FATE ENTRARE NEGLI STADI LA MEMORIA DI ALDROVANDI
Federico Aldrovandi, ferrarese, 18 anni all’epoca, fu ammazzato durante un controllo di polizia, nel 2005, mentre tornava a casa all’alba. Nella migliore delle ipotesi gli
uomini e le donne in divisa non riuscirono a gestire un ragazzo agitato, o almeno così hanno ritenuto i giudici che hanno condannato chi ne ha provocato la morte a pene miti e già scontate. Sono tornati in servizio. Al netto della sentenza (che si rispetta) Aldrovandi fu vittima quantomeno dell’imperizia emotiva e funzionale di chi avrebbe dovuto proteggerlo. Un martire, la cui effigie dovrebbe turbare solo le anime di chi pensa che in Italia sia normale che lo Stato uccida chi ha in custodia. Anche solo perché non sa come comportarsi. Invece no. Invece, come scrisse Repubblica a gennaio e come ha ricordato ieri il Foglio, la bandiera col volto di Aldrovandi, che tifava Spal, non può entrare negli stadi. Il giudice sportivo la qualifica come “provocatoria per le forze dell’ordine”. L’ultimo episodio a Roma, all’Olimpico. Il padre di Federico si è giustamente chiesto se ricordare sia provocare. Mi permetto umilmente di aggiungere che il verbo “provocare” può prevedere un complemento oggetto. Chi o cosa si provoca? Gli agenti “maldestri” perché non accada più? Quelli che li hanno applauditi perché provino vergogna? Si provoca un ricordo? Una riflessione? Gli stadi, non solo italiani, rappresentano una valvola di decompressione sociale in cui l’epiteto, l’ingiuria, la minaccia, spesso con la complicità delle società e l’acquiescenza delle forze dell’ordine, e di chi li comanda, trovano comoda cittadinanza. Ma anche se così non fosse, se non fosse – caso più unico che raro – che il problema stavolta è davvero ben altro, il punto non è questo. Il punto è che quella bandiera non lo è proprio, un problema. E che uno Stato o una giustizia sportiva decente, specie in questo periodo di sbando proto-autoritario, avrebbero di che essere pedagogici e tracciare due confini di civiltà. Striscione su Superga, o sul Vesuvio, o sull’Heysel, no. Volto di Aldrovandi sì. Se c’è vita alla Figc, o alla Lega Calcio, questa vicenda può persino essere un’occasione: quella di avocare a sé un ruolo di supplenza civile. Un piccolo gesto. In gloria anche dei poliziotti per bene. Ridare cittadinanza a quella bandiera, ché tenerla fuori dal ricordo concreto rappresenta un ulteriore atto di violenza. Oggi Federico Aldrovandi avrebbe 28 anni. Lasciate che viva almeno la sua memoria. Voleva solo tornare a casa.
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