Il 12 agosto del 1944, i soldati tedeschi misero a ferro e fuoco il paesino dell'Alta Versilia
Lunedì 12 Agosto 2019 06:51

stazzema1.jpg

Il 12 agosto del 1944, i soldati tedeschi misero a ferro e fuoco il paesino dell'Alta Versilia dove avevano trovato rifugio migliaia di sfollati in fuga da guerra e bombardamenti. Le vittime accertate furono 560, in prevalenza donne e minori. Raccontiamo quel terribile giorno attraverso le storie di mamme e bimbi, perchè la memoria è un dovere di fronte all'attuale rigurgito di simboli e idee nazifasciste

di RAFFAELLA CORTESE e MARCO PATUCCHI

ROMA - C’è una grande vallata che scende fino al mare, ricamata da castagni e ulivi. Poche case, qualche roccia bianca appuntita. Una mamma stende il bucato al sole. Il profumo di pulito si mischia a quello delle erbe selvatiche. Ha bisogno di un filo molto lungo per mettere ad asciugare tutti quei panni: le camice di Anna Maria e Luciana, adolescenti, che ci tengono ad essere sempre a posto; i pantaloncini degli unici due maschietti, Eros e Feliciano; gli abitini di Maria Grazia, Franca e Carla; i lenzuolini della piccolissima di casa, Maria, di appena tre mesi.

 

Quella bella signora di 39 anni è Bianca Prezioso, origini napoletane, la moglie di Antonio Tucci, tenente di Marina di stanza a Livorno. Pluridecorato, in cuor suo, dopo aver conosciuto la Grande Guerra, aveva sperato di non dover rivivere qualcosa di simile. Si sbagliava.
Lasciata Livorno, bersagliata dai bombardamenti, sfollano in un posto tra le montagne della Versilia apparentemente al riparo dalle rotte di eserciti e aviazione: Sant’Anna di Stazzema. Proprio Sant’Anna, protettrice delle mamme e delle partorienti. Bianca ogni giorno le rivolge, in silenzio, una preghiera.

Sant’Anna, poco più di 600 metri di altezza nelle Alpi Apuane. C’è un’unica strada per arrivarci: tante curve e nuvole di polvere. La chiesa, pochi casali sparsi, il bosco. Gli abitanti sono 340, ma nell’estate del 1944 il numero arriva a duemila con i tanti sfollati di guerra che cercano riparo. Alcuni dei Tucci si sistemano nella canonica, i più grandi nelle aule della scuola. Feliciano, Eros e Franca, trovano a Sant’Anna altri bambini, in particolare Enrico Pieri, “Poldina” Bartolucci e Enio Mancini, più o meno della loro stessa età. Anna Maria, Luciana e Maria Grazia conoscono Cesira Pardini, coetanea. La prima domenica dei Tucci inizia con la messa. A Sant’Anna non c’è un parroco, ma Don Giuseppe Vangelisti, della vicina frazione La Culla, conosce ad uno ad uno i “santannini”: per lui sono come persone di famiglia.
 
San Lorenzo, notte senza stelle
La sera dell’11 agosto le mamme di Sant’Anna cantano la ninna nanna ai figli più piccoli. Quella precedente è stata la Notte di San Lorenzo, ma c’è poca voglia di cercare stelle cadenti. E’ come un presentimento: nessun desiderio potrà mai essere esaudito. Al mattino si spalanca un baratro senza fine. Si diffonde la notizia che i nazifascisti stanno salendo verso il paese. La moglie di Antonio lo convince a fuggire nei boschi. Bianca e gli otto bambini invece restano nella canonica pensando che donne e bambini non possano mai essere vittime deliberate della guerra. Invece si scatena l’inferno. I tedeschi urlano l’ordine di ammassarsi nella chiesa. Accatastati arredi e paglia danno fuoco a tutti e a tutto. Mostri ripugnanti a mille teste, che non risparmiano neanche i neonati.

Quando Antonio torna in paese scopre quello che rimane dell’immenso rogo e di centinaia di vite spezzate. Riconosce Bianca che stringe ancora la piccolissima di casa tra le braccia. Stordito, fuori di senno, riesce appena a immaginare la fine degli altri suoi bambini. Inizia a camminare verso il nulla. Tornerà a Foligno dai genitori. Proverà a ricostruire una vita risposandosi con Derna, una donna di Terni, avrà altri tre figli (Eros, Feliciano e Anna Maria). Ma all’età di 58 anni il Tenente Tucci chiude gli occhi per l’ultima volta, sconfitto nella battaglia immane contro i ricordi.

