OLTRE 200 PERSONE INDAGATE,
IMPUTATA O CONDANNATE PER
LE TORTURE IN CARCERE
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Nel 2014 come Antigone lanciammo la campagna "Chiamiamola tortura": la tortura in Italia esiste e si pratica, dicevamo, quello che manca è una legge che consenta di perseguire questo crimine contro l'umanità. Non era la prima volta che la nostra associazione sollecitava l'approvazione di tale legge. Nel 2017, finalmente, fu introdotto nel codice penale l'art. 613-bis.
Oggi, in Italia, sono oltre 200 le persone, fra agenti penitenziari, medici, funzionari e dirigenti indagate, imputate o condannate per le violenze e le torture avvenute o che sarebbero avvenute nelle carceri italiane. Da Santa Maria Capua Vetere a Ivrea, da Bari a Torino, da San Gimignano a Monza, è disegnata una mappa dell'Italia che racconta di un carcere dove gli abusi verso i detenuti sono una norma che infanga per primi quei tantissimi operatori che, quotidianamente, svolgono il loro lavoro nel rispetto della Costituzione e della dignità delle persone recluse e dell'inviolabilità dei loro corpi.
Mentre indagini e processi vanno avanti, nel frattempo un drammatico record è stato registrato nel sistema penitenziario italiano. Sono infatti 79 i suicidi avvenuti a oggi. Mai erano stati così tanti, neanche quando in carcere i detenuti erano molti più di oggi.
Di questo e altro parliamo in questa newsletter.
Patrizio Gonnella, presidente di Antigone
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A Bari, Ivrea e Reggio Calabria le ultime inchieste per le torture contro i detenuti: 66 gli avvisi di garanzia notificati. |
Nel mese di novembre tre indagini per tortura hanno portato alla notifica di 66 avvisi di garanzia contro agenti penitenziari, medici, funzionari. 15 sono le persone indagate per le presunte torture ai danni di un detenuto avvenute nel carcere di Bari. Di queste, 9 agenti penitenziari sono accusati di "concorso in tortura" e tre di loro sono stati posti agli arresti domiciliari.
Tortura e lesioni personali aggravate ai danni di un detenuto sono le accuse contestate a 6 agenti del carcere di Reggio Calabria. Tra loro figura anche il comdante.
45 invece coloro che sono indagati in un nuovo filone di inchiesta relativo a quanto avvenuto nel carcere di Ivrea per torture che sarebero avvenute tra il 2018 e il 2022. L'ultimo, di questi episodi sarebbe avvenuto ad agosto ed era stato denunciato anche dalla nostra associazione. Ivrea ha però un particolare non irrilevante rispetto alle altre carceri: qui di possibili episodi di tortura ce ne sarebbero stati altri. Tra il 2015 e il 2016 sarebbero avvenuti infatti almeno tre violentissimi pestaggi a danni di persone detenute, descritti in esposti dell’allora garante comunale delle persone private della libertà e dell’associazione Antigone. In quei primi tre procedimenti sono 25 le persone indagate tra agenti e medici compiacenti che attestavano che ecchimosi e ferite delle persone detenute fossero causati da cadute e “scivolamenti” e non da violenti pestaggi. Quell’inchiesta fece ovviamente clamore, ma, incredibilmente, non trasformò per nulla quel carcere.
Ad Ivrea - come scrive Michele Miravalle su Il Riformista - il luogo dove i detenuti vengono portati per essere menati - stando alle indagini - si chiama l’“acquario”. Non immaginatevi una segreta buia in qualche sotterraneo: quella stanza è lì, sotto gli occhi di tutti, accanto all’infermeria, con le pareti trasparenti, proprio come gli acquari, in attesa del prossimo “ospite”.
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"In carcere ho conoscito l'umanità". Un articolo della Senatrice a vita Liliana Segre |
"Cara Senatrice Liliana Segre, di recente l’associazione Antigone, impegnata per i diritti e le garanzie nel sistema penale, ha fatto sapere che nei primi dieci mesi del 2022 ci sono stati 74 suicidi in carcere. Lei che cosa pensa del sistema detentivo in Italia?"
