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Condannati all’ergastolo per reati ostativi
Martedì 12 Aprile 2022 09:25

Reati ostativi e accesso ai benefici penitenziari: il DDL approvato dalla Camera

Approvato il testo unificato delle proposte di legge sul divieto di concessione dei benefici a detenuti che non collaborano con la giustizia
 

carcereIl provvedimento in esame nasce come soluzione unificata di 4 proposte di legge (1951, 3106, 3184 e 3315 - testo in calce), in risposta all’invito della Consulta, che ha sollecitato in più occasioni un intervento di adeguamento costituzionale del regime penitenziario ostativo e ha concesso un anno al Parlamento per riscrivere la disciplina dell'ergastolo ostativo, come noto, giudicata in contrasto con le norme convenzionali1.

L’obiettivo dichiarato è quello di contemperare le esigenze di sicurezza collettiva con il principio di rieducazione della pena in tema di accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale da parte di detenuti condannati per reati di criminalità organizzata o altri gravi delitti, che allo stato ne sono esclusi ove non collaborino con la giustizia.

Raccogliendo il monito del Giudice delle leggi, che ha sottolineato l’incompatibilità costituzionale delle norme che individuano nella collaborazione con la giustizia l’unica condizione di accesso alle misure premiali e alternative previste dall’ordinamento penitenziario, il progetto di legge disciplina condizioni di accesso diverse dalla collaborazione modifica la disciplina della liberazione condizionale prevedendo che i condannati all’ergastolo per reati ostativi possano accedervi, attraverso il procedimento delineato per l’accesso ai benefici penitenziari e in presenza dei requisiti specifici per quello richiesti, dopo aver scontato 30 anni di pena.

Il testo unificato è stato approvato dalla Camera nella seduta del 31 marzo 2022 con un emendamento per i detenuti in regime di 41 bis o.p. che, per essi, subordina la possibilità di accedere ai benefici alla previa revoca di tale regime.

Lo stesso consta di 4 articoli. Tralasciando gli ultimi due, che prevedono la possibilità per la Guardia di Finanza di procedere ad indagini fiscali nei confronti dei detenuti ai quali sia stato applicato il regime carcerario del c.d. carcere duro di cui all’art. 41 bis O.P (art. 3 che modifica l’art. 25 l.646/1982) e, rispettivamente, l’entrata in vigore della legge il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale (art. 4) mette conto di analizzare in estrema sintesi i due articoli che introducono le modifiche più significative.

Reati ostativi e nuove condizioni di accesso ai benefici (art. 1)

L’art. 1 modifica l’art. 4bis dell’ordinamento penitenziario.

Tale norma, come noto, al comma 1 esclude che possano accedere al lavoro all'esterno, ai permessi premio, alle misure alternative alla detenzione coloro che siano condannati per i delitti ivi elencati2 (c.d. ostativi)3. Questa preclusione è superabile soltanto laddove i soggetti in questione collaborino con la giustizia, adoperandosi per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiutando concretamente l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori di reato.

Il comma 1-bis, dell’art. 4-bis, per gli stessi reati ostativi, prevede il superamento del divieto di ammissione ai benefici - purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva - altresì nei casi di collaborazione impossibile, per accertamento integrale dei fatti, o di collaborazione irrilevante, a causa della limitata partecipazione del condannato al fatto criminoso.

Come anticipato, con sentenza n. 253 del 2019, la Corte Costituzionale aveva stigmatizzato il carattere assoluto della presunzione dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e della mancata rescissione dei collegamenti stessi, prevista dall’art. 4-bis o.p., e la sua incompatibilità con gli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. La presunzione assoluta di pericolosità, così come congegnata, non risponde infatti ad un criterio di ragionevolezza, perché ad essere presunta non è una generica pericolosità, ma quella di un perdurante legame con l’organizzazione criminale, laddove non è dato riscontrare una correlazione biunivoca tra condotta collaborativa del detenuto e rescissione del legame intercorrente fra lo stesso e l’organizzazione criminale così come tra mancata collaborazione e permanenza dei legami associativi.

La novella, volendo porsi lungo la china dei precedenti costituzionali, ma di fatto introducendo un vuoto normativo che era stato dichiarato illegittimo dalla stessa Corte Costituzionale4, modifica l’art. 4 bis sostituendo le ipotesi della collaborazione impossibile o inesigibile con una più generale disciplina dell'accesso ai benefici penitenziari extramurari per i detenuti ed internati non collaboranti, volta a superare il carattere assoluto della presunzione di appartenenza alla criminalità organizzata, dell'autore di determinati delitti, o il suo collegamento con la stessa.

In particolare, in forza delle nuove previsioni, il divieto di ammissione ai benefici in assenza di collaborazione può essere superato alle seguenti concomitanti condizioni:

  • dimostrazione da parte degli istanti di aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento;
  • allegazione da parte degli istanti di elementi specifici che consentano di escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso nonchè il pericolo di ripristino di tali collegamenti.