Grazia e Enrico
Enrico Pieri ha 10 anni, abita con i nonni, il papà Natale, mamma Irma e le due sorelle Alice e Luciana a una manciata di metri dalla piazza della chiesa. Ha frequentato la piccola scuola di Sant’Anna. D’estate aiuta la famiglia portando le poche pecore al pascolo. All’alba del 12 agosto, i Pieri sono tutti intorno al tavolo della cucina. Una voce rompe il silenzio e avverte che dal Monte Ornato stanno arrivando i tedeschi. Pochi minuti di angoscia e i Pieri si vedono piombare in casa i nazisti che urlando li trascinano nella casa della famiglia Pierotti, sfollata da Pietrasanta. Grazia Pierotti è una bambina, con la forza della disperazione riesce a nascondersi in un ripostiglio e si accorge che Enrico, con gli occhi sbarrati, in mezzo alle fiamme ed ai corpi già straziati, cerca riparo. Lo tira a sé. Insieme fuggono nell’orto e si nascondono sotto le piante di fagioli. Sentono gli spari e le urla, aggrappati alla vita con la forza istintiva dei bambini.

Passano le ore, chissà quanto tempo. Si sentono più sicuri, fuggono anche dall’orto. Enrico conosce tutti i sentieri, ogni albero, ogni sasso. Cerca la mamma, la famiglia. Non c’è più nessuno. Al posto delle piante di fagioli che l’avevano salvato, il giorno dopo la strage in quella stessa terra riposano i poveri resti delle persone a più care. Passano i giorni, i mesi, qualche anno. La normalità non torna più, ma il suo cuore continua a battere. Nel 1960 va in Svizzera, conoscendo le sofferenze e le umiliazioni di ogni emigrante. Si sposa e nel 1963 nasce suo figlio Massimo per il quale sceglie la scuola tedesca: un giorno, chissà, conoscendo la lingua, potrà confrontarsi direttamente con qualcuno o qualcosa che ha avuto a che fare con l’annientamento di Sant’Anna.

Enrico è tornato a Sant’Anna nel 1992 e all’inizio non voleva parlare del 12 agosto 1944. Poi qualcosa lo ha spinto a farlo: si è reso conto che la memoria in Italia si affievolisce, si fa presto a dimenticare e dall’oblio emergono revisionismi e ignoranza. Un insulto. Enrico ancora oggi si fa in quattro per i gruppi di ragazzi che raggiungono Sant’Anna da tutto il mondo per rendere omaggio a oltre 560 persone sterminate quella mattina d’agosto. “Ho 85 anni, ma la mi’ mamma mi manca ancora!”.

Cesira e la piccola Anna
Cesira Pardini, 18 anni, abita in località Coletti con il papà Federico, mamma Bruna e otto tra fratelli e sorelle. E’ la maggiore. Energica, combattiva e allo stesso tempo timida e dolce. Ha le mani segnate dalla fatica dei campi, cammina agile tra i sentieri ripidi e sconnessi della sua terra. Raccoglie ogni cosa commestibile: dalle foglie di cavolo alle erbe dei campi e alle castagne. Sua sorella Anna è appena nata, la mamma Bruna non si è concessa che poche ore per riprendersi dal parto. In casa non ci si ferma mai. Il 12 agosto, la mattina presto, Cesira si accorge dell’arrivo di soldati. Suo papà è già al lavoro nei campi con quattro figli. I militari sono furie: alcuni a viso scoperto, altri, forse gli italiani arruolati nelle SS, con una retina calata sul viso: “Ci hanno spinto contro il muro, con botte tremende – ricorda Cesira -. Con me c’era mamma con la mia sorellina Anna di 20 giorni, Adele di 4, Maria di 16 e Lilia di 10. Spararono alla mamma che mi cadde addosso e morì. Avevano colpito anche me e il dolore era tremendo. Nel cadere sono andata a sbattere contro una porta che non era stata chiusa a chiave. Era la cantina e riuscii ad afferrare Adele, Lilia e Maria. Restammo là come paralizzate, non so per quanto tempo, ma sentivo che il fuoco divorava la casa e rischiavamo di morire bruciate. Scappammo. I tedeschi ci videro e spararono ancora. Poi silenzio. La mia sorellina Anna di nemmeno un mese, era in fin di vita. Morì dopo una settimana di agonia. La vittima più piccola della strage. Morì anche Maria”. A Cesira Pardini nel 2012 sarà conferita la Medaglia d’Oro al Valor Civile.

Il miracolo di Ennio
Ennio Mancini ha 6 anni, vive in località Sennari con i genitori, un fratello e la nonna. Il papà lavora nelle vicine miniere di ferro e pirite. All’alba del 12 agosto il signor Mancini è già alzato e vede i soldati tedeschi che si avvicinano. Fa in tempo a far uscire tutti dalla casa, ma sotto la minaccia dei fucili e percossi da calci e spintoni, i nazisti li trascinano verso la piazza della chiesa. Il plotone marcia speditamente, i Mancini stentano a mettere un passo dopo l’altro, a sorvegliarli rimane un solo, giovane tedesco. Spariti dalla vista i commilitoni, questo soldato indica alla famiglia di tornare indietro. Li salva tutti, un inspiegabile miracolo in quell’inferno infinito. Ennio saprà presto cos’è successo a Sant’Anna, lo sterminio dei suoi amici, di intere famiglie. Il terrore. Davanti agli occhi, indelebile, la scena di corpi irriconoscibili, consumati dal fuoco, deformati. Ennio cresce e va a studiare prima a Pisa poi a Massa. Presto trova lavoro da impiegato nelle miniere di Valdicastello e ne diventa direttore amministrativo e del personale. Nel 1971 fonda insieme ad altri sopravvissuti l’Associazione Martiri.

