Dai tribuni al pistolero. Il richiamo della macchietta che affascina la destra
Sabato 28 Agosto 2021 05:28

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Michetti e Bernardo, candidati del centrodestra a Roma e Milano,a Michele Emiliano sono solo gli ultimi di una lunga serie

Quello con la pistola e quell’altro con gli antichi romani. Luca Bernardo candidato sindaco a Milano ed Enrico Michetti a Roma. Sorride il primo mentre solleva dei pesi in camicia, oppure si china per dare un bacio in fronte a un cagnolino; sorride sempre pure il secondo sul suo profilo Instagram “Michettienrico”, ieri per via delle piste ciclabili l’hanno fatto vestire di giallo, da corridore del Giro d’Italia, con tanto di guantini — e così è, che ci vuoi fare?
Un tempo si diceva che la destra sentiva il richiamo della foresta, saluti romani, lode al ceffone, omofobia, eccetera.

Ho sentito la città, le persone semplici che mi fermavano. E' accaduto tutto in 15 giorni. Come si fa a dire di no a Roma? Speriamo le si possa restituire quel ruolo di Caput Mundi. Senza promesse, ventre a terra: dobbiamo pacificare questo ambiente senza odi e pregiudizi. Sono entusiasta di questa scelta inaspettata". E’ determinato il professore in corsa verso il Campidoglio. "Dobbiamo dare una spolverata a questa città e riportarla agli antichi fasti, al tempo dei Cesari e dei grandi papi. Farla tornare città della scienza e della cultura e dove ogni cittadino è cittadino del mondo. Ogni cittadino - ha detto Michetti a Radio Radio, emittente per cui è stato per molti anni opinionista - si deve sentire come San Paolo quando disse 'io sono cittadino di Roma'. Serve senso di appartenenza. Roma è una città accogliente e dove si respira il senso della patria. Io mi ritrovo nei valori della patria".

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L'elogio a sorpresa di Emiliano, dopo il sindaco fascista di Nardò: "Salvini sta facendo un grande sforzo per delineare una visione di Paese"siamo al salto della quaglia verso la quarta candidatura.

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Il governatore è intervenuto al dibattito La Piazza, a Ceglie Messapica. Il leader della Lega: "Io premier? Sceglieranno gli italiani".

"Salvini sta facendo un grande sforzo per delineare una visione di Paese, ed è uno sforzo che ha dei costi politici. Salvini è un politico che ha una sua onestà intellettuale". Dalla platea dell'evento 'La Piazza' a Ceglie Messapica sono arrivate, un pò a sorpresa, parole di elogio da parte del presidente della Regione Michele Emiliano nei confronti di Matteo Salvini, collegato in videoconferenza.

"Ringrazio tutti gli 8mila sindaci italiani che sono in prima linea, partendo dalle parole del presidente. Lavorare per il bene del Paese deve essere interesse di tutto", è la risposta di Salvini. Che nel corso dell'evento,  rispondendo a chi gli chiedeva se fosse a lavoro per la sua premiership, ha aggiunto: "Io mi sento pronto, poi saranno gli italiani a scegliere".

Sulle prossime misure del governo Salvini ha attaccato: "Ho sentito qualche ora fa che Letta insisteva sulla tassa di successione. Non è il momento di nuove tasse come l'aumento dell'Imu. Dalla Lega e penso dall'intero del centrodestra ci sarà il No a nuove tasse", ha spiegato il leader della Lega concordando invece con l'abolizione dell'Irap proposta da Giuseppe Conte.

Gentilissime/i,

Per Roma, viene in mente Renato Nicolini,il suo genio, le sue estati romane, suo predecessore di Gianni Borgna all'assessorato culturale di Roma un decennio prima, con le giunte Argan e Petroselli. Due anni fa, quando il creatore dell'Estate romana scomparve, Borgna disse: "Sono davvero affranto. Renato fa parte dei ricordi di gran parte della mia vita.  Quando sono diventato assessore sentii tutto il peso del grande lavoro che lui aveva fatto". Borgna era un grande conoscitore e appassionato di musica leggera, di storia della canzone italiana e di sociologia della musica.  Cresciuto politicamente nel Pci per poi approdare al Pd, aveva di fatto sdoganato 'da sinistra'.Tutto perso, tutto andato in malora, per cupidigia, inettutudine, le persone peggiori nei posti migliori. Salvare Roma e come accanirsi a salvare un malato terminale. Ci vorrebbe un miracolo...

