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LE DUE STRADE DELLA GIUSTIZIA
Martedì 16 Maggio 2023 08:30

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 LA GIUSTIZIA INGIUSTA

AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SERGIO MATTARELLA

AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA CARLO NORDIO 

ALL' ON. DEL PD VALTER VERINI

GENTILISSIME/I,

La strada del garantismo a senso unico  e l'indifferenza verso i detenuti, intolleranti sul concetto di recupero del reo, la classe politica mostra tutto il suo disprezzo verso chi nella vita il più delle volte non ha avuto fortuna. La politica è spietata, autoreferenziale, senza cuore ed umanità; come se venissero selezionati per le virtù appena espresse. Nessuna forza politica ne di destra, ne di centro, ne di sinistra ha avuto pietà per il trattamento che il DAP riserva ai carcerati. Nonostante la figura simbolica del garante dei diritti, spesso vengono maltrattati con folle violenza, da lasciarli morti per terra.Nessuno si intigna, sporge reclamo allo sportello della giustizia, sempre aperto giorno e notte. Stragi impunite come quella di Viareggio, ignorata nonostante il fuoco che ha bruciato giovani vite . 

NUMEROSI AVVISI DI GARANZIA PER LE PRESUNTE VIOLENZE NEL CARCERE DI IVREA

"Hamed fu picchiato con pugni e calci da sette agenti. In due gli tenevano ferme le braccia. Gli altri menavano. E il medico di turno della casa circondariale continuava a sorseggiare il caffè delle macchinette automatiche. Non un cenno, non un intervento per fermarli. Nemmeno una comunicazione al direttore come sarebbe stato suo dovere". È la ricostruzione che fa "La Stampa" di uno dei casi di violenze che sarebbero avvenute nel carcere di Ivrea tra il 2015 e il 2016. Caso che, assieme ad altri, Antigone, aveva segnalato alla Procura eporediese attraverso più esposti.

A distanza di diversi anni sono oltre 20 gli avvisi di garanzia recapitati ad agenti penitenziari, funzionari e medici in servizio al carcere di Ivrea e accusati, a vario titolo, di lesioni e falsi aggravati. A emanare questi provvedimenti è stata la Procura generale di Torino che, anche a seguito della nostra richiesta di avocazione delle indagini, è diventata titolare dell'inchiesta

 

LAVORO IN CARCERE. IL GRANDE ASSENTE NEL PERCORSO RIEDUCATIVO

Il lavoro in carcere dovrebbe essere una parte fondamentale del percorso trattamentale e del processo di risocializzazione delle persone detenute.
Eppure in carcere il lavoro è poco e nella maggior parte dei casi dequalificato e con poca spendibilità all'esterno.

Dalle visite che avevamo effettuato nel 2021 avevamo potuto appurare che, in media, solo il 33% dei detenuti era impiegato alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e solo il 2,2% dei presenti era invece in media impiegato alle dipendenze di altri soggetti. Un dato, peraltro, molto disomogeneo. In Emilia-Romagna quest'ultima percentuale era del 4%, in Campania dello 0,3%.
A Poggioreale, per fare un esempio, su 2.190 detenuti presenti, solo 280 in tutto lavoravano, meno del 13%.

Spesso, gli istituti, scelgono di far lavorare i detenuti solo per poche ore e pochi giorni, così da offrire possibilità lavorative a più persone possibile. Questo fa sì che lo stipendio percepito sia molto ridotto e spesso basti solo per pagare i costi del mantenimento.

 

 

è stato suo malgrado protagonista: condannato all’ergastolo come autore della strage di Alcamo Marina nel gennaio del 1976, in cui furono uccisi due giovanissimi militari dell’Arma, ha passato 36 anni tra il carcere e i domiciliari da innocente. Solo nel 2012 la Corte d’Appello di Reggio Calabria lo ha assolto con formula piena dopo un costoso processo di revisione, ritenendo provate le torture e le sevizie inflitte dagli investigatori per estorcergli una confessione.

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Pochi giorni fa Gulotta era ospite della Camera penale Vittorio Chiusano di Torino e ha raccontato la sua storia agli studenti nell’ambito del convegno intitolato Il rovescio del diritto. Accanto a lui c’era il legale fiorentino Pardo Cellini, colui che ha raccolto i verbali e le intercettazioni poi portati in Cassazione per chiedere la revisione.

