Roventi, sovraffollate e senza docce
Giovedì 12 Agosto 2021 16:14

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Roventi, sovraffollate e senza docce: viaggio nell'inferno delle carceri siciliane

 GENTILISSIME/I

Dodici penitenziari su 23 sono troppo pieni. E fra rivolte e suicidi l'assistenza è insufficiente. Il Garante: "Troppi ferimenti sospetti"

La bomba a orologeria è una polveriera fatta di 5.891 vite. Uomini e donne, non figure senza volto e neanche sempre colpevoli: perché nelle carceri siciliane che ribollono di rabbia e di caldo più di un detenuto su tre aspetta ancora la sentenza definitiva e intanto vive dietro le sbarre, in condizioni che in estate diventano spesso estreme.

Il sovraffollamento è un annoso problema degli istituti di pena italiani. Una situazione tornata alla ribalta durante l'emergenza coronavirus e peggiorata negli ultimi anni. Il Presidente del Consiglio è lontano anni luce dall'indecenza del sistema carcerario, del trattamemento dei detenuti, non interessa a nessuno del governo in carica. In particolare alla Lega e a Fratelli d'Italia. Abbiamo più volte scritto a tutte le istituzioni, al Presidente della Repubblica. Attualmente le mail certificate  non sono aperte. Siamo con le spalle al muro, impotenti, non possiamo prestare nessun aiuto concreto. La politica si è blindata nei palazzi, lo ha ripetuto più volte Gino Strada. 

ALLA SENATRICE VALERIA VALENTE

Incarichi e uffici ricoperti nella Legislatura

Gruppo Partito Democratico :
Membro dal 27 marzo 2018 al 1 maggio 2018
Vicepresidente dal 2 maggio 2018 al 12 febbraio 2019
Membro dal 13 febbraio 2019

1ª Commissione permanente (Affari Costituzionali):
Membro dal 29 luglio 2020
2ª Commissione permanente (Giustizia):
Segretario dal 21 giugno 2018 al 29 luglio 2020
Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere:
Membro dal 28 gennaio 2019 al 6 febbraio 2019
Presidente dal 7 febbraio 2019

Consiglio di garanzia:
Membro dal 23 ottobre 2018
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Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

I dati sul sovraffollamento delle carceri

L'annus horribilis per le carceri italiane è stato il 2010, quando il numero dei detenuti ha raggiunto quota 67.960, ovvero 22.839 persone in più rispetto alla capienza. La situazione è migliorata in seguito alla sentenza "Torreggiani e altri contro Italia” con cui la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha condannato l'Italia per violazione dell'articolo tre della Convenzione per i diritti umani. Il caso riguardava sette persone detenute per molti mesi negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e Piacenza, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione. Un trattamento che la Corte ha giudicato "inumano e degradante", chiedendo al nostro Paese di trovare una soluzione entro il 2015. Un primo passo è stato compiuto nel 2014 con il cosidetto decreto “Svuota carceri” che si muoveva su un duplice

livello: da una parte, interventi diretti a diminuire il numero delle presenze in carcere, riducendo le persone in ingresso e aumentando quelle in uscita; dall'altra, facendo sì che venisse rafforzata la tutela dei diritti dei detenuti. Poi con la legge 28 aprile 2014 (portata avanti dall'allora ministro della Giustizia Andrea Orlando) è stata la volta di una riforma più organica che ha previsto depenalizzazioni e nuove regole per la custodia cautelare in carcere.

Da allora il numero di detenuti è calato, fino a raggiungere quota 52.164 nel 2015. Nel 2016 il Consiglio di Europa (cui fa capo la Cedu) ha chiuso la procedura di infrazione contro l’Italia, ma le ricadute positive della sentenza Torreggiani sono durate poco, come evidenzia anche il rapporto del 2019 del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, organismo statale indipendente che valuta le condizioni di vita di chi si trova "nei luoghi di privazione della libertà": "A distanza di due anni — si legge — occorre osservare che i processi e le modifiche normative allora assunti non sono stati sufficienti a fermare la ripresa di un tendenziale aumento della popolazione detenuta”.

Come ha riferito il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale sul suo sito istituzionale, il 15 maggio scorso i detenuti presenti erano 52.679: oltre ottomila in meno rispetto a febbraio grazie alle misure adottate durante l'emergenza coronavirus per liberare spazi e tutelare le persone più a rischio. Ma pur sempre troppi dato che al 30 aprile la capienza regolamentare era di 50.438 posti. Restano critiche situazioni come quelle di Latina con un tasso di sovraffollamento medio del 179,2 per cento, Taranto (187,6 per cento) o Larino (194,7 per cento) ed anche nelle regioni più a rischio ci sono carceri come Como (161,4 per cento), Pordenone (156,8 per cento), Vigevano (148,7 per cento), Busto Arsizio (148,3 per cento) o Tolmezzo (148,3 per cento) che "destano ancora grande preoccupazione".

