Era stata denominata “Alfa 356” la missione cominciata alle 9.48 del 6 dicembre 1990. Al Sottotenente pilota Bruno Viviani era stata affidata un’esercitazione “in bianco”: senza utilizzo di strumenti di offesa, quindi, l’aereo avrebbe dovuto sorvolare per tre volte una postazione, simulando un attacco e rimanendo a propria volta intercettato.
A bordo dell’Aermacchi MB 326, diretto verso Trecenta (RO), nell’esercitazione, il Pilota comunicava al radar di Monte Venda (PD) una “piantata motore” e cioè un calo di spinta dell’aereo tale da ridurre la potenza del motore al 60%. Qui, la prima scelta: Bruno Viviani accende un dispositivo che si chiama ‘relight’, riacquistando una potenza del ’75per cento. La situazione è critica. Lo conferma il fatto che il Pilota prende in considerazione un atterraggio nel vicino aeroporto militare di Poggio Renatico (FE). Premendo più volte il relight, tuttavia, l’aereo manteneva quota ed esattamente a metà strada tra Bologna e Verona (il suo aeroporto di partenza, un aeroporto, quest’ultimo che il pilota conosceva bene), una nuova scelta: l’Aermacchi viene diretto sull’aeroporto ci
vile di Bologna senza che fossero noti né il territorio, né la disposizione delle piste.
L’atterraggio a Bologna fallisce, il velivolo riprende quota, poi, ormai in preda alle fiamme, quindi definitivamente ingovernabile, il pilota si lancia col paracadute. L’aereo, lasciato a sé, centra la succursale di una scuola, l’ITCS G. Salvemini, di via del Fanciullo a Casalecchio di Reno. Erano le ore 10.33. Muoiono 11 studentesse e uno studente dei 16 quindicenni presenti nella 2a, feriti un’ottantina di persone e la vita che cambia radicalmente.
Nell’immaginario comune, forse, il Salvemini rimane il triste e doloroso ricordo di una esercitazione militare in tempo di pace finita male; per chi sa e ancora oggi ricorda, invece, una delle peggiori pagine di storia civile che l’Italia abbia mai conosciuto. Ci si riferisce esplicitamente all’avvocatura di stato chiamata a difendere l’aeronautica e alla scuola lasciata a sè, senza che fosse possibile né difendere, né rappresentare in giudizio un organismo sacro per il valore e il ruolo assegnato alla scuola pubblica; si mettono in evidenza il giudizio di condanna maturato a seguito del processo di primo grado, per il pilota e i superiori Brega e Corsini che avevano seguito il volo e la sua avaria dalla torre di controllo di Verona Villafranca (dopo due anni di perizie scrupolosissime - 3 i medici legali e i periti tecnici nominati da Massimiliano Serpi, PM di Bologna, per chiarire le cause della strage), per aver sottovalutato la situazione e mal gestito l’emergenza; il giudizio di secondo grado li assolve, senza che fosse richiesta, né valutata una sola prova aggiuntiva rispetto a quelle già agli atti. Nessuno dimentica che l’MB 326 aveva già avuto una piantata motore il 22 febbraio 1990 e una successiva l’8 novembre 1990, prima di quella più nota, la terza, del 6 dicembre 1990.
LE FOTO DEL RICORDO
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“Il fatto non costituisce reato”, fu detto. Una formula di rito, forse, per chi ha pratica con la legge; l’incapacità di un paese di riconoscere responsabilità alcuna per la morte di 12 quindicenni seduti tra i banchi di scuola, hanno pensato e sentito tutti gli altri.
A trent’anni di distanza da quei fatti, vale ancora la pena mettere in evidenza, sopra ogni altra cosa, quello che è diventato il Salvemini: simbolo di quella preziosa capacità di reagire a fatti enormi, di cui inizialmente non si conoscono neppure i confini del dolore che producono. Dalla Strage del 6 dicembre è stata ricostruita la scuola, oggi Casa della Solidarietà e sede dell’associazionismo di Casalecchio di Reno; ha preso avvio il centro per le vittime di reato, che fa capo tuttora all’associazione vittime del Salvemini; sono stati dedicati molti luoghi alla memoria delle ragazze e dei ragazzi del Salvemini tra cui le 12 edicole al parco di Montovolo, la nuova biblioteca di Zola Predosa, una palestra nel Comune di Bologna, una nuova piazza a Casalecchio dedicata alla memoria delle Ragazze e dei Ragazzi del Salvemini, 12 nuovi alberi piantati in un piccolo, ma significativo parco al confine tra Casalecchio e Bologna.
Per molti, quando si pensa al Salvemini, ci si riferisce al tragico epilogo di una esercitazione militare in tempo di pace, finita male. Per chi sa, il Salvemini è divenuto simbolo di persone comuni capaci di trasformare un fatto enorme in una questione pubblica; rimane espressione di una grande forza di chi sa di stare dalla parte giusta.