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Gino Strada, la cattiveria dell'uomo retto (di Stefano Baldolini)
Domenica 29 Novembre 2020 11:17

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Gino Strada è l’uomo retto che unisce due punti sanguinosi del globo. Come da manuale la distanza più breve, la figura geometrica ieratica, il punto di sutura definitivo. Ti fissa con gli occhi infossati e severi, profondissimi, da falcone delle pianure dell’Asia Centrale, e non hai scampo: per qualche secondo comprendi Friedrich Wilhelm Nietzsche e l’abisso in cui il medico chirurgo e fondatore di Emergency si è calato per anni.

D’altra parte riemergere da ospedali da campo improvvisati nel deserto, mentre fioccano i missili - spesso dei tuoi amici occidentali - non è impresa comune. Ci vuole fegato, mentre la carne è aperta, ma soprattutto infinita tenuta, mentale e spirituale, quando gli occhi sono chiusi. Caricare su di sé tutto il male del mondo è impresa che neanche Atlante, che infatti il mondo sulle spalle lo portava tutto intero, belle cose comprese, e forse a dover cercare un precedente, un’icona del lavoro assurdo ma necessario, come salvare vite umane in situazioni e contesti dove tutto cospira verso il contrario, bisognerebbe ricorrere al Sisifo di Albert Camus. Alla sua pietra trasportata a fatica in cima e ogni volta pronta a rotolare verso valle.

Nel caso di Gino Strada, a valle, impreparati alla sistematica slavina, ci siamo tutti noi. Imperfetti, distratti, perdigiorno, concentrati in occupazioni di secondaria importanza. “In Italia - raccontava il fondatore di Emergency lungo un viaggio in treno da Milano a Roma con Vittorio Zincone - c’è chi cerca di fare qualcosa, chi non fa un cazzo, e poi i peggiori: quelli che non fanno un cazzo e vogliono dire agli altri cosa fare”. Ecco, stabilite voi in quale girone stare. Lui, lo ha scelto con precisione, ovviamente chirurgica.

Anche se a dispetto della determinazione che emana da tutti i pori, non bisogna credere a un percorso da enfant prodige. Tutt’altro. Nato a Sesto San Giovanni, la roccaforte rossa milanese - poi espugnata più volte negli anni a venire - il giovane Luigi detto Gino era un ragazzo come tanti altri. “Mio padre e mia madre erano operai ma da ragazzino non ho mai partecipato alla vita politico-culturale di Sesto”. Allora pensava “ad andare a bene a scuola, a giocare a pallone e a dare qualche occhiata alle ragazze”. Tra queste, c’era la 17enne Teresa Sarti, che condividerà il sogno di Emergency, che sposerà nel 1971 e che dovrà lasciar andare nel 2009. “Era straordinaria nella capacità di coinvolgere le persone”. L’impegno sarebbe nato alla Statale, facoltà di Medicina, che a dire il vero lo studente Strada non divora con particolare accanimento e da dove uscirà buon trentenne nel ‘78. C’è altro a cui dare i resti, il Sessantotto a Milano, il Movimento Studentesco. La politica che “ti fagocitava: ogni sabato un corteo da organizzare”. Solo dopo “mi sono messo a studiare sul serio”.

Fare sul serio, per uno come Strada non è solo un modo di dire. La carriera da medico è un dardo scagliato contro il sistema: ogni passo prepara il successivo. Otto anni all’ospedale di Rho per indirizzarsi verso la chirurgia traumatologica e la cura delle vittime di guerra. Specializzazione in chirurgia cardiopolmonare negli Stati Uniti, in Uk e al Groote Schuur Hospital di Città del Capo, in Sudafrica, quello del primo trapianto di cuore, di Christiaan Barnard, “elegantissimo, con la sua Mercedes, ma ormai operava poco per l’artrosi alle mani”. Poi arriva la chirurgia di guerra, cinque anni tra Pakistan, Etiopia, Perù, Afghanistan, Somalia e Bosnia con il Comitato internazionale della Croce Rossa. Quella di Ginevra, però, perché a sentir Strada “quella italiana non esiste”.

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Così arriviamo nel 1994, l’Italia è appena entrata nella Seconda Repubblica e nelle calde spire del Cavaliere. Emergency, fondata in maggio con una ventina di amici, ha bisogno di fondi per finanziarsi l’intervento nel genocidio in Ruanda, tanto per partire bassi. Una cena al Tempio d’Oro, zona viale Monza, raccoglie 12 milioni di lire. Non bastano. Ne servirebbero 250. Arriva un soccorso insperato, proprio dal cuore del Biscione. “Per fortuna venni invitato da Costanzo, e, puf, la tv è questa cosa qui: in un paio di mesi, arrivarono 850 milioni. Gente che mi suonava al campanello di casa...”. Puf, una puntata su Canale 5 con compagni di palco come Cesare Previti, allora Ministro della Difesa, il giornalista Mino Damato, il sociologo Francesco Alberoni... e il sogno di Emergency prende il via. E pazienza se la genesi è un pochino impura, almeno agli occhi della sinistra doc. “Pecunia non olet, quando arriva dal crimine. E quando chi dona, pretende di decidere chi devi operare e chi no”, gli unici paletti di Strada. Che è abituato a trattare con dittatori come Bashir, trent’anni di scorribande in Sudan. “Quelli che noi chiamiamo dittatori, in Africa sono presidenti. Se un regime è oppressivo, la gente sta male”.