Il XVI report dell'associazione Antigone fornisce un quadro delle condizioni dei nostri istituti di pena e fa luce sulle carenze che ci sono state nel far fronte alla pandemia

L'identikit del detenuto medio 

Uomo, sempre più anziano, poco scolarizzato, senza lavoro e spesso malato: è questo l'identikit del detenuto medio delle carceri italiane che emerge dal XVI rapporto di Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale. L'invecchiamento della popolazione è la prima tendenza evidente all'interno degli istituti di pena nostrani: alla fine del 2009 i detenuti con più di 40 anni erano meno del 40 per cento, mentre alla fine del 2019 erano oltre il 50. Questo vuol dire che in dieci anni la percentuale di persone in carcere con oltre 60 anni è più che raddoppiata, passando dal 4,1 all’8,6 per cento. Quando si parla di istruzione, molti di loro non sono andati oltre la scuola media. Sono pochissimi i laureati, mentre continuano a crescere gli analfabeti che nel 2019 erano 1.054 a fronte dei 700 di due annni fa. Non va meglio se ci sposta sul versante lavorativo: solo il 29,74 per cento del totale delle persone recluse ha un impiego e per lo più svolge mansioni all'interno della stessa amministrazione penitenziaria, come la pulizia degli ambienti carcerari e la consegna dei pasti. 

Un dato preoccupante e associato alla crescente anzianità dei detenuti riguarda i problemi di salute che risultano molto più diffusi tra chi è in carcere (13 per cento) rispetto alla popolazione generale (7 per cento). Una condizione che uno studio dell'Istituto superiore di sanità attribuisce anche "agli effetti negativi per la salute dell’ambiente carcerario". Stando ai dati del Ministero della Salute, il 67,5 per cento dei ristretti ha almeno una patologia. Al primo posto ci sono i disturbi psichici (41,3, per cento) seguiti da quelli del tratto gastrointestinale (14,5 per cento) e le malattie infettive (11,5 per cento).

Tossicodipendenza e carceri

Un paragrafo a parte merita la presenza di detenuti tossicodipendenti che lo scorso anno erano 16.934, cioè il 27,87 per cento del totale. Cinque anni prima erano 14879, ovvero il 23,79 percento. La percentuale del 2019, si legge nell'undicesima edizione del Libro bianco sulle droghe, “supera il picco post applicazione della legge Fini-Giovanardi (27,57 per cento nel 2007)", che equiparava tutte le sostanze, leggere e pesanti, prevedendo la stessa pena: dai sei ai venti anni di galera. Un ulteriore record è costituito dalla percentuale di tossicodipendenti tra i nuovi detenuti: il 36,6 percento dei nuovi soggetti entrati in carcere nel corso del 2019 era tossicodipendente. Numeri che potrebbero essere molto più alti, in quanto il conteggio si limita ai tossicodipendenti accertati dal sistema sanitario nazionale e non include coloro che, pur facendo uso di sostanze, non dichiarano la propria dipendenza. Persone che all'interno degli istituti penitenziari, denunciano le associazioni, si trovano a fare i conti con una carenza di servizi: ottenere il metadone, distribuito nei servizi per le tossicodipenze interni alle carceri, è spesso difficile e manca un adeguato supporto psicologico, mentre gli psicofarmaci sono prescritti con facilità.

I tossicodipendenti costituiscono una quota importante dei detenuti che nel 2018 era del 27,94 percento, ma le associazioni denunciano la carenza di assistenza psicologica e servizi negli istituti di pena 

I suicidi

Considerata l'alta percentuale di persone con disturbi psichici e con problemi di tossicodipendenza, non sorprende l'elevato tasso di suicidi negli istituti penitenziari d'Italia: nel 2019 le persone che si sono tolte la vita sono state 53, a fronte di una presenza media di 60.610 detenuti ovvero un tasso di 8,7 su 10mila detenuti mediamente presenti. A questi numeri bisogna addizionare i 24 suicidi registrati dall’inizio del 2020 fino a oggi che, in ben cinque casi, hanno coinvolto persone senza fissa dimora quando erano in libertà.