A quest’ultimo riguardo, per una corretta interpretazione del contenuto delle allegazioni, può essere utile ricordare come il giudice di legittimità (Cass. pen. sez. I sent., 14/07/2021, n. 33743) in materia di permessi premio, abbia ritenuto idonea l'allegazione di elementi fattuali, quali, ad esempio, l'assenza di procedimenti posteriori alla carcerazione, il mancato sequestro di missive ecc. che siano dotati di un'efficacia indicativa anche solo in chiave logica.

La riforma specifica inoltre che gli elementi che l'istante dovrà allegare per ottenere l'accesso ai benefici dovranno essere diversi e ulteriori rispetto:

  • alla regolare condotta carceraria;
  • alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo;
  • alla mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione criminale di eventuale appartenenza.

Tale specificazione muove verosimilmente dalla constatazione esperienziale, secondo cui il contesto in cui maturano le personalità di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata impone una verifica esterna all'ambito carcerario; così come pure la labiale dissociazione dal proprio passato criminale non è ritenuta sufficiente quando si proviene da un contesto in cui il disvalore criminale è elevato a condizione di esistenza (vds. Giovanni De Leo, Brevi riflessioni sulle modifiche all’articolo 4 bis della legge 26 luglio 1975, in Giustizia insieme)

La riforma non contiene una disciplina intertemporale volta a modularne gli effetti nel tempo, tuttavia non pare possa applicarsi retroattivamente a coloro che abbiano avuto accesso ai benefici grazie alla collaborazione impossibile o irrilevante: ciò, in forza del divieto di regressione trattamentale enunciato dalla giurisprudenza costituzionale; inoltre la scomparsa delle suddette categorie impone qualche riflessione sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza non potendo i non collaboranti essere trattati tutti allo stesso modo (sul punto si veda il contributo di Davide Galliani, A proposito del testo unificato dei progetti di legge di riforma del regime ostativo ex art. 4 bis ord. pen., in Sistema penale).

Modifiche procedimentali

Il progetto unificato modifica l’art. 4 bis o.p. anche per quanto attiene agli aspetti procedimentali introducendo specifici oneri istruttori in capo al giudice di sorveglianza.

In particolare, per la concessione dei benefici penitenziari per i detenuti non collaboranti condannati per reati c.d. ostativi la novella prevede che il giudice di sorveglianza:

  • tenga conto delle circostanze personali e ambientali (quest'ultime in linea con quanto prima evidenziato), delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile;
  • accerti la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa.
  • chieda il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i gravi delitti indicati dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo;
  • acquisisca informazioni dalla direzione dell'istituto dove l'istante è detenuto;
  • disponganei confronti del medesimo, del suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali

I suddetti pareri e informazioni devono essere resi entro 30 giorni dalla richiesta, prorogabili di ulteriori 30 giorni in ragione della complessità degli accertamenti: in difetto, il giudice può decidere prescindendo da essi, dando conto specificamente nel provvedimento delle ragioni dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza.

La riforma prevede, inoltre, che ove dall'istruttoria svolta emergano indizi dell'attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica e eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, il condannato fornisca, entro un congruo termine, idonei elementi di prova contraria. La disposizione desta perplessità perchè fa ricadere sul condannato l'onere probatorio in termini di prova negativa, per vero difficile da addurre, a dimostrazione dell’inesistenza di collegamenti e della connessa pericolosità sociale ad essa associata presuntivamente.

Liberazione condizionale per detenuti non collaboranti (art. 2)

L’art. 2 interviene sull’art. 2 del d.l. 152/1991 per operare un coordinamento con le modifiche introdotte dall’art. 1: viene infatti previsto che i presupposti e la procedura per l’applicazione della liberazione condizionale siano quelli dettati dall’art. 4 bis come modificato dall’art. 1 della legge.

Viene poi modificata la disciplina in materia di liberazione condizionale5 per i condannati all’ergastolo per reati ostativi non collaboranti.

L’ergastolo ostativo, come noto, è quel peculiare regime previsto nell’ipotesi in cui l’individuo sia condannato all’ergastolo per uno dei gravi delitti di cui all’art. 4-bis o.p. e non collabori con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter o.p.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che l’attuale disciplina dell’ergastolo ostativo violi il principio della dignità umana – desumibile dall’art. 3 Cedu – nella parte in cui restringe alla sola ipotesi di collaborazione con la giustizia la possibilità per il ricorrente di accedere alla liberazione condizionale (C. eur. dir. uomo, Sez. I, sent. 13 giugno 2019, Marcello Viola c. Italia)

A sua volta la Corte Costituzionale, chiamata a decidere, nel marzo 2021, sulla legittimità della disciplina ostativa con riferimento alla liberazione condizionale, per evitare una pronuncia che avrebbe potuto mettere a rischio l’equilibrio complessivo della disciplina ostativa, ha rinviato la questione all’udienza del prossimo 10 maggio 2022 ammonendo il Parlamento a provvedere.

