ANCORA E SEMPRE PASOLINI
Martedì 14 Settembre 2021 09:55

Il 9 Dicembre del 1973 sul Corriere della Sera viene pubblicato un articolo dal titolo Sfida ai dirigenti della televisione in cui risuona forte un potentissimo j’accuse: il nuovo fascismo è la televisione.

L’autore è Pier Paolo Pasolini e rimarrà una delle più importanti testimonianze del pensiero dell’intellettuale italiano più controverso e importante del secondo ‘900. Il testo sarà inserito nella raccolta Scritti corsari del 1975, summa della visione pasoliniana della società, insieme al successivo Lettere Luterane.

L’introduzione dell’articolo è centrata sulla mutazione della società italiana negli anni settanta e focalizza il suo corpo sulla parola chiave “Centro” che diviene il paradigma di un modello consumistico che metodicamente ma inesorabilmente era arrivato ad inglobare la maggioranza degli italiani.

 

“Il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza.”

Arriviamo poi al focus vero e proprio, quello sul ruolo della televisione contro cui Pasolini si scaglia violentemente  in quanto strumento che, più di altri, ha permesso alla nuova società dei consumi di omologare a sé l’intero Paese:  la televisione ha stabilito un modo unico di pensare per tutti.

Tutto questo Pasolini l’aveva già anticipato nell’intervista che aveva rilasciato nel 1971 ad Enzo Biagi.

III° B facciamo l’appello, Enzo Biagi intervista Pier Paolo Pasolini (1971)

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Pasolini: Il nuovo fascismo è la televisione

(da: Sfida ai dirigenti della televisione)

“Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole.

Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni.

Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.”

“L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che “omologava” gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale “omologatore” che è l’edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione.

Essi sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo?

No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d’animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con un certo disprezzo spavaldo i “figli di papà”, i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli.”

Adesso, al contrario, essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno abiurato dal proprio modello culturale (i giovanissimi non lo ricordano neanche più, l’hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l’analfabetismo e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari – umiliati – cancellano nella loro carta d’identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di “studente”. Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che essi hanno subito acquisito per mimesi).

Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo borghese, nell’adeguarsi al modello “televisivo” – che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale – diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio “uomo” che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme.

Non certo in quanto “mezzo tecnico”, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore.

Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre.”

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Sciopero per l'intera durata di ciascun turno di lavoro, su tutto il territorio nazionale dei dipendenti Rai e presidi di fronte alle sedi regionali (dalle 10 alle 13 ca in tutta Italia, a Roma in via Teulada) contro il taglio di 150 milioni previsto dal DL 66/2014. A indire la giornata di mobilitazione sono le sigle sindacali di categoria Slc Cgil, Uilcom Uil, Ugl Telecomunicazioni, Snater, Libersind Conf Sal.

Quattro almeno i punti salienti della protesta, sintetizzati nel volantino comune: il prelievo di 150 mln di euro mette a rischio il servizio pubblico e la tenuta occupazionale, non elimina sprechi o inefficienze che pure esistono, che abbiamo denunciato per primi e contro i quali lottiamo da tempo; la pretesa di 150 mln di euro, quando lo Stato è in debito verso la RAI di oltre un miliardo è solo un metodo illegittimo per prelevare soldi dalle tasche degli abbonati; scegliere di fare cassa attraverso la (S)vendita di RAI WAY colpisce al cuore l’azienda così come è avvenuto per troppe grandi aziende italiane, favorirà la privatizzazione del profitto, scaricando inevitabilmente le perdite sulla collettività; lo squilibrio dei conti che deriva dalla richiesta dei 150 mln di euro sta già producendo effetti sull’occupazione: dal blocco delle stabilizzazioni dei precari all’annunciato ridimensionamento degli organici.

“In questo modo si altera il mercato, si indebolisce la più grande azienda culturale del Paese e, inevitabilmente, si favoriscono i concorrenti – ricordano i sindacati. Il servizio pubblico è un bene comune che va liberato dal controllo di Partiti e Governi.”

“Il contributo più importante che la RAI può e deve offrire al Paese è legato ad una vera riforma che investa sulla qualità dei prodotti culturali, concludono i sindacati. Una Rai libera da sprechi, mega consulenze, super stipendi ed appalti inutili. Tutte voci, queste, non intaccate dalla richiesta di 150 mln di euro. L’altra RAI, quella colpita, è quella dei “titoli di coda”, fatta da quegli stessi lavoratori che beneficiano degli “80 euro” in busta paga e che oggi rischiano il proprio posto di lavoro.”

Scritto da PIER PAOLO PASOLINI-Mario Arpaia   
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