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Quando Italo Svevo progettava gite in bici su un “Vademecum per ciclisti”
Lunedì 10 Maggio 2021 06:28

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Alcune foto del museo di Nicola Bucci

GENTILISSIME/I,

Ho conosciuto Nicola Bucci, ha un museo di bici d'epoca utilizzate per il lavoro, attrezzature per la costruzione di bici a Foggia nel primo novencento. La fabbrica si trovava al Rione Martucci.  Ultimo ritrovamento di quello che resta della vecchia fabbrica di biciclette dei fratelli Martucci a Foggia un vecchio trapano a colonna utilizzato per la foratura dei cerchi. Ragazzini andavamo ad acquistare il mastice e ricambi per le biciclette dei nostri genitori. La motorizzazione si limitava a vecchie Balilla e alla famosa Topolino, poi c'erano le Vespe e la Lambretta.

Bicicletta del acconciapiatti, nei tempi passati capitava spesso che pentole, piatti da cucina ,brocche si rompevano e non tutti si potevano permettere il lusso di comprarne dei nuovi, quindi si aspettava l'arrivo di questo signore con il suo trapano a corda, il quale faceva davvero miracoli perché prima non si buttava nulla, nelle foto vi è un trapano con ancora i suoi piatti cuciti a mano. Il Touring Club italiano, nasce con la bicicletta, nel suo stemma c'e la ruota con i raggi. La bicicletta ha avuto un importantissimo ruolo nella prima e seconda guerra mondiale. Le staffetta dei Partigiani, portavano i messaggi nascosti nei telai. Un ruolo importante lo svolse Gino Bartali.

La nascita del Museo della bicicletta, con gli abiti dell'epoca, è una proposta che va sostenuta dalle istituzioni, la memoria, la storia di un mezzo di locomozione a basso prezzo, ha permesso ad una grande nazione come la Cina di superare tempi difficilissimi, milioni sono oggi le persone che si spostano con la bici per lavoro. Nei paesi del Nord Europa è un simbolo, i Re vanno in bicicletta. Il Museo può sollecitare la fantasia dei bambini, imparare ad andare in bicicletta è la prima prova che un bambino deve affrontare.

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Ritrovato da Simone Volpato nella biblioteca del podestà di Trieste Cesare Pagnini un gruppo di quaranta volumi appartenuti all’autore della “Coscienza di Zeno”

Facile immaginare Italo Svevo pigro e sovrappeso. Avvolto in una nuvola di fumo mentre trascorre le sue giornate tra ufficio e casa. Lontano mille miglia da tentazioni salutiste, meno che meno solleticato da soprassalti di sportività. E, invece, è arrivato il momento di riscrivere questo stereotipo legato allo scrittore della “Coscienza di Zeno”. E non solo, si badi bene, per quelle due foto in cui lo si scorge scarmigliato giocatore di bocce, con il cappello alzato sulla fronte sudata, o sorridente frequentatore di bagni di mare.

Assieme ad altri quaranta volumi di proprietà di Ettore Schmitz (tutto sommato prevedibili: le “Poesie” di Umberto Saba nell’edizione del 1911, l’Almanacco triestino della Lega Nazionale, il Regno dei libri del Circolo Artistico Triestino, molti giornali sul teatro) spunta un libretto a dir poco sorprendente. Si intitola “Vademecum dei ciclisti triestini”. Ed è «offerto dal maestro Giuseppe Egger». Stampato dallo Stabilimento tipo-litografico “E. Sambo” di Trieste e Pola, porta la data del 1898. Ma quel che più interessa è che, all’interno, si trova in bella evidenza la firma di Ettore Schmitz e una data: 1909.

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LA BICI DI ITALO SVEVO

Italo Svevo si era imbattuto in una pratica sportiva molto alla moda all’inizio del ’900. Quella del pedalare all’aria aperta in sella a strane macchine di rara bellezza: le biciclette. Il guru delle due ruote era proprio Giuseppe Egger che si vantava, senza timore d’essere smentito, di essere stato «il primo ad introdurre l’uso della bicicletta tanto a Trieste come in tutto il litorale e nella provincia di Udine». Il Maestro, come si faceva chiamare, vantava una Scuola modello, in piazza Caserma numero 3 nella sede dell’Hotel Europa, dove insegnava a cavalcare le “macchine”. Impartiva lezioni «nel salone appositamente costruito a norma delle più recenti innovazioni».Ad affascinare Svevo non erano solo le gite in bicicletta che il Maestro Egger descriveva nel libretto. Lo scrittore si era soffermato anche sui modelli di velocipede proposti. Segnando a penna la pagina che presentava la splendida Swift. Un modello uscito dalla fabbrica d’armi di Steyr e battezzata con lo stesso nome di Jonathan Swift, lo scrittore irlandese dei “Viaggi di Gulliver”. Ma l’occhio di Svevo si era fermato anche sulla Diana 24. Gioiello che «si distingue per la costruzione elegante, per leggerezza e scorrevolezza». Ma soprattutto, e qui lo scrittore metteva un tratto di penna a sottolineare la frase, era «adattata per ogni persona, anche la più greve».

Tra i percorsi sui quali lo scrittore sognava di pedalare c’era la Trieste-Servola, di 7 chilometri e mezzo, e poi anche la Trieste-Lipizza-Sesana di 36 e mezzo. Si spingeva a fantasticare di gite, e le sottolineava, verso Gorizia, Palmanova, Fiume. Superando i cento chilometri. Però, sia chiaro, con le sigarette alla mano...

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Alla cortese attenzione del Ministro Dario Franceschini,
 
è possibile produrre tutta la documentazione fotografica, l'idea è un Museo della bicletta come attrezzo di lavoro negli anni a cavallo delle prima e seconda guerra mondiale. La memoria, l'ingegno, la necessità per crearsi un lavoro dignitoso, attraverso l'utilizzo della trazione della bicicletta. Appoggiata su appositi cavalletti si usava per molare gli attrezzi usati nell'agricoltura del tempo. Il Sud ne ha molto beneficiato, vista l'economia prevalentemente agricola.
 
Grazie sig. Ministro, la sponsorizzazione del Ministero da lei condotto quasi con mano, con grande impegno, passione, e professionalità. Con stima.MUSEO DELLA BICICLETTA
Scritto da Alessandro Mezzena Lona-Arpaia Mario   
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