Era l’homo novus di cui l’Italia aveva bisogno
Mercoledì 10 Febbraio 2021 07:46

Era l’homo novus di cui l’Italia aveva bisogno, ma che forse non meritava. Ha governato con quell’etica della responsabilità e quell’onestà che mancavano da tempo alla politica italiana, dando una lezione magistrale all’intero emiciclo parlamentare. Lui ha affrontato la pandemia, lui si è fatto valere in Europa e si è battuto per il Recovery Fund. Doveva essere lui a concludere la legislatura, a terminare il lavoro. Ma, si sa, questa politica è una giostra, un carosello con tanti pagliacci e mitomani in cui non c’è posto per Giuseppe Conte. È una politica calcistica, che fa sostituzioni per accontentare la panchina.

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GENTILISSIME/I,
 
vi preghiamo con tutto il cuore di dirci se i nostri scritti, vi annoiano, vi tediano e vi irritano, è necessario saperlo così ci fermiamo, e riusciamo a capire se scriviamo cose ovvie e sensa significato, aria fritta, alcuni pensano che ciurliamo nel manico... grazie. Siamo in tantissimi, un po per età ma anche per esperienza. Le abbiamo viste di tutti i colori. I governi balneari con Leone nel salvagente. Il doroteismo, una forma catenaccio  del potere straripante della Dc, per far fuori i morotei. Santa Dorotea, una chiesa di Roma forse ogi sconsacrata. Si riunivano davanti il caminetto: Piccoli, Bisaglia, Rumor, Gava, Forlani,Cirinopomicino... con l'appoggio indispensabile del pluripresidente del Consiglio Andreotti. Non siamo esperti di calcio, non abbiamo mai fatto la formazione della nazionale. Attraverso quel grandissimo giornalista che è Eugenio Scalfari, siamo giorno dopo giorno cresciuti, diventati pratici,
quasi esperti di strategie partitiche che  danneggiavano l' intero Paese. Abbiamo assistito e Scalfari, raccontare  da par suo,  una grande mostruosità: lo spolpamento quotidiano della Cassa per il Mezzogiorno. Vagonate di soldi freschi di stampa, divorati dal pentapartito. La povertà di oggi, le pezze al sedere che Draghi dovrebbe ricucire, sono talmente usurate che andrebbero cambiate con i soldi che l' Europa ci regalerà per pietà e misericordia. Ma chi li gestirà quei soldi Sig. Presidente della Repubblica, non pensa che Conte, stava facendo un ottimo lavoro. Mattia Feltri su Huffington post ha scritto: è possibile affidare il proprio Portafaglio titoli ad un signore che è nato a Volturara Appula in provincia di Foggia? Abbiamo risposto: allora perchè  lo affidiamo ad un che è nato Rignano sull' Arno ed è soprannominato il Kamikaze.
(mariorpaia)

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LA STORIA DI IERI E DI OGGI

 

Gli autori nell'introduzione dedicano il libro ad Eugenio Cefis, allora presidente della Montedison e protagonista di gran parte delle vicende narrate.

I fatti raccontati si svolgono in un arco di tempo ben preciso, cioè dal 1962, anno della nazionalizzazione dell'industria elettrica, alla primavera del 1974, con l'accordo tra Fiat e Montedison per i vertici della Confindustria (Giovanni Agnelli alla presidenza e Cefis vicepresidente). Nel mezzo, molte delle più importanti vicende dell'industria e della finanza italiane di quegli anni, in particolare la fusione Montecatini - Edison e la scalata dell'ENI alla Montedison, con il passaggio di Cefis dall'ente di stato al gruppo chimico privato (ma ormai entrato nell'orbita delle Partecipazioni statali).