Orbene con il testo unificato i condannati all'ergastolo per reati ostativi non collaboranti potranno presentare la richiesta di liberazione condizionale, in presenza delle condizioni per l'accesso ai benefici penitenziari in assenza di collaborazione, di cui si è dato conto, e nell'ambito della procedura come modificata, dopo l’espiazione di 30 anni di pena (invece i condannati per reati non ostativi e i collaboranti potranno farlo dopo l’espiazione di 26 anni): in tal caso la pena dell’ergastolo sarà estinta decorsi 10 anni dalla data del provvedimento di concessione della liberazione condizionale; del pari, le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice saranno revocate decorsi 10 anni dalla data del provvedimento di concessione della liberazione condizionale (invece sono 5 anni per i condannati per reati non ostativi e per i collaboranti); la libertà vigilata, che è sempre disposta nel caso di liberazione condizionale, sarà accompagnata dal divieto di contatti con i soggetti condannati per reati di criminalità organizzata di cui agli artt. 51 c. 3 bis e c. 3 quater, con i soggetti sottoposti a misure di prevenzione di cui alle lett a) b) d) e) f) g) art. 4 d.lg. 149/2011 e con i soggetti condannati per i reati di cui alle predette lettere.

In sede di approvazione alla Camera è stato introdotto un emendamento che esclude la possibilità per i detenuti al 41bis di fare istanza di liberazione condizionale prima che venga revocato lo stesso regime di carcere duro.

La nuova disciplina della liberazione condizionale per i condannati all’ergastolo non collaboranti pone dubbi di legittimità costituzionale e compatibilità convenzionale quanto alla condizione dell'espiazione di 30 di pena per la presentazione della richiesta di liberazione condizionale: ciò in quanto la Corte europea dei diritti umani indica in 25 anni il tempo da prendere in considerazione per l'early release facendo riferimento al tempo previsto dallo Statuto della Corte penale internazionale (sul punto si veda il contributo di Davide Galliani, A proposito del testo unificato dei progetti di legge di riforma del regime ostativo ex art. 4 bis ord. pen., in Sistema penale); inoltre la previsione di 30 anni in luogo di 26, in presenza delle condizioni diverse dalla collaborazione, come disciplinate dal testo unificato, finisce per dar luogo ad una disparità di trattamento sia in termini soggettivi (rispetto ai detenuti collaboranti) sia in termini oggettivi (rispetto alle condizioni di accesso agli altri benefici penitenziari alle quali pure rinvia).

CAMERA, DDL APPROVATO IL 31 MARZO 2022>> SCARICA IL PDF

1 In particolare il riferimento è alla sentenza n. 149 del 2018, alla sentenza n. 253 del 2019 e all’ordinanza n. 97 del 2021.

2 Si tratta dei seguenti delitti: Delitti commessi con violenza per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico; associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.), delitti commessi col metodo mafioso o per agevolare l’attività di tali associazioni e il c.d. voto di scambio politico-mafioso (art. 416-ter c.p.); associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309 del 1990) o al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater, D.P.R. 43 del 1973); Gravi delitti contro la pubblica amministrazione; Riduzione o mantenimento in schiavitù (art. 600) e compravendita di schiavi (art. 602 c.p.); tratta di esseri umani (art. 601 c.p.); favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (D. Lgs. 286 del 1998) prostituzione epornografia minorile (artt. 600-bis ter c.p.); violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.); sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.).

3 Per effetto dell'art. 2 del decreto-legge n. 152 del 1991 tale regime si estende anche alla liberazione condizionale. L’art. 2 del D.L. n. 152 del 1991 convertito dalla L. n. 203 del 1991, infatti, per l'ammissione alla liberazione condizionale dei condannati per uno dei delitti di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, impone gli stessi requisiti previsti dal menzionato art. 4-bis per l'accesso ai benefici penitenziari).

4 Il riferimento è alle sentenze 357/1994 e 68/1995 con cui la Corte Cost aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 4 bis o.p. nella parte in cui non disciplinava le ipotesi di mancanza di collaborazione da attribuire a ragioni non dipendenti dalla volontà del condannato. Tale vuoto era stato colmato dalla legge 279/2002 che aveva inserito l’attuale comma 1 bis dell’art. 4bis recependo le indicazioni delle due sentenze della Corte.

5 La liberazione condizionale viene concessa al detenuto che abbia mostrato un sicuro ravvedimento e che abbia soddisfatto, salvo impossibilità, le obbligazioni civili derivanti dal reato. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale una volta trascorsi ventisei anni di pena. Con la liberazione condizionale l’esecuzione della pena viene sospesa ed il condannato è sottoposto a libertà vigilata per la durata residua della pena inflittagli o, nel caso dell’ergastolano, per cinque anni. Il beneficio è revocato in caso di commissione di un reato della stessa indole di quello per cui il soggetto è stato condannato oppure in caso di violazione delle prescrizioni relative al regime di libertà vigilata.

Scritto da Di Anna Larussa   
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