E a forza di sporcarsi le mani, Emergency da aggettivo diventa sostantivo di una certa realtà. 25 anni e settantanove progetti in sette Paesi, ma non in Somalia e Cecenia, dove “tirano su un muro”, o tra gli opachi libici e palestinesi. 120 dipendenti, 9 milioni di persone curate, una nuova sede vicino Sant’Eustorgio, la chiesa più antica di Milano. Un ospedale in Uganda, disegnato gratis da Renzo Piano. L’ultimo degli “amici di una vita”. E che amici: De Andrè, Eco, Chomsky. Un tris di assi, da affiancare ad altri tre grandi, ma preti: don Gallo, padre Alex Zanotelli, don Ciotti. Lui, ateo, a cui piacerebbe incontrare papa Francesco per parlare dell’abolizione della guerra.

Già, la guerra. Qui non si ammettono deroghe. “Basta non farla”, ripete negli anni Strada, senza se e senza ma. Non esistono eccezioni. Neanche nel settembre 2001, contro l’Afghanistan, per vendicare le Torri gemelle ancora fumanti. “Quando vedevo sulla Cnn le facce di chi scappava dall’orrore di Manhattan, pensavo che erano le stesse che avevo visto a Sarajevo… Per me già il concetto di guerra è una bestemmia contro l’umanità, e peggio ancora se si parla di guerra giusta, di guerra condotta con precisione chirurgica”. La guerra per Strada è follia, punto. Come nel febbraio 2003, quando in piazza contro l’attacco a Saddam, non esitava a parlare di “scelta politica compiuta da una banda di petrolieri che vuole mettere le mani sul greggio iracheno”.

Posizioni che lo misero in prima linea del fronte pacifista, lui che pacifista nemmeno si dichiara. E che lo misero nella scomoda posizione di difendere equazioni pericolose come Bush uguale Bin Laden o di negare giustizia alle vittime dell’11 settembre, come sostenuto, uno per tutti da Giuliano Ferrara. A cui Strada, neanche troppo dissimulando la sua natura combattente, risponde: “Questo non è un ragionamento, ma un prodotto della cistifellea”. (Il direttore del Foglio se l’è segnata e ha minacciato di farsi saltare in aria in caso di ascesa del nostro al Quirinale).

D’altro canto che il nostro non abbia alcun rispetto per la politica lo conferma in altre occasioni. Come nella oggettiva caduta di stile con cui definisce Brunetta “esteticamente incompatibile” con Venezia, che sceglieva il sindaco nel 2013. O come quando definisce “una banda di coglioni” i 5 stelle appiattiti sulle posizioni di Salvini sui migranti. Proprio quei 5 stelle che lo avevano votato secondo alle Quirinarie, sempre nel 2013, e che 5 anni dopo gli avevano proposto un ministero. Invito declinato nel merito: “Gli ho fatto notare che Emergency è una delle associazioni che loro definiscono ‘taxi del mare’”. E a proposito di bellicosità verbale, va senz’altro registrato il “Minniti sbirro”, che l’allora titolare del Viminale si beccò per le responsabilità nella gestione dei centri di detenzione in Libia. Per non parlare delle “infamie” di Romano Prodi, reo di aver abbandonato un collaboratore di Emergency di Kabul nelle mani degli uomini di Karzai.

Insomma sono sberle per tutti. Oltre ai citati, ci sono D’Alema, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, per cui far valere la massima di Giulio Andreotti: “La cattiveria dei buoni è pericolosissima. Gli altri la distribuiscono in dosi giornaliere, mentre chi la concentra ne fa strumenti esplosivi”. Anche se con l’età un po’ il chirurgo si intenerisce e, dopo trent’anni di diserzione alle urne, nutre un po’ di fiducia nella lista Tsipras, che schiera Andrea Camilleri, Barbara Spinelli e Marco Revelli. O nella rivoluzione arancione di Antonio Ingroia, “una persona onesta e degna della massima fiducia”. Qualche volta ci prende pure, come quando alle regionali di Milano del 2013, chiede a gran voce la cacciata della “banda che ha devastato scuola e sanità”. “Siamo all’affarismo puro, qui ci sarà lavoro per gli avvocati per i prossimi venti anni”, profetizza, e nonostante lo sguardo lungo non poteva arrivare a pensare che il lavoro sporco lo avrebbe fatto una pandemia.

Nonostante tutto ciò, non deve però sorprendere più di tanto il sì al premier Giuseppe Conte, l’impegno in Calabria, dove il chirurgo dopo qualche tentennamento ha accettato di collaborare sul campo con la Protezione civile. Non sarà come gestire ospedali in Africa, come gli ha rammentato il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, ma è in linea con quanto già fatto da Emergency a Palermo o a Marghera. “Da anni – sosteneva Strada nel 2011 lanciando la campagna italiana – mi sono reso conto che i bisogni non sono solo oltre frontiera, in altri paesi”, ma “sempre più qui, in patria”. Tredici progetti. “Un’Italia sconosciuta. Castel Volturno, Polistena, quanti bei posticini. Povertà, degrado, schiavismo, situazioni che non ho mia visto neanche in Sudan”.

Volendo cedere ai sentimenti, infilarsi nel carnage calabrese è qualcosa di molto simile a un gesto d’amore, e quindi, come diceva il filosofo, al di là del bene e del male. Impresa disperante, ma alla portata di uno che per il bene superiore della missione non guarda in faccia nessuno, come ha imparato sulla sua pelle la figlia Cecilia cancellata dalla foto di famiglia di Emergency alla stregua di una Lev Trozky umanitaria. Una cosa sola è certa, se va male nella complicata terra degli Spirlì e dei Morra, il chirurgo non potrà rifugiarsi nell’asteroide 248908 che porta il suo nome. Otto milioni di anni luce sono troppi anche per l’uomo retto.

Scritto da HUFFPOST   
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