
Il processo e le condanne
Il 14 marzo 1952 Da Ros, Lorenzon ed altri undici partigiani furono arrestati
e tradotti nel carcere di Treviso,
dove iniziò un processo che venne pesantemente influenzato dal
clima politicodell'epoca.
A processo quasi concluso, su richiesta dell'accusa esso fu trasferito per
Legittimo sospettoa Velletri,
scelta che finì per pesare soprattutto sugli accusati, i cui avvocati difensori
furono costretti a lunghe trasferte nelGli imputati furono quindi trasferiti nel
carcere di Regina Coeli a Roma.
Il processo terminò con le sentenze del 16 maggio 1953:alcuni degli autori
della strage furonocondannati a pene variabili, dai ventiquattro
ai trenta anni di reclusione.Tuttavia il momento politicoe
i forti condizionament politici che già avevano impedito un serio processo
di epurazione, suggerirono al Parlamento e al governo di
varare una serie di amnistie e condoni ad ampio raggio,
grazie ai qual i condannati per la strage scontarono solo
cinque anni di detenzione, per
poi uscire per effetto dell'"Amnistia Togliatti".
Lo stesso giorno in cui avvenne la loro scarcerazione, il 20 gennaio del 1954,
i condannatifurono ricevuti dallo stesso Palmiro Togliattie da Luigi Longo
presso la sede del Partito Comunista Italianoa Romain Via delle Botteghe Oscure.
Commemorazioni e polemiche
A ricordo della strage, i sopravvissuti realizzarono un cippo
presso il luogo delle esecuzioni, in località Tron di Ponte della Priula che
fu segretamente inaugurato la notte del 4 novembr 1966; la mattina
dopo, al sorgere del sole, il monumento era già stato imbrattato
di vernice rossa.
Gli eventi del Brandolini rappresentano ancora a distanza di anni
una ferita aperta per la storia della città di Oderzo[9], tanto che
la lapide con i nomi dei caduti opitergini della seconda guerra mondiale
posta nel Monumento alla Patria cittadino, fu realizzata solo quarant'anni dopo la fine della
seconda guerra mondialea causa tra l'altro del lungo dibattito suscitato dalla proposta, poi
accolta di inserire nell'elenco anche i caduti di parte fascista[1].
Per poter assistere, a Oderzo, al primo dibattito pubblico
sulla strage, si dovette aspettare fino al 30 aprile 2010[10],
sessantacinque anni dopo gli avvenimenti.
La resa
L'entrata a Oderzo dei primi reparti partigianiil 28 aprile 1945, con due giorni
di anticipo rispetto ai soldati alleati, mise la parola fine all'occupazione tedesca
della città.
Alle ore 10 del mattino del 28 aprile, nella casa canonicadi Oderzo fu firmato,
alla presenza del parroco, abatemons. Domenico Visentin,
e il nuovo sindaco della città
Plinio Fabrizio, un accordo tra il Comitato di Liberazione Nazionale, rappresentato
da Sergio Martin, e da due rappresentanti della RSI, il colonnello
Giovanni Baccarani,
comandante della Scuola Allievi Ufficiali di Oderzo, e il maggiore Amerigo Ansaloni,
comandante del Battaglione Romagna.
L'accordo, che puntava ad evitare uno spargimento di sangue e di "assicurare l'ordinato
inizio delle Autorità di nuova costituzione", prevedeva quanto segue: 1. L'ammassamento presso i locali del collegio Brandolini-Rota di tutti i reparti della
RSI presenti in loco; 2. Il disarmo di tutti i suddetti reparti, ufficiali esclusi, e la consegna delle armi e degl
i equipaggiamenti militari al CLN; 3. La consegna di un lasciapassare rilasciato dal CLN, a tutti gli appartamenti ai reparti,
atto a raggiungere le rispettive località di residenza. Di fatto l'accordo escludeva solo le
Brigate Nere, le quali avevano cattiva fama in città, e che sarebbero rimaste nel collegio
a disposizione della Commissione di Giustizia.
I reparti contavano circa seicento uomini, di cui centotrenta appartenenti ai
due battaglioni, "Bologna" e "Romagna", e i restanti quattrocentosettanta, allievi ufficiali
della scuola di Oderzo, i quali consegnarono le armi concentrandosi nei
locali del Brandolini-Rota, collegiogestito dai Giuseppini del Murialdoa sud della cittadina[1].