Ci mancano i tempi dell' avvocato Adamo Degli Occhi, si avvolgeva nel tricolore sabaudo, prendendo la testa della "maggioranza silenziosa" in quella Milano di spranghe, di tumultuosi cortei, di katanga del Movimento e di squadristi neri a presidiare, con sistemi tipo 1922, piazza San Babila. Figlio di una famiglia con qualche quarto di nobiltà, erede di una dinastia di mattatori della toga con un nonno deputato giolittiano e antifascista aventiniano, con un padre, grande, roboante "firma" del Foro e deputato monarchico nel dopoguerra, Adamo Degli Occhi non si limitava a paludarsi nella bandiera come usavano le sciantose dell' Italietta liberty, ma parlava a mitraglia, invocando l' "uomo della Provvidenza". "L' ora delle marionette è trascorsa", diceva, "Siamo al redde rationem. Io credo all' uomo della Provvidenza. Purtroppo non lo vedo. Ma lo troveremo". Era la primavera del 1971. Milano, già martoriata dalla strage di piazza Fontana, viveva giornate cupe nell' involuzione stalinista del Movimento studentesco e nelle pratiche dinamitarde e manganellatrici dei "commandos" fascisti. Era la vigilia dei terribili anni di piombo. Valida nella teoria, la tesi degli opposti estremismi mostrava la corda perchè, nella pratica repressiva portata avanti, comunque, in modo impacciato e strumentale, il potere agiva con il paraocchi verso destra. La strategia della tensione si coagulava anche nel lasciar fare. Cominciava, allora, una reazione spontanea a quello stato di cose. Era una reazione borghese e piccolo borghese di centro destra. Le forze politiche democratiche ebbero il torto di non "incanalarla", cedendo spazio al Msi di Almirante. Fu quello il momento "epico" di Adamo Degli Occhi, in un' eruzione di patriottismo fuori data, di dannunzianesimo declamatorio, di invulnerabilità al senso del ridicolo e in una smania di protagonismo che lo accecò al punto da non vedere quali erano i suoi compagni di strada in quei cortei descritti come "un parterre della Scala", ma manovrati dagli eredi di Farinacci e del federale Giampaoli.

 

Se un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, l'uomo con la pistola è un uomo morto. Sono le parole famose di un film con Gian Maria Volentè, che di western se ne intendeva. Hanno capito perfettamente i due candidati a sindaco, che le due città più grandi e più importanti d'italia, non sanno che farsene del tricolore, ricordate Bossi, mentre la signora al balcone sventolava la bandiera italiana e cantava Bella Ciao, ciao, ciao. Il primo si sente novello figlio di Carlo Ignazio Bava Beccaris.

Dopo aver partecipato alla guerra di Crimea, prese parte, con il grado di capitano, alla seconda guerra d'indipendenza meritando una medaglia d'argento al valor militare(24 giugno 1859) e alla terza guerra d'indipendenza, dove, con il grado di maggiore, comanda una batteria di artiglieria a Custoza, venendo insignito del titolo di cavaliere dell'Ordine militare d'Italia (6 dicembre 1866). Divenne successivamente direttore generale d'artiglieria e genio al ministero della guerra; tenne il comando del VII e del III Corpo d'armata. Nel maggio del 1898, in occasione dei gravi tumulti dei moti di Milano, il governo guidato da Antonio di Rudinì proclamò lo stato d'assedio e il generale Bava Beccaris, in qualità di regio commissario straordinario, fu incaricato del ristabilimento dell'ordine. La repressione dei moti fu estremamente violenta e sanguinosa, con oltre 80 vittime tra la popolazione civile ed un alto numero di feriti. In segno di riconoscimento, il 5 giugno 1898 Bava Beccaris fu insignito del titolo di grande ufficiale dell'Ordine militare di Savoia dal re Umberto I e nominato senatore del Regno il 16 giugno. A Palazzo Madama aderì al gruppo della Destra storica. E' necessario preparsi in tempo, per accoglie come solo i leghisti sanno fare, i profughi provenienti dall' Afganistan. Una guerra voluta da tutte le sinistre del mondo.

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BAVA BECCARIS

Ci mancano i tempi dell' avvocato Adamo Degli Occhi, si avvolgeva nel tricolore sabaudo, prendendo la testa della "maggioranza silenziosa" in quella Milano di spranghe, di tumultuosi cortei, di katanga del Movimento e di squadristi neri a presidiare, con sistemi tipo 1922, piazza San Babila. Figlio di una famiglia con qualche quarto di nobiltà, erede di una dinastia di mattatori della toga con un nonno deputato giolittiano e antifascista aventiniano, con un padre, grande, roboante "firma" del Foro e deputato monarchico nel dopoguerra, Adamo Degli Occhi non si limitava a paludarsi nella bandiera come usavano le sciantose dell' Italietta liberty, ma parlava a mitraglia, invocando l' "uomo della Provvidenza". "L' ora delle marionette è trascorsa", diceva, "Siamo al redde rationem. Io credo all' uomo della Provvidenza. Purtroppo non lo vedo. Ma lo troveremo". Era la primavera del 1971. Milano, già martoriata dalla strage di piazza Fontana, viveva giornate cupe nell' involuzione stalinista del Movimento studentesco e nelle pratiche dinamitarde e manganellatrici dei "commandos" fascisti. Era la vigilia dei terribili anni di piombo. Valida nella teoria, la tesi degli opposti estremismi mostrava la corda perchè, nella pratica repressiva portata avanti, comunque, in modo impacciato e strumentale, il potere agiva con il paraocchi verso destra. La strategia della tensione si coagulava anche nel lasciar fare. Cominciava, allora, una reazione spontanea a quello stato di cose. Era una reazione borghese e piccolo borghese di centro destra. Le forze politiche democratiche ebbero il torto di non "incanalarla", cedendo spazio al Msi di Almirante. Fu quello il momento "epico" di Adamo Degli Occhi, in un' eruzione di patriottismo fuori data, di dannunzianesimo declamatorio, di invulnerabilità al senso del ridicolo e in una smania di protagonismo che lo accecò al punto da non vedere quali erano i suoi compagni di strada in quei cortei descritti come "un parterre della Scala", ma manovrati dagli eredi di Farinacci e del federale Giampaoli.

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Scritto da QUOTIDIANO LA REPUBBLICA-MARIO ARPAIA   
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