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NON CI FERMERANNO
Venerdì 21 Aprile 2023 07:20

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GENTILISSIME/I,

L' Europa ci vede legati alle politiche di Visegrad, razziste, exenofobe, primatisti della razza ariana, la borghersia progressista, le sinistre devono scendere in piazza, la deriva che sta prendendo il nostro Paese è pericolosissima, siamo nel bel mezzo di una crisi economica di vaste proporzioni. Pagare gli interessi per l'abnorme debito pubblico ci espone ad una fortissima inflazione che, colpisce i detentori di mutui, le famiglie indebitate, i poveri. Non possiamo girarci dall' altra parte. Abbiamo sofferto la tremenda e lunghissima stagione delle stragismo e del terrorismo, le potenti organizzazioni mafiose disseminate su tutto il territorio.Le Logge massoniche più pericolose, organizzate militarmente da far saltare per aria Piazza della Loggia a Brescia e la stazione a Bologna. Abbiamo bisogno di pace, di pane e lavoro, di attrarre gli investimenti esteri, di sviluppare l'agricoltura, invece siamo infognati  nella retorica sul ventennio, usiamo a sprosito la voce grossa, l'Europa non si fida di noi, non appogigia la politica in atto. Non siamo capaci di progettare il presente e il futuro, siamo scarsi sotto tutti i punti di vista. Dobbiamo manifestare tutto il disagio accumulato negli anni, a causa di una classe dirigente formata da persone inette.

 

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un cappellano militare benedice le mitragliatrici di un reparto di camicie nere

«Se mio padre fosse fra noi, vi ispirerebbe più fiducia, poiché mi conoscete appena. Io del resto ho contro di me la mia giovinezza e la mia inesperienza; ma ardo già di rendermi degno di comandarvi. Andiamo a cercare il nemico: se avanzo, seguitemi; se indietreggio, uccidetemi; se mi uccidono, vendicatemi!»

(Henri de La Rochejaquelein)

 

Il massacro di 800 civili

Uno storico dell’università di Torino, Matteo Dominioni, nel 2006, documentò il massacro avvenuto tra il 9 e l’11 aprile 1939, di circa 800 persone tra cui molte donne e bambine che si rifugiavano in una grotta di Debra Brehan, cento chilometri a Nord di Addis Abeba, nell’alto Scioa. In quell’occasione vennero fatti esplodere all’imboccatura della grotta bidoni carichi di iprite. In conclusione, gli italiani usarono armi chimiche in abbondanza, ma esse non furono determinanti in un conflitto dove le forze in campo erano davvero sproporzionate.

Dall’aggressione alla proclamazione dell’impero

Nei primi giorni di aprile del 1936, ottant’anni fa, circa ventimila soldati fra italiani e ascari eritrei cominciarono la marcia di avvicinamento ad Addis Abeba, dove il 5 maggio entrò trionfalmente il generale Pietro Badoglio, che per volere di Benito Mussolini aveva sostituito l’incapace Emilio De Bono alla guida delle operazioni militari. Già il 6 maggio il Corriere della Sera con uno di quei titoli gonfi di retorica poteva affermare in prima pagina «Storico annuncio del Duce — La guerra è finita, l’Etiopia è italiana — Badoglio è entrato in Addis Abebà» (Sic!). La proclamazione dell’impero sui «colli fatali di Roma» era imminente e Mussolini annunciando il 9 maggio la formazione dell’Africa orientale italiana, con l’Etiopia unita alla Somalia e all’Eritrea, poteva godere l’apice del successo. Il conflitto era stato relativamente breve, cominciato il 3 ottobre dell’anno precedente, così come la stagione delle «inique sanzioni» e dell’autarchia, con raccolta di oro donato alla patria (del valore di circa 500 milioni di lire). Più lunga della guerra era stata l’azione diplomatica con cui il Duce aveva aggirato i tentativi di mediazione e le minacce non sempre convincenti messe in atto dalla Gran Bretagna (sotto, i giornalisti italiani cacciati dal Palazzo delle Nazioni di Ginevra per aver intonato l’inno fascista «Giovinezza» all’arrivo del Negus dell’Etiopia).

 

L’ammissione di Montanelli

Il 12 agosto, il giorno dopo, sempre sul Corriere, rispose Del Boca (tocca la prima icona blu per la pagina con l’articolo e la replica di Montanelli), affermando di aver usato non soltanto fonti etiopiche ma soprattutto documenti degli archivi italiani: le bombe lanciate furono «duemilacinquecento, in gran parte caricate a iprite». Dopo qualche mese, nel febbraio 1996, il ministro della Difesa del governo Dini, generale Domenico Corcione, ammise fornendo i documenti, che le armi chimiche erano state usate dagli italiani anche nella battaglia decisiva di Mai Ceu cui aveva partecipato Montanelli. E questi, cavallerescamente — tocca la seconda icona blu sotto per la pagina con l’articolo —, nella sua «stanza» su cui dialogava con i lettori, ammise di aver torto.

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Scritto da Mario Arpaia   
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