La violazione della resa
Nel pomeriggio giunsero in città i partigiani della brigata "Cacciatori della pianura",
appartenenti alla Brigate Garibaldie politicamente vicini al Partito Comunista Italianoi quali,
venuti a sapere delle trattative in corso con i fascisti, imposero la propria volontà con il
peso delle armi di cui potevano disporre e approfittando della debolezza del CLN locale
. Decisero quindi di considerare nullo l'accordo preso e di istituire un tribunale di guerra[1].
Poche ore dopo giunse a Oderzo anche Attilio Da Ros, detto il "Tigre", uno dei capi
della Brigata. Personaggio carismatico e impulsivo, si trovava in quel momento "confinato"
in Cansiglioper volere dei suoi stessi compagni di lotta, a seguito di una serie di azioni discutibili
, tra i quali un attentato ai nazisti compiuto nella vicina Caminoil 12 settembre 1944
che costò la vita, per rappresaglia, ai partigiani Giovanni Girardinie Bruno Tonello[2].
Il processo
La situazione precipitò quando vari capi partigiani dovettero lasciare la città ed accorrerea
Cessaltoper fiaccare una sacca di resistenza tedesca. Già a partire dalla sera del 28 aprile
, mentre già numerosi prigionieri stavano lasciando il Brandolini muniti dei salvacondotti
e approfittando della confusione, il tribunale di guerra partigiano incominciò il processo nel
cortile del collegio emettendo nel giro di due giorni un centinaio di sentenze. Il suo compito
era applicare in modo rigido la cosiddetta "Legge della Montagna", un insieme di
disposizioniinterne al gruppo per stabilire le pene da applicare a tedeschi e fascisti[3].

Come recita la sentenza del processo ai responsabili tenutosi a Velletri, "non vi fu mai un collegio
giudicante [...]; non vi fu possibilità di difesa per gli accusati, non furono contestati agli accusati
fatti specifici [...], le sentenze di condanna a morte non furono pronunciate, [...] la vita e
la morte di ciascuno dipendevano dall'arbitrio più sconfinato"[4].
Le fucilazioni sul fiume Monticano
Le prime fucilazioni avvennero già nelle prime ore del 30 aprile: tredici prigionieri furono
prelevati in due fasi dalle carceri, fucilati lungo le rive del Monticanoed i corpi gettati nel fiume. Nel pomeriggio altri cento condannati, più altri ventiquattro aggiunti sul momento,
furono schierati in cortile, in un clima di confusione e disorganizzazione dovuta alla
pioggia e alla sete di vendetta di alcuni presenti. A tutti furono legati le mani dietro la
schiena e comunicato che sarebbero stati trasferiti in un campo di concentramento;
in realtà la loro destinazione fu il Ponte della Priula, piccolo centro vicino al letto del fiume Piave.
Al momento di partire ci si accorse che negli unici mezzi a disposizione, un'ambulanza e
un grosso camion di bestiame, non c'era posto per tutti: fu così che alcuni furono lasciati
al Brandolini e, senza saperlo, si salvarono la vita: tra questi alcuni militi del "Romagna".
Recita la sentenza del processo di Velletri: "non fu compilata nemmeno una lista completa
dei prigionieri mandati a morte al Ponte della Priula". Molti scampati furono poi ripresi,
nonostante il lasciapassare rilasciato dal CLN, e furono uccisi nella
Strage della cartiera di Mignagola in occasione della strage della Corriera fantasma a San Possidonio.[5]
A sera i due camion, scortati, partirono per Ponte della Priula, impiegando circa due ore per
percorrere i ventidue chilometri di distanza. Dopo essere stati tradotti in un grande prato
presso le rive del fiume, furono tutti uccisi (si salvarono solo due persone, Biasi Giuseppe e Marci Mario
, perché si nascosero in una intercapedine sul camion). Da Ros, che aveva preso il comando delle
operazioni a Oderzo, lasciò il compito di eliminare fisicamente i condannati a Silvio Lorenzon, nome
di battaglia "Bozambo", detto anche "Il boia di Montaner". La mattina del primo maggio
gli autori della strage costrinsero dei contadini a seppellire i cadaveri[3].
