è un compromesso?
"È una misura insufficiente, perché pochi detenuti hanno un domicilio dove stare, tant'è che se lo avessero non starebbero in carcere. E perché tutti sanno che non ci sono braccialetti a sufficienza per rendere effettiva la misura. In più, per decidere sulle istanze dei detenuti, ci vuole tempo e lavoro da parte del personale penitenziario e dei giudici di sorveglianza. Tempo e lavoro che noi oggi non abbiamo e comunque non ci possiamo permettere". 
 
L'uso dei braccialetti è sempre stato controverso e soprattutto riservato a poche decine di detenuti. In queste ore, Bonafede e i suoi stanno cercando di ottenere il maggior numero di braccialetti dal Viminale e dal commissario Arcuri. Ma non si rischia di far passare prima l'emergenza?
"I braccialetti costano e servono a poco. Non impediscono l'evasione, ma semplicemente ti avvisano che un detenuto è evaso. Non ha alcun senso spendere denaro per controllare detenuti che non scapperebbero mai e quei soldi andrebbero piuttosto investiti per individuare strutture in cui collocarli". 
 
Al Csm, come gruppo di Area, avete consigliato al governo di bloccare le scarcerazioni di chi è stato condannato a 4 anni. Non è un tetto troppo alto?
"Quattro anni è il limite di pena sotto il quale è possibile, in tempi normali, ottenere l'affidamento in prova o la detenzione domiciliare. Non credo che cambi molto se nei prossimi sei mesi si bloccano i nuovi ingressi in carcere per questi condannati con la sola eccezione dei reati più gravi". 
 
Tra i quali lei metterebbe anche la corruzione e i delitti dei colletti bianchi? 
"Oggi questi reati, per l'ordinamento penitenziario, sono già parificati a quelli di mafia e terrorismo. E quindi con la nostra proposta in quel caso non ci sarebbe la sospensione". 
 
Bonafede dice che le sue misure non sono "un indulto mascherato". Il suo collega Di Matteo dice invece che sono "un indulto mascherato". Chi ha ragione?
"I domiciliari sono una misura alternativa e non un atto di clemenza, che come tutti stiamo sperimentando, non è certo un beneficio. Nessun indulto né altro. Anzi valuto come insufficienti le misure di Bonafede. Ripeto, in questo momento il tema è l'emergenza Covid-19 e non invece la certezza della pena".

Scritto da LIANA MILELLA-La Repubblica   
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