Le condizioni dei detenuti

I detenuti delle carceri italiane vivono in celle sovraffollate e in condizioni igieniche precarie, come dimostrano i sopralluoghi effettuati da Antigone: in 25 delle 98 carceri visitate dall'associazione nel 2019 sono state trovate celle in cui non era rispettato il criterio dei tre metri quadri per detenuto. In 45 c'erano celle senza acqua calda per lavarsi e in 52, ben più del 50 per cento, celle senza doccia: cosa che costringe i detenuti a usare docce comuni. Inoltre, nelle stanze di ben otto istituti il wc era a vista, anziché in un ambiente separato. Anche lo stato delle infermerie, secondo il Garante nazionale dei detenuti, "è al di sotto degli standard richiesti" e in certi casi si registra la presenza di blatte e insetti infestanti, "inaccettabili in un ambiente sanitario".

Cause e soluzioni al sovraffollamento

Associazioni ed esperti individuano tre principali ragioni all'origine del sovraffollamento delle carceri italiane. Una fa capo alla carcerazione preventiva che riguarda circa il 34 per cento della popolazione carceraria: quasi 20mila persone oggi si trovano in cella senza aver avuto una condanna definitiva e di queste la metà aspetta il primo grado di giudizio. Un'altra motivazione è, invece, legata all’aumento della durata media delle pene che i giudici comminano ai condannati. Un esempio è quello dei casi di omicidio: negli ultimi dieci anni gli omicidi sono scesi da 600 a 350, ma il numero di ergastolani (una condanna che si dà quasi esclusivamente per omicidio) è aumentato di quasi un terzo, passando dai 1.408 detenuti condannati all’ergastolo nel 2008 ai 1.748 del 2019. In pratica: non ci sono più ergastolani perché si commettono reati più gravi, ma perché quegli stessi reati sono puniti in maniera più dura. Una lettura che permette di spiegare l'anomalia che, negli ultimi anni, vede il numero dei detenuti nelle carceri italiane crescere pur in presenza di un netto calo dei reati denunciati all’Autorità giudiziaria e una corrispondente riduzione degli ingressi in carcere, quasi dimezzati negli ultimi dieci anni. 

Durante l'emergenza coronavirus il Garante dei detenuti ha rimarcato l'esigenza di liberare spazi nelle carceri sovraffollate 

Ma a giocare un ruolo serio nel riempire i nostri istituti di pena sembra essere soprattutto la normativa sulle droghe. Secondo i dati dell'ultimo Libro bianco sulle droghe, sugli oltre 60mila detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2019 ben 14.475 (23,82 per cento) lo erano per detenzione a fini di spaccio, cioè a causa del solo articolo 73 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti Jervolino-Vassalli: la legge nazionale in materia di droga, approvata negli anni Novanta e rientrata in vigore dopo l'abrograzione della Fini-Giovanardi. Altri 5.709, invece, in associazione con l’articolo 74: associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.

"La legge sulle droghe è il volano delle politiche repressive e carcerarie. Senza detenuti per articolo 73, o senza tossicodipendenti non si avrebbe sovraffollamento nelle carceri", si legge sul sito del Forum Droghe. Ecco perché le associazioni chiedono una riforma del quadro normativo, da sommare all'ampliamento del ricorso alle alternative al carcere nel loro complesso. Inoltre, domandano sanzioni diverse dal carcere per un'ampia serie di reati per evitare così i costi economici e sociali connessi all’imprigionamento per brevi periodi di tempo e alla successiva scarcerazione. D'altra parte, sulla depenalizzazione della coltivazione di piante di cannabis per uso personale “la Cassazione si è già espressa favorevolmente – ricorda Barbara La Russa, responsabile del settore accoglienza del Gruppo Abele –: non costituisce reato la coltivazione svolta di minime svolte in forma domestica, attività di coltivazione con rudimentali tecniche, scarso numero di piante e un modesto quantitativo di prodotto destinato all’uso personale del coltivatore”. Una proposta di legge che va in questa direzione è quella di Riccardo Magi, esponente radicale eletto con +Europa. Di segno opposto, invece, la norma presentata da Riccardo Molinari (Lega) per inasprire le pene “in materia di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope nei casi di lieve entità” che ha ricevuto una bocciatura netta da parte di Antigone, Federserd, Gruppo Abele e Forum Droghe.

Amnistia e indulto

Altre soluzioni paventate da familiari dei detenuti, alcune associazioni e il partito radicale — tornate in auge durante l'emergenza coronavirus —sono “amnistia” e “indulto”, provvedimenti previsti dall’articolo 79 della Costituzione. Il primo “estingue il reato”: lo Stato rinuncia a perseguire alcuni reati ed è come se non fossero mai stati commessi. Il secondo porta invece a condonare, in tutto o in parte, la pena senza cancellare il reato. Per ottenerli c’è bisogno di un disegno di legge approvato con “maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera” e valgono soltanto per i reati commessi prima della presentazione del disegno di legge.

 

Scritto da Rosita RijtanoRedattrice lavialibera   
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