l'omaggio di Gattatico ai fratelli Cervi''
Venerdì 28 Dicembre 2018 16:12
 
 
 
 
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Il 28 dicembre di settantacinque anni fa, in un'alba nebbiosa, al poligono di Reggio Emilia, gli spari dell'esecuzione che uccise i sette fratelli Cervi più l'ex repubblichino convertito all'antifascismo Quarto Camurri, segnarono l'esordio stragista della neonata Repubblica di Salò, regime fantoccio al servizio della Germania nazista.

Furono per prime le stesse gerarchie repubblichine a rendersi conto dell'abominevole gesto preoccupate di aver rivelato il volto truce del fascismo morente. Ma è forse la paura di una Resistenza palese e organizzata come quella dei Cervi a indurre all'eliminazione di un pericolo che nelle campagne della Bassa tra Campegine e Gattatico era diventato minaccioso.


CJENNER MELETTI
I Cervi, famiglia di solide basi cattoliche (il papà Alcide fu iscritto al partito popolare e subì l'influenza di Camillo Prampolini nelle campagne emiliane), era antifascista fin dagli anni '30, quelli del massimo consenso al Mussolini trionfante dell'impresa coloniale. Il 25 luglio del '43, alla caduta del Duce, offrirono la pastasciutta a tutto il paese e dopo l'armistizio dell'otto settembre, presero le armi cominciando a organizzare la Resistenza tra l'Appennino e la pianura dove si stavano formando i primi gruppi "Gap" (Gruppi D'Azione Patriottica) con modalità di guerriglia e spionaggio.

Determinante per la scelta è il terzogenito Aldo, già impegnato nell'Azione cattolica, ma presto convinto alla fede comunista dal rapporto con Lucia e Otello Sarzi, che assieme formavano una compagnia di attori itinerante presto divenuta un'agenzia di propaganda antifascista.

Aldo compatta la famiglia attorno all'ideale rivoluzionario. Con lui ci sono i fratelli Gelindo, Antenore, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore. I nomi di questi ultimi sono forse un omaggio alle letture della mamma Genoveffa Cocconi, donna capace di comunicare l'amore per la conoscenza ai nove figli (ci sono anche le sorelle Diomira e Rina).
Lo stesso guardingo partito comunista reggiano, già organizzato clandestinamente e militarmente, non approva quella che giudica una fuga in avanti resistenziale dei Cervi.

Di fatto la famiglia resta isolata ed è forse per questo che diventa un bersaglio relativamente facile per i fascisti. Il podere dei "Campirossi" è nell'inverno '43, una meta di oppositori al regime, di soldati sfuggiti al giogo tedesco e renitenti alla leva di Salò, nonché a militari stranieri fuggiti dalla prigionia.
Il podere dei "Campirossi" è nell'inverno '43, una meta di oppositori al regime, di soldati sfuggiti al giogo tedesco e renitenti alla leva di Salò, nonché a militari stranieri fuggiti dalla prigionia.
Un rischio troppo grosso nel cuore dell'Emilia "rossa" al punto che col pretesto di vendicare l'attentato mortale al gerarca repubblichino Davide Onfiani a Bagnolo, altro centro della Bassa reggiana, il 25 novembre, un battaglione fascista circonda la casa dei "Campirossi", incendia stalla e fienile e pone l'assedio.

Dalle finestre i Cervi tentano una inutile difesa. In casa ci sono cinque donne e dieci bambini, al piano superiore, oltre ai sette fratelli e a Camurri, sono asserragliati Dante Castellucci, il futuro comandante partigiano "Facio", il russo Anatolij Tarassov e tre soldati alleati: i sudafricani John David Bastiranse (Basti) e John Peter De Freitas (Jeppy) più l'irlandese Samuel Boone Conley.

Gli stranieri sono trattati da prigionieri di guerra, compreso Castellucci che conoscendo il francese si spaccia per tale e fuggirà in seguito dalla fortezza parmense della Cittadella unendosi ai partigiani d'Appennino.

Per i Cervi e Camurri c'è il carcere duro di San Tommaso a Reggio Emilia. A loro carico ci sono azioni partigiane come l'assalto a una caserma sui monti reggiani di Toano, il disarmo dei carabinieri a San Martino in Rio e un fallito attentato al segretario del partito fascista locale Giuseppe Scolari. A poco più di tre mesi dall'otto settembre, la vicenda dei Cervi si conclude con gli spari dei moschetti repubblichini.

L'ultimo atto di crudeltà dei gerarchi è impedire l'estremo congedo del papà Alcide ai suoi figli prima dell'esecuzione. Il fascismo pensava così di annientare un nemico mortale nel cuore di un Emilia che diventerà luogo di frontiera lungo la linea Gotica. In realtà faceva sì che si costituisse un simbolo attorno al quale si coagulerà più forte la Resistenza non solo reggiana contro la dittatura e l'occupazione tedesca.

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Mario Calabresi Sostieni il giornalismo Abbonati a Repubblica
 
Scritto da Mario Arpaia   
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