Lettera aperta a un bambino morto a venti giorni
Martedì 11 Gennaio 2011 17:12

 

neonato_bologna

( deceduto per il freddo vicino piazza Maggiore a Bologna)

Io di te conosco solo il nome, Devid. Io non so se riuscirò a scriverti senza retorica. Proverò a scriverti, senza retorica. Sei morto a soli venti giorni, vicino piazza Maggiore, a Bologna, il cinque gennaio 2011. Fuori, al freddo. I bambini, sapevo morissero in guerra. Forse nella mia città c'è una guerra. Forse non la vedo. Forse non sento sparare. Ma comunque c' è una guerra. Forse sono già retorico. Ti chiedo qui, una prima volta, di scusarmi. Ho letto, sui giornali, che la mamma rispondeva di avere una casa. E così poteva restare lontano dai servizi sociali. Credeva le portassero via te e la tua sorellina. Basta rispondere questo, per morire? Basta rispondere lasciatemi qui, per morire? Perché anche tua madre forse morirà. Forse tuo padre. Noi siamo già, morti. La mia città, è già morta. Forse sono già retorico. Ti chiedo, qui, una seconda volta, di scusarmi. Ti dicevo di una guerra. Che nessuno vede e sente. In una guerra, i deboli muoiono, subito. I deboli non hanno una casa. Un tetto. Non hanno da mangiare. Non sanno dove pisciare. Vivono la guerra finchè possono. Poi muoiono. Gli altri pensano a sopravvivere, per non morire anche loro. Perché questa è una guerra. Deboli lo diventeremo tutti. Prima o poi. In questa guerra, tutti diventeranno deboli. E' solo una questione di tempo. In una guerra, i deboli fuggono, dai deboli. In una guerra, tutti hanno paura dell'altro. In una guerra prevale l' istinto. In una guerra. Le persone come te, muoiono. Io, la mia guerra, la combatto restando lontano, da tutti. Nel senso che forse, non combatto. Più. Anch'io vivo di istinto. Forse sono già retorico. Ti chiedo, qui, una terza volta, di scusarmi. La mia città è morta da tempo. Nella mia città, si viene ormai per morire. Un Università non è un luogo di umanità. Tu sei morto dentro lo spazio di una grande biblioteca. Il freddo non ti ha perdonato. E cosa mai avevi da farti perdonare. Una biblioteca, qui a Bologna, non è un luogo di conoscenza. Tutto, qui a Bologna, è trasformato, per fuggire. Via. Da una guerra. Forse sono già retorico. Ti chiedo, qui, una quarta volta, di scusarmi. L' ultima.

10 gennaio 2011 Giuliano Bugani

operaio, giornalista, poeta

Scritto da Giuliano Bugani   
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