Questa è la domanda che un lettore di Oggi ha posto a Liliana Segre che, su questo settimanale, ha una sua rubrica.
Nel rispondere la Senatrice a vita usa altri nostri dati e cita alcune delle nostre proposte. Raccontando anche della sua esperienza di bambina, quando a 13 anni si trovò nel carcere di San Vittore a Milano, prima di essere deportata nel lager nazista. E dell'umanità che, in quel momento così drammatico, aveva trovato proprio dentro le mura del carcere.
Il nostro ringraziamento va alla Senatrice Segre per aver acceso, anche dalle pagine di questo settimanale, un faro sul carcere e sulla dramma dei suicidi.
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Dal 434 bis al 633 bis, da Salvini a Meloni, l’abuso del diritto penale sul reato di rave |
A circa un mese dall'approvazione del decreto che conteneva anche la cosiddetta norma anti-rave, dopo le tante critiche (compresa la nostra), il Parlamento in sede di conversione è intervenuto per rivederla, in linea anche con alcuni dei rilievi avanzati dal nostro Presidente Patrizio Gonnella durante un'audizione al Senato.
Nonostante queste modifiche, però, volte per lo più a circoscrivere il campo di applicazione effettivamente ai soli rave (prima il rischio era che il testo si estendesse a tutte le riunioni con più di 50 persone), restano almeno due criticità. Non si ravvede infatti alcuna necessità e urgenza a giustificare lo strumento del decreto, inoltre le pene (da 3 a 6 anni) sono ancora totalmente sproporzionate rispetto alla condotta.
In Europa solo Francia e Inghilterra hanno norme specifiche su questo tema. La prima con detenzione fino a 6 mesi, mentre l'Inghilterra con pene fino a 3 mesi (ma solo se non si lascia il terreno nel momento in cui arriva la polizia per far sgomberare la festa). Insomma, le modifiche apportate finora, se pur fondamentali, lasciano aperte molte questioni attorno ad una nuova norma che risponde con strumenti penali (spoporzionati) ad un fenomeno giovanile.
Di questo parla Elia De Caro, difensore civico di Antigone.
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Sul caso di Alfredo Cospito, uno Stato forte ascolta e concede con ragionevolezza |
La vicenda dell’anarchico Alfredo Cospito, in sciopero della fame contro il carcere duro del 41 bis, ci aiuta a fare alcune considerazioni intorno a ciò che dovrebbe essere la pena in una società democratica e ci porta ad affrontare questioni di grande rilievo giuridico ed etico. La Corte Costituzionale, nella nota sentenza numero 376 del 1997, ha ben spiegato come anche nel caso del regime di cui all’art. 41-bis, pensato per contrastare la criminalità organizzata, sia necessario sempre tenere in adeguata considerazione l’articolo 27 della Costituzione, con i suoi riferimenti alla dignità umana e alla rieducazione del condannato. Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, nel suo rapporto rivolto alle autorità italiane relativo a una visita effettuata nel 2019, raccomandò alle stesse di effettuare sempre «una valutazione del rischio individuale che fornisca ragioni oggettive per la continuazione della misura». Il cosiddetto risk assessment deve essere fondato «non solo sull’assenza di informazioni che dimostrino che la persona in questione non è più legata a una determinata organizzazione». Nel caso di Alfredo Cospito il trasferimento in un istituto con regime differenziato sopraggiunge dopo circa 10 anni di pena scontati in un diverso e meno gravoso trattamento penitenziario. Il Comitato di Strasburgo invece sollecita che vi sia sempre una valutazione estremamente rigorosa del caso individuale evitando standardizzazioni nel trattamento solo sulla base del titolo di reato. E proprio intorno a una accurata valutazione del rischio si sofferma anche la Raccomandazione del 2014 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa rivolta ai Paesi membri sul trattamento dei detenuti ritenuti pericolosi.
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