Scalfari e Turani intervallano la narrazione dei fatti con considerazioni sul sistema industriale italiano; la loro tesi centrale è che l'indebolimento dell'imprenditoria privata, con la scomparsa delle vecchie holding elettriche e l'indebitamento sempre più elevato dei gruppi superstiti, ha portato ad una sempre maggior importanza dell'economia pubblica come erogatrice di finanziamenti e come salvatrice di aziende in difficoltà. Di conseguenza, ha assunto sempre più potere un ceto che gli autori hanno battezzato “borghesia di stato”, in grado di intervenire presso i politici al potere per ottenere benefici per le aziende da loro rappresentate.

Il caso della Montedison di Cefis è esplorato nei dettagli e gli autori non esitano a parlare di “saccheggio” perpetrato dalla società ai danni delle casse dello stato[1]. Nella descrizione della filosofia che muoveva Cefis, per l'affermazione del capitalismo globalizzato, il testo riporta anche i contenuti dell'incontro svoltosi "a Frascati presso Roma in casa di uno dei predecessori di Cefis, l’ex presidente di Montedison Pietro Campilli, poco dopo la caduta del governo Rumor nel 1970, poco prima del tentato golpe Borghese. Come riferì lo stesso Campilli a Scalfari e Turani, a quella riunione «c’erano alti magistrati, qualche grande industriale, Cefis, Petrilli, Carli, alcuni consiglieri di Stato, un paio di “principi del foro”, tre o quattro direttori generali della pubblica amministrazione. Una ventina di persone in tutto». L’eco dei concetti esposti, scrivono i due giornalisti in Razza padrona «si ritrovò in seguito in alcuni testi importanti», come appunto il discorso di Cefis ai cadetti di Modena, tenuto il 23 febbraio 1972[2].

Il libro, infine, caldeggia «una convergenza di vertice» tra il PCI «e le grosse famiglie dell'imprenditoria privata italiana: gli Agnelli, gli Olivetti, i Pirelli» e una «riscossa da parte del mondo degli Agnelli per sconfiggere e ridimensionare il mondo dei Cefis e della borghesia di Stato». Tesi riprese e diffuse da Paolo Sylos Labini nel Saggio sulle classi sociali, pubblicato da Laterza nel 1975, dove verrà definitivamente sancita la formula della «alleanza dei ceti produttivi contro i ceti parassitari»[3].

L’altra sera c’era una sola luce accesa, tra le finestre di Palazzo Chigi. Era l’ufficio del Presidente, forse intento a raccogliere le sue cose riflettendo su quanto aveva fatto e quanto si era impegnato per questo paese nel momento più buio della Repubblica, su quanto avrebbe potuto ancora fare e su come dei subdoli giochi di palazzo possono imporsi sulla buona volontà di un uomo.

Sono nato nell’anno della discesa in campo di Berlusconi e sono cresciuto negli anni della personalizzazione della politica. Se da un lato non mi sorprende che il governo più lungo nella storia della Repubblica sia stato il Berlusconi II, dall’altro mi chiedo perché in un momento storico come questo non sia stato possibile per il Presidente Conte terminare la legislatura. Ma credo di saperlo.

Di governo in governo ho imparato che la politica italiana, per quanto ci si possa illudere di un rinnovamento a ogni elezione, non cambia mai davvero. Non cambia perché chi cavalca l’onda del consenso provvisorio, per continuare a governare, deve scendere a patti con il lato sporco del Parlamento e mentire al popolo e a se stesso.

 

Giuseppe Conte non l’ha fatto, e per questo è stato ostracizzato. Vederlo fare le ultime dichiarazioni davanti a un banchetto è stato come veder morire la politica. Morire ancora. Chi però, come me, è tornato (o meglio, ha cominciato) a credere nella politica grazie al Presidente Conte, nonostante le sue ultime dichiarazioni non può che auspicare un suo ritorno in Parlamento a rappresentarlo, ad accendere quella luce che l’altra sera si è spenta. Quindi a presto, Presidente Conte.

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Scritto da Vincenzo Reale- Mario Arpaia   
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