Poldina e il cappello di papà
Leopolda Bartolucci, 12 anni, nella strage perde il padre Adolfo. Lei e la mamma Vittoria si salvano perché sono a Pietrasanta. Della loro casa a Sant’Anna, divorata dalle fiamme, rimane intatta solo una pentola di rame. “Poldina”, morta nel 2009, ha lo straordinario merito di aver raccolto un patrimonio di testimonianze, album di foto con nomi e gradi di parentela. Nei suoi appunti troviamo notizie di ignobili sciacalli che si aggiravano tra i morti per rubare le fedi. E’ grazie a lei se oggi possiamo dare un volto ai tanti bambini uccisi: il grande pannello che si trova al museo di Sant’Anna è opera sua. Ci parla anche di un cappello bruciato, in mostra al museo. Era di suo papà.

Il processo
I morti accertati di Sant’Anna sono stati 560, nessuno conoscerà mai il numero esatto. Autori della strage gli uomini del Battaglione “Galler”, ovvero il II Battaglione del 35° reggimento della 16° Panzer-Grenadier-Division, Reichsfurer-SS. Tra gli arruolati molti italiani. All’eccidio parteciparono anche Alpini del 3 battaglione Hochgebirgsjager e, probabilmente, elementi della scuola alpina di Mittenwald: divisioni spietate, già impegnate in operazioni di sterminio nella Polonia occupata. Dopo aver programmato l’operazione, i nazisti arrivano a Sant’Anna verso le 7 di mattina, divisi in tre squadre: la strage termina intorno alle 11 quando, devastato il paese, prendono la strada di Valdicastello, continuando a mietere vittime. E’ la scia di terrore insensato che ha già sconvolto e continuerà a sconvolgere tante comunità italiane. A Sant’Anna cala il silenzio. Resta la disperazione dei sopravvissuti per i quali la guerra non finirà mai più.

Ci vorranno 60 anni prima che inizi il processo: 20 aprile 2004, Tribunale Militare di La Spezia. Nel 1994 erano stati ritrovati casualmente a Palazzo Cesi, negli archivi della procura generale militare di Roma, 695 fascicoli sui crimini di guerra commessi dai nazifascisti dopo l’8 settembre 1943. Erano nell’ “armadio della vergogna”, faldoni portati alla luce e studiati dal formidabile lavoro di indagine di un giornalista, Franco Giustolisi

Il processo sull’eccidio di Sant’Anna, portato avanti dal procuratore Marco De Paolis e da una gruppo di colleghi, carabinieri, interpreti, storici, consulenti, arriva a sentenza il 22 giugno 2005 con la condanna all’ergastolo di 10 ex appartenenti alle SS. Indagati complessivamente 24 militari, 8 le archiviazioni per morte del reo, 5 archiviazione per insufficienza di prove, 1 sospensione per motivi di salute. L’autorità tedesca non ha dato esecuzione alle sentenze. Alcuni dei condannati hanno potuto invecchiare liberi e poi sono morti, alcuni troppo malati per scontare in carcere la pena, altri condannati ma liberi. Ecco i nomi: Anton Galler, archiviato per morte dei reo; Theodor Sasse, archiviato per insufficienza di prove; Alfred Leibssle, archiviato per morte dei reo; Alfred Lohmann, archiviato per insufficienza di prove; David Pichler, archiviato per insufficienza di prove; Karl Gesele, archiviato per morte del reo; Friederich Crusemann, archiviato per morte del reo; Ernst Karpinski, archiviato per morte del reo; Rupert Lesiak, archiviato per morte del reo; Karl Segelken, archiviato per morte del reo;  Kurt Osinger, archiviato per morte del reo; Otto Glanznig, archiviato per insufficienza di prove; Alfred Baumgart, sospensione della pena per malattia, poi deceduto; Horst Eggert, archiviato perché morto prima del processo; Gerhard Sommer, ergastolo; Alfred Schonenberg, ergastolo; Werner Bruss, ergastolo; Heinrich Schendel, ergastolo; Heinrich Sonntag, ergastolo; Georg Rauch, ergastolo; Horst Richter, ergastolo; Alfred Concina, ergastolo; Karl Gropler, ergastolo; Ludwig Goring, ergastolo.
 

Scritto da Quotidiano La Repubblica   
Stampa