 

“Loro mi dettavano il racconto, io mi limitavo a dire sì. Un ‘Non lo so’ era tabù, non si poteva dire, erano schiaffi”, ha raccontato ricordando quei giorni di gennaio del 1976, quando dopo le torture dei militari firmò un verbale in cui si autoaccusava del duplice omicidio. E ancora: “Quando fui portato in carcere, un secondino vide i segni che avevo in faccia e mi chiese cosa fosse successo. Stavo per raccontare la verità, ma il carabiniere che avevo accanto mi interruppe e disse che ero scivolato su una buccia di banana ed ero caduto”. Un depistaggio che inizia al momento dell’arresto, perché il verbale porta l’orario sbagliato. “Scrissero che mi avevano arrestato alle 5 del mattino, invece sono venuti a casa mia la sera prima”, ha dichiarato.

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La battaglia di Giuseppe Gulotta, torturato da uomini in divisa e 22 anni in carcere da innocente

A chiamare in causa Giuseppe Gulotta, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli fu un loro conoscente, Giuseppe Vesco, che quando provò a ritrattare fu trovato impiccato in cella. Prima di morire, nelle lettere dal carcere lo stesso accusatore parla delle torture per mano dei militari. Il caso è stato riaperto solo nel 2007 grazie all’intervento di Renato Olino, un brigadiere in pensione che aveva assistito agli abusi e che già prima di quella data li aveva denunciati all’Arma senza esito.

“Olino è stato anche indagato per possesso illecito di armi dopo aver rivelato quello che successe ad Alcamo. Quindi non solo non è stato creduto, ma c’è stata anche una reazione. È stato considerato inattendibile nei processi, ma non è mai stato indagato per falsa testimonianza. Gli altri carabinieri si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Tutto porta a ritenere che ci sia una regia dietro tutto questo”, ha dichiarato il legale Cellini, che si batte per valorizzare l’istituto della revisione e affinché la ricerca delle prove a discarico non sia appaltata solo ai difensori.

locandina

https://www.mymovies.it/film/2019/vite-da-sprecare/news/il-trailer-ufficiale-del-film-hd/

Giovanni Calvaruso non fa opera di fiction quando mostra l’uso sistematico di waterboarding e di scariche elettriche nei confronti di coloro che dovevano confessare azioni mai commesse. Si limita a ricostruire quanto ormai accertato come realmente accaduto. L’aver deciso di porre in rilievo quanto accadde quasi cinquant’anni fa non è solo un encomiabile e doveroso atto di risarcimento dell’onorabilità degli imputati ma anche un esempio del fatto che il cinema di impegno civile continua ad avere un senso e una funzione.

Vite da sprecare è un film del 2019 che arriva nelle sale quattro anni più tardi, in un periodo particolarmente significativo.

Il 25 marzo l'Ansa informava che era stata presentata alla Camera una proposta di legge per l'abrogazione del reato di tortura inserito nell'ordinamento italiano nel 2017. Nelle motivazioni si legge che "L'incertezza applicativa in cui è lasciato l'interprete" con le norme introdotte nel 2017, "potrebbe comportare la pericolosa attrazione nella nuova fattispecie penale di tutte le condotte dei soggetti preposti all'applicazione della legge, in particolare del personale delle Forze di polizia che per l'esercizio delle proprie funzioni è autorizzato a ricorrere legittimamente anche a mezzi di coazione fisica". 

I firmatari della proposta farebbero bene a vedere questo film e ad interrogarsi se quell'"incertezza applicativa" non debba essere piuttosto superata emanando norme più restrittive e non con l'abrogazione di articoli in materia. Perché Giovanni Calvaruso non fa opera di fiction quando mostra l'uso sistematico di waterboarding e di scariche elettriche nei confronti di coloro che dovevano confessare azioni mai commesse. Si limita a ricostruire quanto ormai accertato come realmente accaduto. 

È vero che sembra di assistere a Garage Olimpo di Marco Bechis ma chi per estorcere una 'verità' che suffraghi le sue tesi si comporta in questi termini ha meritato l'autoaccusa che l'ex brigadiere Renato Olino, membro del nucleo antiterrorismo di Napoli partecipante alle indagini, ha presentato 32 anni dopo l'accaduto e che conferma anche nel film. I più giovani hanno tutto il diritto di non sapere cosa è stato Gladio. Si tratta di una formazione paramilitare costituita, grazie ad un accordo tra la CIA ed una parte dei servizi segreti italiani, per avere una forza in grado di resistere ad una ipotetica invasione sovietica.

 

Scritto da Mario Arpaia   
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