Eventi successivi
Tre giorni dopo la strage i "Cacciatori della Pianura", probabilmente su pressione del CLN che aveva tentato di opporsi all'eccidio, si assunsero la responsabilità dell'accaduto, con un manifesto affisso in città il 4 maggio:
«Determinato dalla necessità dello stato di guerra, Codesto Comando il
30 aprile dovette procedere alle esecuzioni capitali dei criminali di guerra, dopo regolare processo della propria Corte Marziale, che necessariamente ha agito al di fuori di ogni avvicinamento sia con il Cln locale, sia con la Commissione Giustizia.»
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(Brigata Cacciatori della Pianura)
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Due giorni dopo un partigiano di Faenza, giunto a Oderzo e dichiaratosi commissario politico della ventottesima Brigata Garibaldi "Mario Gordini", chiese e ottenne a fatica di prelevare dalle carceri cittadine e dai rinchiusi al Brandolini altri tredici prigionieri, ex militi della Guardia Nazionale Repubblicanache avevano operato nella sua zona per poi scappare a nord.
Ma invece di ricondurli in Romagnaper il processo, il 15 maggio l'ignoto partigiano insieme
a Bozambo condusse i tredici sempre a Ponte della Priula. Di questi dodici furono fucilati
a mezzanotte; il tredicesimo, un ragazzo di diciotto anni che affermava di conoscere
la cassa del Battaglione Romagna, venne giustiziato nei pressi della chiesa di Fontanelle
Una storia che iniziò a girare già all'epoca, ma che la maggioranza degli storici che
hannoricostruito la vicenda ritengono falsa[6], sostiene che il 16 maggio, in occasione
delle nozze di due partigiani, Adriano Venezian detto "il Biondo" e Vittorina Arioli detta
"Anita",agli sposi furono augurati dodici figli, e si sarebbe provveduto, come atto
propiziatore,all'uccisione di dodici allievi ufficiali della scuola, avvenuta sempre nei pressi
del Ponte della Priula.
Il processo e le condanne
Il 14 marzo 1952 Da Ros, Lorenzon ed altri undici partigiani furono arrestati e tradotti nel carcere
di Treviso, dove iniziò un processo che venne pesantemente influenzato dal clima politico dell'epoca.
A processo quasi concluso, su richiesta dell'accusa esso fu trasferito per Legittimo sospetto a Velletri
, scelta che finì per pesare soprattutto sugli accusati, i cui avvocati difensori furono costretti a
lunghe trasferte nel Lazio[3]. Gli imputati furono quindi trasferiti nel carcere di Regina Coeli a Roma.
Il processo terminò con le sentenze del 16 maggio 1953: alcuni degli autori della strage furono
condannati a pene variabili, dai ventiquattro ai trenta anni di reclusione. Tuttavia il momento
politico e i forti condizionamenti politici che già avevano impedito un serio processo di epurazione, suggerirono al Parlamentoe al governo di varare una serie di amnistie e condoni ad ampio raggio, grazie ai quali i condannati per la strage scontarono solo cinque anni di detenzione, per poi uscire per effetto dell'"Amnistia Togliatti".
Lo stesso giorno in cui avvenne la loro scarcerazione, il 20 gennaio del 1954, i condannati
furono ricevuti dallo stesso Palmiro Togliattie da Luigi Longopresso la sede del
Partito Comunista Italianoa Romain Via delle Botteghe Oscure.
Commemorazioni e polemiche
A ricordo della strage, i sopravvissuti realizzarono un cippo presso il luogo delle
esecuzioniin località Tron di Ponte della Priula che fu segretamente inaugurato la notte
del 4 novembre1966; la mattina dopo, al sorgere del sole, il monumento era già stato
imbrattato di vernice rossa].Gli eventi del Brandolini rappresentano ancora a distanza di
anni una ferita aperta per la storia della città di Oderzo, tanto che la lapide con i nomi dei
caduti opitergini della seconda guerra mondiale posta nel Monumento alla Patria cittadino, fu
realizzata solo quarant'anni dopo la fine della seconda guerra mondiale a causa tra l'altro del
lungo dibattito suscitato dalla proposta, poi accolta, di inserire nell'elenco anche i caduti
di parte fascista[1].Per poter assistere, a Oderzo, al primo dibattito pubblico sulla strage,
si dovette aspettarefino al 30 aprile 2010 sessantacinque anni dopo gli avvenimenti.
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